martedì 14 febbraio 2017

CARA TI AMO (14/02/2017)

Di Marco Travaglio.

“La politica non deve agganciarsi ad atti formali nel giudizio, ma a una valutazione autonoma dei fatti. Si può cacciare uno che è innocente o tenerlo se è colpevole. Sono due valutazioni diverse: una è politica, l’altra di giustizia. Molte volte non c’è bisogno di aspettare la sentenza per far scattare la responsabilità politica, ma in questo Paese non avviene mai, neanche di fronte ai casi evidenti. In qualche caso la politica può dire ‘aspetto di vedere come va a finire’o ‘mi sono fatto un’idea’, ma non può dire sempre ‘aspettiamo le sentenze’. Significa caricare sulla decisione del giudice la selezione della classe politica”. Queste e altre cose di sommo buonsenso ha detto ieri Piercamillo Davigo, intervistato ieri da Giuseppe Guastella sul Corriere della sera nel 25° compleanno di Mani Pulite. Anche noi, da oggi, ricordiamo l’anniversario con vari articoli e con la riedizione aggiornata del libro Mani Pulite (in edicola e in libreria dalla prossima settimana). Rievocando quei giorni di un quarto di secolo fa, non si può non notare come l’inchiesta del pool di Milano avesse regalato alla classe dirigente italiana un referto completo e gratuito di tutti i mali che l’affliggevano e di tutti i rimedi necessari per curarli e stroncarne le ricadute. E non si può non constatare la cecità mista a demenza con cui l’establishment ignorò quel referto per ricadere negli stessi vizi, che produssero le stesse patologie e sortirono lo stesso risultato: il totale discredito della politica, ma anche della grande impresa e delle grandi banche, che nella Seconda Repubblica sono -se possibile- ancor più sputtanate che nella Prima. Tant’è che ora l’establishment vive giorni e notti di panico al pensiero delle prossime elezioni, continuamente rinviate nella speranza che accada “qualcosa” o arrivi “qualcuno” a salvare il sistema e nel terrore che non basti neppure un’ammucchiata fra tutti i vecchi partiti di destra, centro e sinistra per arginare la marea montante della protesta e del cambiamento che questi pigmei suicidi, non sapendo più a che santo votarsi, chiamano “antipolitica” e “populismo”. Eppure, per quanto sopravvalutati, non si può dire che lorsignori siano totalmente stupidi: lo dimostra la forsennata campagna contro i 5Stelle e in particolare Virginia Raggi per farli passare da disonesti. Infatti, siccome quelli sono spesso sprovveduti e incapaci, ma non si sono ancora decisi a rubare, si inventano notizie false: finanziamenti occulti, voti comprati e altre calunnie su una stupida storia di polizze che la stessa Procura ritiene penalmente irrilevante. E se i diffamati protestano, la casta politico-giornalistica insorge come un sol uomo in difesa del diritto di cronaca e di critica, che con le bugie non c’entra nulla. Ora, per sputtanare i 5Stelle, non c’è bisogno di inventare nulla: basta fotografarli, filmarli, registrarli e lasciare che si rovinino con le proprie mani (in questa impresa sono imbattibili). Soprattutto a Roma, dove han dimostrato un livello di rissosità, dilettantismo, improvvisazione, autolesionismo e carenza di classe dirigente che neppure i loro peggiori nemici osavano sperare. Ma questo all’establishment non basta: finché la gente pensa che i 5Stelle sono “incapaci ma onesti”, quelli non perdono un voto, perché i partiti sono universalmente considerati “incapaci e disonesti”, quindi molto più pericolosi e senza neppure l’attenuante dell’inesperienza. Ecco perché si tenta di dimostrare, con notizie inventate, che i grillini sono pure ladri: perché, sotto sotto, lo sanno tutti che la legalità è più che mai al centro del l’attenzione dell’opinione pubblica. E, non potendola praticare in casa propria, tentano di buttare la palla in casa Grillo. Poi, purtroppo per loro, le cronache giudiziarie si incaricano di rispedirla al mittente. Chi possiede una lente d’ingrandimento avrà forse notato le due notizie più importanti degli ultimi giorni: la richiesta della Procura di Firenze di condannare a 11 anni il leader di Ala Denis Verdini per bancarotta fraudolenta, associazione per delinquere, appropriazione indebita e truffa allo Stato, nel crac del Credito cooperativo fiorentino; e quella della Procura di Catania di rinviare a giudizio il sottosegretario Giuseppe Castiglione, ras Ncd in Sicilia, appena riconfermato da Gentiloni, per turbativa d’asta e corruzione elettorale nell’appalto truccato da 100 milioni del Cara di Mineo, il più grande centro per migranti d’Europa. Verdini è accusato di avere spolpato una banca per farne “il suo bancomat personale” e “truffare lo Stato facendo carte false per acquisire contributi pubblici per l’editoria” al Giornale della Toscana, tant’è che i pm chiedono la confisca a lui e ai suoi 20 coimputati di un totale di 23 milioni. Castiglione e i suoi 16 coimputati devono rispondere di aver “predisposto il bando di gara con la finalità di affidamento all’Ati appositamente costituita” e “per la promessa di voti per sé e per i loro gruppi politici”, Pdl e poi Ncd, in cambio di “assunzioni al Cara”, trasformato da centro di accoglienza in business macchina elettorale. Il che spiega perché Ncd –che nel resto d’Italia sfugge ai sondaggi e pure ai radar – nel Catanese andava così forte. Senza Verdini e Castiglione (cioè Alfano), i governi Renzi e Gentiloni non avrebbero avuto la maggioranza non solo nel Paese (dove rappresentano il 30% degli elettori), ma neppure in Parlamento. Ma di queste quisquilie nessuno parla, neanche gli oppositori di Renzi nella batracomiomachia precongressuale del Pd: i loro principali alleati sono imputati per reati gravissimi e tutti sorvolano con la scusa di “attendere le sentenze”. Cioè le prescrizioni. Poi però, un giorno o l’altro, arriveranno pure le elezioni.

(Da "Il Fatto Quotidiano")

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