sabato 22 febbraio 2020

LA MORTE DI ENZO TORTORA (18/05/1988)

Di Redazione.

Non è una frase retorica : adesso riposa in pace. La vita non è stata generosa con lui: quel tipo di successo che lo aveva reso famoso in fondo non gli piaceva. Non era l' uomo del pappagallo: sapeva fare molte altre cose. Scrivere, ad esempio. E leggere: era sempre molto informato. Insoddisfatto, solitario, non gli riusciva facile stabilire un buon rapporto con gli altri: la sua storia è segnata da incontri non felici. Ma credo abbia pagato il conto dei suoi errori, e soprattutto di quelli degli altri. No, non era un camorrista: lo ha detto una sentenza, che ha analizzato i fatti, e lo provava il suo carattere. Un isolato, che anche quando stava in mezzo agli altri, non si mescolava con la compagnia. Era orgoglioso: e per arrestarlo attesero che arrivasse una troupe televisiva per poterlo mostrare a lungo con le manette. Era anche, a suo modo, un puritano: un' avventura diventava per lui un legame; e la prima accusa che gli fecero, fu: ladro. Dicevano che aveva rubato dei soldi ai terremotati, lui che aveva raccolto miliardi per aiutarli. Era intellettualmente altero, e presero per buona la testimonianza di un cialtrone già condannato per calunnia, un tipo dal quale non avreste comprato un aspirapolvere, un esibizionista che aveva riempito le cronache di strampalate e assurde avventure. Lo vidi, una vigilia di Natale, in carcere: piangeva. E ripeteva con insistenza ossessiva: perché? Perché certe cronache rancorose, perché gli inventavano barche che non possedeva, conti bancari inesistenti, conoscenze mai frequentate, o addirittura intravviste: pareva avesse scoperto che esiste l' odio. E quelli che la giustizia considerava le prove della sua malvagità, detenuti con molti trascorsi, nelle caserme dei carabinieri concedevano interviste, pasteggiavano con lo spumante, posavano come indossatori, ricevevano le morose e le ingravidavano; tra Tortora e i giudici si era scatenata una sfida, non la ricerca della verità. E guai se qualcuno, senza preconcetti, poneva, e si poneva, una domanda: e se fosse innocente? Era da sempre liberale, ma si sentì abbandonato anche da quegli amici. E i radicali gli offrirono solidarietà e un posto nelle loro liste elettorali: fui testimone di quella decisione, e onestà vuole che io dica che non la condividevo. Pensavo che la sua storia doveva restare fuori dalla politica: e probabilmente sbagliavo. Se non fosse diventato un caso sociale, il suo destino sarebbe stato ancora più complicato. L' esperienza napoletana lo aveva segnato per sempre: fu così anche per un altro carcerato illustre, Giovanni Guareschi. Non poteva più dare al suo pubblico i vecchi giochi, quello che la platea, in fondo si aspettava: davanti alle telecamere c' era un' altra persona, una faccia sulla quale era impossibile intravvedere il sorriso. Già il male si faceva sentire: e gli occorreva tanto coraggio per tenere in piedi due rappresentazioni: una negli studi, l' altra sulle piazze o in Parlamento, per ricordare l' ossessionante copione che aveva dovuto recitare, e perché voleva che storie come la sua non accadessero più. E' morto, praticamente, in diretta: ma non per sbigottire, per porsi ancora una volta al centro, sotto la luce dei riflettori, ma perché voleva dissipare ogni dubbio sulla sua pulizia, sulla onestà dei suoi propositi. Continuava ad offenderlo anche l' ombra del sospetto; voleva dire: Vedete come me ne vado, come una sentenza mal costruita può distruggere una esistenza. Voleva che si accendesse ancora una volta la luce rossa delle telecamere per mostrare il volto distrutto di Enzo Tortora, povero divo della televisione che aveva parlato soprattutto dei buoni sentimenti, e se ne andava vittima di incoscienza e di malvagità. Era la sua ultima protesta, l' ultimo comizio, e anche un addio. Perché sapeva: e non aveva più illusioni. Io non penso che i giudici, che pure hanno i loro difetti, perché appartengono al genere umano, siano cancerogeni: ma sono convinto che Enzo Tortora (NELLA FOTO IN ALTO), dopo quel verdetto della Corte di Assise, non poteva più trovare il posto giusto, il suo linguaggio: tutto era, o sembrava, eccessivo, la sua protesta e il suo dolore. Bisogna ricominciare, dicevano: ma da dove? Perché la diffidenza non distrugge? Della carriera parlamentare suppongo gli piacesse soprattutto il titolo che gli competeva: onorevole. Vuol dire stimabile. Addio, onorevole Tortora.

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