giovedì 13 febbraio 2014

LA DIREZIONE PD DICE (TUTTO TRANNE CHE DEMOCRATICAMENTE) CHE SI PASSI DAL GOVERNO LETTA AL GOVERNO RENZI,IL NUOVO CHE NON TRAMAVA (13/02/2014)

Di Giampaolo Carboni.
Matteo Renzi è sempre stato un uomo di parola:prima di parlare di come è andata la Direzione del Pd (da oggi Partito Demolito o Partito Distrutto ma anche e a mia ragione soprattutto Partito Anti Democratico) è giusto fare un breve riassunto delle dichiarazioni del suo segretario in metamorfosi,quello che doveva cambiare verso nel senso di fare una nuova legge elettorale ospitando nella sede del suo partito un pregiudicato condannato e con diversi processi pendenti,e che diceva a proposito di un suo esecutivo senza legittimazione popolare:

"Noi vogliamo che il governo arrivi alla fine del proprio percorso con convinzione e saremo i più leali a dare una mano al tentativo di Enrico Letta" (24 novembre 2013)

"Da mesi leggo sui giornali che Renzi vuole il posto di Letta: se avessi ambizioni personali, avrei giocato un'altra partita, non mi sarei messo a candidarmi alla segreteria del Pd" (3 dicembre 2013)

"Voglio cambiare l'Italia, non cambiare il governo". "Punto a far lavorare il governo, non a farlo cadere. Enrico ci ha chiesto un patto di coalizione e io sono d'accordo" (10 dicembre 2013)

"Tutto il Pd aiuterà Enrico nel semestre di presidenza europea" (15 dicembre 2013)

"Per il 2014 il Premier è e sarà Enrico Letta" (22 dicembre 2013)

"Nessuna intesa tra Letta, Alfano e me. Non voglio assolutamente essere accomunato a loro, integrato come in uno schema: io sono totalmente diverso, per tanti motivi. Ma non ho alcun interesse a mettere pedine e scambiare caselle" (29 dicembre 2013)

"Enrico non si fida di me, ma sbaglia: io sono leale" (12 gennaio 2014)

"Il governo Letta deve lavorare per tutto il 2014" (13 gennaio 2014)

"Creiamo un hashtag 'enricostaisereno', nessuno ti vuole prendere il posto, vai avanti, fai quel che devi fare, fallo" (18 gennaio 2014)

"La staffetta Letta-Renzi non è assolutamente all'ordine del giorno. Io, sia chiaro, sto fuori da tutto" (5 febbraio 2014)

"Ma perché dobbiamo andare a Palazzo Chigi senza elezioni? Ma chi ce lo fa fare? E ci sono anch'io tra questi, nessuno di noi ha chiesto di andare al governo" (10 febbraio 2014)

Veniamo ora alla Direzione del Pd odierna:Renzi prende sotto braccio Letta e lo accompagna all’uscita. Il presidente del Consiglio non andrà in Parlamento per formalizzare la crisi (come chiedono Forza Italia e M5s) ma prende in ogni caso lo schiaffo dal suo partito. E, pochi minuti dopo il voto della Direzione nazionale che benedice la relazione del segretario con 136 e appena 16 no, il presidente del consiglio annuncia seccamente che domani sarà al Quirinale con le dimissioni in mano. Che forma prenderà il prossimo esecutivo? Nel corso di una conferenza stampa Angelino Alfano, attuale vicepremier e ministro dell’Interno, annuncia il sostegno del Nuovo Centro Destra, a patto che non sia un “governo politico di centrosinistra” (e Formigoni mette in guardia dall’imbarcare Sel e grillini). Alfano usa però toni aspri, difende i risultati conseguiti, attacca il Pd che lo fa cadere “per scontri interni”. Il non detto è l’ostilità del premier in pectore verso l’ex delfino di Berlusconi: potendo, Renzi farebbe volentieri a meno di annoverarlo nella nuova compagine. Certo che l’allargamento verso sinistra nasce male, dato che il leader di Sel Nichi Vendola è il più severo fustigatore del sindaco di Firenze: “Una tipica manovra di Palazzo, anche molto triste dal punto di vista dei rapporti umani. Così non nasce niente di buono”. Al confronto è molto più disponibile il segretario della Lega Matteo Salvini, che a Renzi chiede un incontro “un minuto dopo l’incarico”.Solo Civati e i suoi votano contro la relazione che mette alla porta il capo del governo. Tutti gli altri (sinistra del partito compresa) no. Gianni Cuperlo aveva chiesto di non votare, per salvare almeno le forme, ma il regolamento prevede una pronuncia del “parlamentino” sulle relazioni del segretario. In più lo prevedono anche le norme della chiarezza politica, si potrebbe dire. Alla fine, poco dopo le 18, la Direzione nazionale approva la mozione del segretario (leggi il testo) con 136 sì, 16 no e due astenuti. La “staffetta” – anche se Renzi ha esortato a non chiamarla così – è benedetta dal partito. Pochi minuti dopo il voto, Enrico Letta detta una nota: “A seguito delle decisioni assunte oggi dalla Direzione nazionale del Partito Democratico, ho informato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, della mia volontà di recarmi domani al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio dei ministri”.Letta non parlerà più per tutta la giornata, salvo un tweet di ringraziamento “per i tanti messaggi ricevuti”. I restroscena lo danno rassegnato, del resto la sfiducia arriva dal suo partito, che è anche il partito di maggioranza relativa. Le conseguenze di ciò che accadrà d’ora in poi saranno interamente sulle spalle di Matteo Renzi. Per tutto il giorno, in processione a Palazzo Chigi, lo implorano di dimettersi prima, di evitare una plateale rottura del partito. Ma lui tiene il punto. Arrivano a Palazzo Chigi i capigruppo Zanda e Speranza ed il capo della segreteria renziana Guerini, re magi che portano in dono al premier l’ultima offerta (che poi il Pd smentirà con una secca nota): posti di tutto riguardo nel nuovo governo. Letta li liquida rapidamente ed è secco il suo rifiuto.
E Silvio Berlusconi? Riunisce lo stato maggiore del partito in piazza San Lorenzo in Lucina e ribadisce quello che va dicendo in questi giorni: vediamo che cosa succede nelle prossime ore, in ogni caso noi restiamo determinanti. Il pregiudicato-decaduto-in attesa di esecuzione della pena guiderà la delegazione azzurra al Quirinale per le consultazioni. Ma certo è pronto, all’occorrenza, a far pesare a Renzi la scelta di entrare nella stanza dei bottoni senza un passaggio parlamentare e senza passare per le elezioni, dopo averle invocate fino all’ultimo. Domani Berlusconi volerà in Sardegna per chiudere la campagna elettorale del governatore Ugo Cappellacci. Alla fine c’è l’assassino, ma manca il movente. Il 18 gennaio Renzi aveva lanciato addirittura un hashtag su Twitter (“Enricostaisereno”), oggi “ringrazia il presidente del Consiglio per il notevole lavoro svolto alla guida del governo, un esecutivo di servizio nato in un momento delicato. E per il significativo apporto dato in particolar modo per il raggiungimento degli obiettivi europei”. Una formula di poche parole neanche tanto addolorate da presidente di società di calcio che esonera l’allenatore. Quale sia il punto di svolta che ha trasformato Renzi da Dottor Jekyll a Mister Hyde nessuno ancora l’ha capito. Renzi pretende dunque un cambio della guardia “all’inglese”: il nuovo leader del partito prende anche la guida del governo. Propone un governo per una “legislatura costituente“, quindi fino al 2018 perché “il Pd si deve assumere la responsabilità”. Nessun processo al governo, sottolinea, ma non è una staffetta perché “vorrebbe andare nella stessa direzione e alla stessa velocità, mentre qui si decide un cambio di passo”. Il segretario non nasconde l’orgoglio (in una sfida a distanza con lo stesso Letta che ieri aveva provato a passare dalla difesa all’attacco). Anzi non si vergogna di chiamarla “ambizione”. ”Parlano dell’ambizione smisurata di Renzi, del Pd – ha spiegato – Vi aspetterete che smentisca queste parole e invece non lo faccio. Dobbiamo avere un’ambizione smisurata. Il segretario, come l’ultimo delegato”. Non nega che ci sia un rischio, “ma chi fa politica ha il dovere di rischiare in alcuni momenti. Vale anche per me”. Contenuti pochi, al momento, a parte la feroce definizione data al programma presentato da Letta: “Contributo”. Niente contenuti, quando ci si limita alla politica. Proprio Letta ha atteso il voto da Palazzo Chigi perché voleva il timbro su una decisione che con il passare delle ore è diventata largamente maggioritaria tanto che – oltre all’Areadem di Franceschini, il cui voto favorevole era scontato – anche la minoranza Pd in una riunione precedente alla direzione nazionale aveva dato il via libera a Renzi, presente il nume tutelare Massimo D’Alema. Il presidente del Consiglio non c’era alla direzione. Il paradosso è che ha atteso il voto seguendo la diretta streaming di una riunione del suo partito che quasi in massa gli ha voltato le spalle. Al capezzale, con lui a Palazzo Chigi, i ministri del Nuovo Centrodestra: Alfano e gli altri. “Decidete con serenità” scrive Letta in una nota alla direzione nazionale. Forse c’è dell’ironia, nella speranza che la serenità sia la stessa che gli ha augurato il suo segretario che ora vuole prendere il suo posto.
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