L’accordo Italia-Francia sulla delimitazione delle acque per la pesca non è stato approvato dal Parlamento, quindi non è in vigore. Ma se e quando entrerà in vigore avrà vita brevissima: nel 2022 scatta la liberalizzazione delle acque, chiunque potrà pescare ovunque a condizione che rispetti i regolamenti territoriali che tutelano le specie ittiche e l’ambiente marino. Peraltro il patto firmato a Caen il 21 marzo 2015 non regala alla Francia quaranta miglia di mare, come ha sostenuto il parlamentare Mauro Pili: una volta superato lo scoglio del Parlamento italiano, il confine dello spazio francese si sposterebbe di un solo miglio che contiene la fossa del Cimitero, cinque punti di pesca profondi da 550 a 900 metri chiamati dagli operatori Cimitero, Fuori Sanremo, Ossobuchi, Vapore e il Banco. Un’area ricchissima di gamberoni rossi più un’altra area tra la Corsica e l’isola d’Elba dove abbondano i pesci spada. Ma i pescatori italiani - e i sardi - guadagnerebbero tre secche nel mare tra la Capraia, l’Elba e la Corsica: chi ha perso in questa operazione, che non è una cessione ma uno scambio? Una risposta può arrivare solo dagli operatori del mare. Ed è proprio su questo punto che lo scorso 27 gennaio sedici parlamentari del M5s fra cui il cagliaritano Roberto Cotti hanno rivolto un’interrogazione ai ministri della Difesa e degli Esteri partendo da un episodio avvenuto il 14 gennaio: il peschereccio italiano Mina è stato fermato dalla gendarmeria francese per un presunto sconfinamento in acque territoriali francesi proprio in base alla nuova delimitazione stabilita a Caen. Un atto arbitrario, considerato che quell’accordo non è valido fino alla ratifica del parlamento italiano. La risposta del sottosegretario agli esteri Benedetto Della Vedova è stata infatti categorica: confermato che l’accordo non è ancora applicabile, il viceministro ha sostenuto che «l’unico strumento pattizio nel caso in specie è la convenzione tra Italia e Francia per la delimitazione delle zone di pesca nella baia di Mentone del 18 giugno 1892, che ha tra l’altro valore consuetudinario perché è stata sempre applicata pur non essendo mai stata ratificata». Sarà per questo, rifacendosi a un accordo di 124 anni fa mai ratificato, che i francesi hanno giocato d’anticipo convinti che anche stavolta si dovesse fare così? Ma a spiegare la questione, sollevata in questi giorni dai pescatori di Alghero, è Massimiliano Piras, docente di diritto della navigazione all’Università di Cagliari: «In materia di pesca la disciplina è fortemente caratterizzata dall'intervento comunitario - avverte Piras - che ambisce a regolare l'attività in funzione di salvaguardia delle risorse. In linea di principio, in base alle regole generali sulla libera prestazione dei servizi e circolazione dei lavoratori, tutti i pescherecci battenti bandiera di uno stato membro e immatricolati nell'Unione Europea hanno accesso alle acque di qualunque stato membro, dove possono esercitare la libertà di pesca purchè rispettino le condizioni stabilite in funzione della tutela ambientale e delle specie ittiche. Peraltro fino al 2022 gli stati possono limitare l'accesso ai pescherecci che operano tradizionalmente in quelle stesse acque». Ma tra sei anni qualsiasi confine salterà. L’attività è regolata da tempi remoti: «Esistono diritti di esclusiva - avverte Piras - e anche accordi transfrontalieri che magari preesistono alla nascita dell'Unione europea. In sostanza, all'estero gli italiani pescano in base ad accordi internazionali o a permessi rilasciati dallo stato interessato». Ma allora perché, se la liberalizzazione è imminente, Italia e Francia hanno avuto fretta di stipulare un accordo di scambio? Questa domanda non ha risposta, così come rimane il mistero sulla mancata pubblicazione del testo di Caen. Fra gli interrogativi, una cosa è certa: quell’accordo può essere sospeso, annullato o modificato su intervento del Parlamento. Chi lo applica, commette un abuso.
(Da "La Nuova Sardegna")
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