sabato 13 febbraio 2016

IL MILAN GIOCA IL JOLLY INZAGHI (24/01/2005)

Di Sandro Piccinini.

Ma cos'è successo a Livorno? Dov'è finito il Milan stellare che solo 7 giorni prima aveva strapazzato l'Udinese? Minimizzare come hanno prontamente fatto Ancelotti e Galliani può essere un utile esercizio difensivo, ma potrebbe pure confondere le idee. Le partite si possono perdere in tanti modi e per tanti motivi, ma subire per almeno 70' il gioco del Livorno deve indurre a una riflessione più approfondita. Non solo per i 5 punti di distacco dalla Juve (che ha ricominciato a correre), ma anche per capire cosa può essere accaduto di tanto eclatante in una settimana all'apparenza normale. Il Milan di Livorno è sembrato svagato e senza personalità, con poca qualità in mezzo al campo e con un attacco quasi impalpabile. Eppure, solo una settimana fa, gli stessi uomini avevano annichilito una delle formazioni più in forma del campionato e il sorpasso nei confronti della Juve sembrava solo una questione di ore. E' vero che nel calcio di oggi le certezze sono poche e fragili, ma una metamorfosi come quella del Milan non può non sorprendere. Le prime ipotesi di spiegazione sono quasi scontate: l'assenza di Pirlo, forse l'unico insostituibile nei delicati meccanismi di gioco dei campioni d'Italia, e i troppi elogi ricevuti in settimana, premessa quasi sempre catastrofica quando poi si affrontano squadre aggressive e in salute come quella di Donadoni. Il Livorno, inoltre, ha messo in campo motivazioni psicopolitiche e la spinta del pubblico ha fatto il resto. Ma una grande squadra dovrebbe reagire proprio nelle situazioni ambientali più ostiche e il Milan, stavolta, non lo ha fatto quasi mai. Anzi, nelle ultime 4 trasferte (Glasgow, Torino, Palermo e Livorno) non è neppure riuscito a segnare un gol e allora parlare di episodio comincia a suonar male. La verità è che il Milan di S. Siro non è lo stesso rispetto a quello formato trasferta e capire il perché potrebbe essere importante. E' vero che nella partita di Torino contro la Juve fu decisivo il disastroso arbitraggio di Bertini, ma è anche vero che il numero delle palle gol create, e soprattutto trasformate, cala vistosamente quando si gioca fuori casa. Gli esterni meno intraprendenti, una minor aggressività in mezzo al campo, attaccanti non troppo ispirati. In queste due ultime partite, poi, compresa quella eccezionale contro l'Udinese, il ritorno di Stam avrebbe dovuto ridare maggior solidità al reparto difensivo e invece, in appena 180', il Milan è stato capace di concedere una decina di palle gol. Non solo. Maldini, con tutto il rispetto per i suoi 20 anni di calcio leggendario, è forse meno disposto di un tempo (giustamente) a logorarsi in galoppate offensive sulla fascia e di cross per le punte ne arrivano meno. Anche il divino Shevchenko avrà diritto a una pausa e il suo compagno di linea Crespo potrebbe risentirne. Ecco, allora, spuntare all'orizzonte la faccia scavata e famelica di un vecchio maniaco del gol: Pippo Inzaghi. Dopo aver rischiato la fine di Van Basten per colpa di diagnosi a dir poco approssimative, l'ex centravanti della Nazionale sembra guarito sul serio. Ancelotti e Galliani, che hanno avuto la pazienza e l'intelligenza di aspettarlo sono diventati improvvisamente premurosi e già mercoledì potrebbero scaraventarlo di forza in campo. In attesa che la nuova difesa con Maldini laterale ritrovi i suoi automatismi, che il rientro di Pirlo ridia un senso al centrocampo e che Ancelotti risolva il mal di trasferta, potrebbe essere proprio Pippo l'uomo della rimonta. Già capace di vincere le partite più difficili con un'unica zampata, l'Inzaghi resuscitato ha una voglia di gol da far paura. Se la caviglia non farà male, la sua esultanza da indemoniato agiterà presto le notti del suo ex amico Luciano Moggi.

(Da "Controcampo")

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