“Schifo”, così intitola “Il Littoriale” del 23 settembre del 1935 (NELLA FOTO IN ALTO) l’articolo con il quale comunica e commenta la fuga dei tre italo-argentini in forza alla compagine giallorossa avvenuta quattro giorni prima. “Tre giocatori della Roma, Guaita, Scopelli e Stagnaro, sono fuggiti dalla Capitale e, dopo una breve sosta a Mentone, sembra siano arrivati a Parigi”. Siamo a due giorni dall’inizio del campionato e la Roma dopo una splendida campagna acquisti punta decisamente allo scudetto. Nella stagione precedente l’attacco giallorosso, il migliore della Serie A, ha messo a segno sessantatré gol dei quali il sessanta per cento suddivisi tra Guaita (autore di ben ventotto reti) e Scopelli (che ne fece undici). La difesa invece ha incassato trentotto gol; fin troppo evidente quale fosse il reparto da rinforzare. Dall’Ambrosiana Inter arrivò Gigi Allemandi e dal Bologna Eraldo Monzeglio, che insieme costituivano la difesa dell’Italia Campione del Mondo un anno prima. Poi dall'Alessandria arriva Cattaneo e dal Cagliari D’Alberto. Alla fine in squadra ci sono ben quattro Campioni del Mondo: Masetti, Allemandi, Monzeglio oltre al Corsaro Nero Guaita. Una Roma da sogno. La fuga dei “Tre Moschettieri” ha le sue origini con l’avvicinarsi della Guerra d’Etiopia e il timore di venir “spediti” al fronte. Il 19 Settembre i tre, come del resto tutti i giovani italiani, sono convocati per la visita militare obbligatoria. La Roma, come tutte le squadre all'epoca, ha chiesto come da prassi che il servizio militare sia svolto nella capitale. Del resto non è difficile ottenere questa possibilità, anzi. Il calcio è un’enorme macchina propagandistica del regime fascista ed ai calciatori sono concessi vari favori. Ma i tre, pur rassicurati dalla dirigenza giallorossa, non sentono ragioni ed organizzarono per il giorno stesso la “Grande Fuga”. Per questa ragione il colpo subito dalla propaganda è forte e forti sono le reazioni e i comunicati dell’allora regime fascista. “Di pecore travestite da leoni domenicali non abbiamo bisogno ne crediamo opportuno continuare a nutrirci delle serpi in seno” scrisse sempre in quel 23 settembre il Littoriale. Arrivati in Costa Azzurra i tre s’imbarcano per il Sud america. Da lì a poco l’Italia entrerà in guerra in Etiopia, arriveranno le sanzioni della Società delle Nazioni, il regime autarchico entrerà nel vivo e le fabbriche saranno “invitate” a “produrre cannoni invece di burro”. Davvero i tre giallorossi rischiarono di andare al fronte? Stando a quanto successe in precedenza in simili occasioni e quanto successe in seguito possiamo dire davvero di no. C’è quindi una spiegazione diversa? “Furono in parecchi tra i quali alcuni aspiranti dirigenti giallorossi a fare pressione sui tre perché abbandonassero l’Italia. La ragione è la solita. Invidie, timori, manie di grandezza e tante altre cose. Questo è l’ambiente” (stando a quanto scirtto in “Vita segreta della Roma” scritto da Gabriele Tramontano nel 1964). Inoltre l'allora Presidente del Coni Achille Starace era laziale oltre che un gerarca fascista e si dice che fece trapelare che avrebbe chiamato pure i calciatori. L’unica certezza e probabilmente la sola verità è che una Roma di queste “dimensioni” procurava davvero fastidio a qualcuno. Ora, alla luce di quanto successo, il compito di mister Barbesino divenne davvero difficile. Per risolvere i problemi relativi alla fase offensiva schiera nella prima giornata contro il Torino il terzino Gadaldi in attacco. La Roma s’impose per uno a zero, ma non fu certo la soluzione definitiva. A Testaccio il pubblico era abituato oramai a vedere splendide azioni e gol a grappoli, ora invece tutto il gioco si sviluppava sulla granitica fase difensiva. Quindi si vinceva o si perdeva di misura. Nel girone di andata la Roma riuscì a gonfiare la porta avversaria appena nove volte. Il 9 Febbraio del 1936 a Napoli, l’allenatore Barbesino buttò nella mischia il ventenne Dante Di Benedetti al centro dell'attacco. La partita finirà due ad uno per la Roma e segnerà proprio lui un gol. Il ragazzo con il suo entusiasmo e con la forza fisica che mette in campo, oltre a buone doti tecniche, risolse i problemi della Roma: settereti in tredici partite ma soprattutto conferì all'attacco il suo vero ruolo. La Roma conseguì buoni risultati da quel momento e cominciò a scalare le posizioni in classifica. Alla fine il Bologna vinse il campionato davanti alla Roma per un solo punto, e questo non fece che aumentare il rammarico. Questo campionato della Roma fu quasi un miracolo. Un miracolo di saggezza, abnegazione, volontà e prudenza. I lupi diedero tutti un rendimento ammirevole, reagendo al duro colpo che la sorte aveva voluto infliggere alla vigilia. Insidiarono la vittoria bolognese sino alla fine, dopo aver colto, nel girone di ritorno, un notevole numero di schietti successi.
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