Di Redazione.
In questo giorno attorno alle quindici e trenta si è compiuto il più rocambolesco e incredibile dei sequestri di persona in Italia. I banditi venuti dal mare, si calano dalla ripida scogliera di Capo Pecora e rapiscono due giovanissimi fratelli torinesi, Marina e Giorgio Casana rispettivamente di sedici e quindici anni.
Per il rapimento dei fratelli Casana furono emesse undici condanne per complessivi cento novantotto anni di carcere. Per le modalità fu uno dei rapimenti più incredibili della storia dei sequestri: sei banditi vestiti da pastori, si calarono dalla ripida scogliera di Capo Pecora (NELLA FOTO IN ALTO), a Sud del Golfo di Oristano esattamente a Sant'Angelo tra Iglesias e Fluminimaggiore (il fatto venne denunciato a Portisceddu), raggiunsero l’isolotto dove si trovava la famiglia Casana e minacciarono di rapire la ragazza figlia del funzionario di banca Roberto. Ma intervenne la madre l'allora quarantenne Anna Viola di Campalto che indicò ai rapitori di prendere anche l’altro figlio per non lasciare da sola Marina. Una scelta estrema da parte di una donna che fin dall'inizio cambiò il piano criminale dei banditi, costretti a dover gestire due ostaggi portandoli via su un canotto pneumatico. E fu sempre la madre a collaborare attivamente con la magistratura e le Forze dell’Ordine. Importanti furono anche le testimonianze dell’ex magistrato Ettore Angioni, all'epoca sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari; dell’ex comandante dei Carabinieri Luciano Gavelli, che seguì le indagini; del testimone oculare Gianmaria Sertorio, poi questore vicario della Questura di Reggio Calabria, presente sullo scoglio al momento del rapimento e di Paolo Oggianu, nipote dell’emissario Padre Cosimo Onni (nato a Santu Lussurgiu nel 1925 da una famiglia umile e numerosa e conosciuto nell'isola come il Papa nero che conosceva uno dei sequestratori il poi pentito Luciano Gregoriani e incontrò per la prima volta i sequestratori il 10 ottobre) che dopo sessantuno giorni di prigionia, recatosi all'appuntamento coi sequestratori consegnò la tranche finale della cifra prevista come riscatto (cinquecento milioni di lire suddivisi in due tranche da duecento cinquanta la prima fu pagata il 20 ottobre nella strada provinciale tra Fonni e Desulo la seconda il giorno seguente) e restituì Marina e Giorgio ai genitori rilasciandoli tra Gavoi ed Ovodda dopo che il 20 settembre anche Papa Giovanni Paolo II fece un appello radio per la loro liberazione.
Il processo ai rapitori dei fratelli Casana fa da apripista: il 18 febbraio del 1982 a Cagliari si inaugurò il maxi dibattimento con dodici sequestri compiuti dalla cosiddetta “Superanonima Sarda” una monumentale istruttoria espletata dal giudice Luigi Lombardini e dall'allora sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari Ettore Angioni, con alla sbarra un centinaio di imputati ed una sentenza emessa il 20 dicembre di quello stesso anno per un complessivo di mille duecento sedici anni di carcere.
I RESPONSABILI
Salvatore Brodu, di Nuoro, pastore di trentacinque anni condannato a diciassette anni.
Francesco Carta, di Arbus (Ca), pastore di ventisei anni, condannato a vent'anni poi ridotti a diciassette.
Giovanni Carta, di Nuoro, pastore di trentuno anni, condannato a diciassette anni.
Salvatore Coinu, di Fonni (Nu), allevatore di trentaquattro anni, condannato a ventitré anni (proprio del capannone a Paulilatino che fu il primo luogo di prigionia dei due ragazzi) arrestato il 22 novembre 1979 con Pierino Atzeni, Salvatore Fais (noto Speedy Gonzales e condannato a ventinove anni al termine del maxi dibattimento) e Luciano Gregoriani.
Giovanni Daga, di Nuoro, allevatore di ventisei anni, condannato a diciassette anni.
Roberto Fenudi, di Ottona (Nu), operaio di ventiquattro anni, condannato a ventidue anni.
Luciano Gregoriani, di Santu Lussurgiu (Or), autotrasportatore di trentatré anni nonché primo collaboratore di giustizia nella storia dell'Anonima Sequestri, condannato ad undici anni (pena ridotta proprio per la collaborazione con la giustizia). Arrestato il 22 novembre 1979 si pentì pochi giorni dopo. La moglie Franca Porcu inizialmente non era d'accordo con la sua decisione di pentirsi ma poi disse che il marito lo fece perché Francesco Cossiga aveva promesso che sarebbe stato graziato. Morirà in Venezuela (dove si era trasferito dopo aver scontato due anni di prigione nel giugno del 1983 ed aver ottenuto un regolare passaporto rilasciato dalla Corte d'Assise di Cagliari poi quando venne a mancare suicida il dottor Luigi Lombardini per paura di una vendetta decise di ritornare in Italia e costituirsi il 18 ottobre 1998 per scontare nove anni di galera salvo poi tornare nel paese sudamericano dopo aver ricevuto ulteriori garanzie per sé ed i suoi familiari) il 16 maggio del 2012.
Giuseppe Mureddu, di Lodine (Nu), pastore di trentaquattro anni, condannato a ventidue anni.
Andrea Murru, di Talana (Nu), pastore di quarantacinque anni, condannato a diciassette anni.
Giuseppe noto Peppino Murru, di Talana (Nu), pastore di trentanove anni, condannato a vent'anni.
Francesco Porcu, di Borore (Nu), pastore di ventuno anni, condannato a dodici anni.
AGGIORNAMENTO DEL 22/05/2024:LA MORTE DI MARINA CASANA
"I suoi occhi azzurri non hanno mai perso di intensità e hanno il colore del mare della Sardegna. Non sarà certo la morte a cancellare l’affetto profondo, il legame che ci ha tenuto uniti. Per me è come che Marina non sia morta: abbiamo vissuto insieme e quella esperienza drammatica del sequestro ci ha reso ancora più inseparabili". Giorgio Casana parla di sua sorella Marina, morta quest'oggi a sessantuno anni all’ospedale Gradenigo di Torino dove era ricoverata da una decina di giorni per un problema ai polmoni. Quel numero, il sessantuno, è un dato che ritorna, come i sessantuno giorni di prigionia, un tempo che allora sembrò infinito nelle mani dei banditi dell’Anonima sequestri che riuscirono a farsi pagare un riscatto di cinquecento milioni di lire rispetto ai cinque miliardi richiesti. Tutti arrestati e condannati, undici, a cento novantotto anni di carcere. Il gesuita padre Cosimo Onni si adoperò come mediatore per la liberazione dei due ragazzi, fu la persona che si recò all’appuntamento coi sequestratori con la sua 124 grigia, consegnò la tranche finale della cifra prevista come riscatto. "Allora non avevo capito, ero solo un ragazzo". Poi un particolare inedito. "Non ho mai perdonato. Non è un crimine che merita il perdono il sequestro di persona. Un anno dopo la liberazione, quando avevo sedici anni e mezzo, la moglie di uno dei banditi mi telefonò. Voleva che mi pronunciassi pubblicamente per il perdono, serviva per fare ottenere al suo uomo i benefici di legge, credo. Con fermezza dissi no. E anzi, consigliai di restituire i soldi del riscatto, sarebbe stato quello sì un segnale". Erano due adolescenti Giorgio e Marina (lui quindici e lei sedici anni) quando nel primo pomeriggio del 22 agosto 1979 vennero prelevati da un commando di almeno sei uomini che entrò in azione davanti alla scogliera di Capo Pecora, a pochi chilometri da Fluminimaggiore. "Due gemelli mancati, ci separano quattordici mesi", dice Giorgio Casana. Per annunciare la scomparsa della sorella, Giorgio ha scelto una foto di lei bambina: "Quegli occhi come il mare me li porterò per sempre con me. Lei era una buona, davvero una bravissima persona, con tanti amici e molteplici interessi. So che il suo ricordo vivrà anche nei racconti e nelle storie che racconteranno i suoi amici". A poche ore dalla morte della sorella, Giorgio rivive inevitabilmente i momenti del sequestro, in quella stagione terribile del 1979, un anno drammatico: in Sardegna ci furono contemporaneamente una decina di rapimenti con sedici ostaggi, di cui sette donne. E tra questi, oltre a Giorgio e Marina Casana, anche Fabrizio De André e Dori Ghezzi, ed anche la famiglia Schild (il cognome venne confuso dai banditi con quello dei banchieri Rothschild), Luisa e Cristina Cinque ed Ornella Fontana. Dice Giorgio Casana "Del sequestro si parlava di rado, poi qualche anno fa abbiamo deciso insieme di partecipare al docufilm della Rai che ha raccontato la nostra vicenda. È stata la prima occasione per sentire separatamente le nostre storie e per dirci anche cose che erano rimaste inespresse. Io in fondo cercai di uscirne subito. Sono fatto così e pensai: devo ricominciare, ho un bagaglio di esperienza in più e bisogna andare avanti. Marina ci ha messo un po’ di più a smaltire una vicenda così forte. Ho detto che è stato un momento catartico, ci siamo raccontati a vicenda e sono emerse emozioni non dette". Mette in ordine i ricordi di quei due mesi di prigionia Giorgio Casana, e parte da quando sua mamma Anna Viola di Campalto diede l’ordine ai banditi: "La ragazza da sola non viene, prendete anche il fratello", così si espresse mia mamma, con una decisione e una autorità che portò i banditi ad ubbidire. "Ci portarono via entrambi, in costume e scalzi. Fratello e sorella, insieme anche nel sequestro, una mossa che ci ha salvato". E prima di vederli sparire la mamma dei due ragazzi si rivolse a loro con una raccomandazione: siate educati. "Ed in effetti lo fummo anche, forse trasmettendo un po’ della nostra educazione a quei disperati che ci portarono via". Dei momenti della prigionia non emergono ricordi particolari: "Eravamo due ragazzi, abbiamo provato a non perdere mai la speranza. Anche nella settimana prima della liberazione, quando ci fecero credere che le trattative erano precipitate e che rischiavamo di essere uccisi". Due teloni di plastica come tetto e cespugli come stanze di una casa, nella zona di Ovodda si scoprì poi. "Giornate infinite, il cibo non era il massimo. Giocavamo a carte, a scopa. Abbiamo cercato, per necessità, ad instaurare un rapporto che si è sciolto dieci minuti dopo la liberazione. Tutto quello che abbiamo fatto era perché lo ritenevamo razionalmente utile alla causa". Marina non si faceva sfuggire niente, già dai primi momenti del rapimento. Quando ci spostarono a bordo di un’auto lei contava lungo il percorso, memorizzava le curve e le deviazioni. Annotava i numeri sotto la pianta dei piedi. Ricorda Giorgio Casana "Era come uno 007 e li faceva parlare, anche di cose loro familiari. Tutti particolari che poi sono tornati utili agli investigatori per identificare i rapitori. Marina è stata bravissima, le sue relazioni furono decisive". Sabato 25 alle undici l’ultimo saluto nella chiesa di San Massimo a Torino. "Non so se riuscirò a parlare. Marina è con me. Fratello e sorella per sempre".
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