Di Redazione.
Non vi era una unanimità circa la necessità di giudicare o meno il sovrano. La maggioranza parlamentare era favorevole, ma alcuni leader montagnardi, tra i quali Robespierre e Saint-Just, premevano per una condanna senza processo, nel timore che un'eventuale assoluzione del re gettasse discredito sulla Rivoluzione. Il resto della Montagna era però in linea con le idee dei Girondini - anche se questi ultimi avrebbero preferito un rinvio - e della Pianura: il 5 dicembre la Convenzione nazionale decise di processare il sovrano ed il 10 venne presentato un Atto enunciativo dei crimini di Luigi, tra i quali l'alto tradimento a causa dei documenti dell'armadio di ferro. Contrariamente ai regolari processi svoltisi alla Conciergerie, venne deciso di svolgere il processo a Luigi XVI presso l'aula del parlamento del Palazzo delle Tuileries, dinnanzi ai deputati dell'Assemblea nazionale costituente, i quali ebbero il compito di decidere sulla sorte dell'ex sovrano una volta terminato il processo. La prima apparizione di Luigi davanti all'Assemblea avvenne il 21 dicembre. Il sovrano decise di affidare l'organizzazione della difesa a Tronchet e Malesherbes, i quali individuarono nel giovane Raymond de Sèze l'avvocato giusto per l'arringa, pronunciata il 26. Dal 14 gennaio i deputati furono chiamati a esprimersi sulla colpevolezza dell'imputato, sull'opportunità di rivolgersi al giudizio popolare e sull'eventuale pena da infliggere al re. Il primo punto non fu soggetto a divisioni: la colpevolezza fu votata quasi all'unanimità. Anche circa il ricorso al popolo venne subito raggiunta la maggioranza. 423 deputati si opposero, mentre 286 votarono a favore: il timore era che il popolo, in gran parte ancora intimamente monarchico e sconvolto in maniera crescente dalla persecuzione inflitta a chi rimaneva fedele alla Chiesa di Roma (pochi mesi dopo sarebbe scoppiata la consistente rivolta realista e cattolica della Vandea), non emettesse un giudizio unanime contro il sovrano. Il dibattito sulla pena fu più lungo e combattuto, dal momento che il primo scrutinio rivelò un grande equilibrio tra i sostenitori della pena di morte (366) e coloro che espressero parere negativo (355). La Gironda, favorevole alla sentenza capitale, ne chiedeva tuttavia il rinvio. Lanjuinais propose che il verdetto fosse approvato solo con un maggioranza dei due terzi, ma Danton fece bocciare la richiesta. La condanna a morte ottenne una maggioranza sufficiente il 17 gennaio 1793, con 387 voti favorevoli e 334 contrari. Raggiunto l'accordo sulla pena, restava da deciderne l'eventuale rinvio, bocciato il 19 gennaio con 383 voti contro 310. Il giorno della decapitazione, Re Luigi XVI, dopo essere stato tenuto prigioniero nella Torre del Tempio, venne portato sul luogo delle esecuzioni in carrozza e non sulla carretta dei condannati, questo fu l'unico privilegio che gli venne concesso per evitare le umiliazioni della folla ma anche per ragioni di sicurezza; inoltre, vestì di bianco e teneva in mano il libro dei Salmi. Venne ghigliottinato in questo giorno in Piazza della Rivoluzione, l'attuale Place de la Concorde. La condanna fu eseguita dal boia Charles-Henri Sanson. Morì come cittadino Luigi Capeto e le sue ultime parole furono: «Signori, sono innocente di tutto ciò di cui vengo incolpato. Auguro che il mio sangue possa consolidare la felicità dei francesi». Secondo altre testimonianze disse anche: «Perdono coloro che hanno causato la mia morte e spero che il mio sangue non debba mai ricadere sulla Francia». Un assistente del boia mise all'asta i capelli e parte dei vestiti del re, e molti ne raccolsero il sangue. A mantenere l'ordine durante l'esecuzione fu un consistente assembramento di soldati rivoluzionari. Alla sua morte, il figlio di soli otto anni, Luigi-Carlo di Francia, divenne automaticamente, per i monarchici e gli stati internazionali, il re de jure Luigi XVII di Francia. La moglie, Maria Antonietta, lo seguì sulla ghigliottina il 16 ottobre 1793. Per l'esecuzione fu seguito il medesimo cerimoniale utilizzato per il marito. Alla regina fu vietato di indossare abiti vedovili durante il tragitto dalle prigioni alla ghigliottina, per cui al posto dell'abito nero che portava dal giorno della morte del re, indossò un vestito bianco, l'antico colore del lutto per le regine di Francia.
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