martedì 14 maggio 2013

L'ATTENTATO A GIOVANNI PAOLO II (13/05/1981)

Di Giampaolo Carboni.


Papa Giovanni Paolo II subì un attentato da parte di Mehmet Ali Ağca (VEDI FOTO), un killer professionista turco, che gli sparò due colpi di pistola.Pochi minuti dopo essere entrato in piazza San Pietro per un'udienza generale, mentre si trovava a bordo della sua Papamobile scoperta, Karol Wojtyła fu ferito gravemente da due proiettili sparati da Ali Ağca. Soccorso immediatamente, fu sottoposto ad un intervento di 5 ore e 30 minuti riuscendo a sopravvivere:« Sono le 17.17.. Ali Ağca ha colpito il pontefice con due proiettili esplosi da una pistola Browning calibro 9 da una distanza di tre metri e mezzo. Il primo proiettile ha raggiunto il papa all'addome, ha attraversato l'osso sacro, è uscito dai lombi, ha sfiorato lo schienale della Fiat Campagnola bianca e ha colpito al torace la pellegrina americana Ann Odre, alla quale verrà asportata la milza. Il secondo proiettile ha fratturato l'indice della mano sinistra del pontefice, gli ha ferito di striscio il braccio destro appena sopra il gomito e ha colpito al braccio sinistro un'altra turista statunitense, Rose Hall. [...]. In ambulanza [il papa] è assistito dal suo medico personale, Renato Buzzonetti. Privo di conoscenza, è portato in sala operatoria. Il polso è quasi impercettibile. [...]. Riceve l'unzione degli infermi dal segretario particolare, don Stanislao Dziwisz. L'anestesista gli toglie l'anello dal dito. Malgrado la perdita di tre litri di sangue stia per provocare la morte per dissanguamento, il cuore regge. [...]. L'intervento è portato a termine con successo»(Giacomo Galeazzi, Ferruccio Pinotti).
Dimesso dal Policlinico Gemelli il 3 giugno, viene di nuovo ricoverato il 20 dello stesso mese per una grave infezione. Il 5 agosto i medici del Gemelli lo operano ancora. Dal 14 agosto al 30 settembre il papa trascorre la convalescenza a Castel Gandolfo.Due anni dopo, nel Natale del 1983, Giovanni Paolo II volle incontrare il suo attentatore in prigione e rivolgergli il suo perdono. I due parlarono da soli e gli argomenti della loro conversazione sono tuttora sconosciuti.
Il papa disse poi dell'incontro:« Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui».Tuttavia, Indro Montanelli riportò in seguito alcune parole che Giovanni Paolo II, durante una cena privata del 1986, gli riferì sull'episodio:« «Santo Padre», dissi, «lei andò a trovare in prigione il suo attentatore...». «Carità cristiana...». «Certo, carità cristiana. Ma che cosa riuscì a capire dei moventi e dei fini di quello sciagurato?». [...] «Parlai con quell'uomo», disse, «dieci minuti, non di più: troppo poco per capire qualcosa di moventi e di fini che fanno certamente parte di un garbuglio... si dice così?... molto grosso. Ma di una cosa mi resi conto con chiarezza: che Alì Agcà era rimasto traumatizzato non dal fatto di avermi sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si considerava infallibile, a uccidermi. Era questo, mi creda, che lo sconvolgeva: il dover ammettere che c'era stato Qualcuno o Qualcosa che gli aveva mandato all'aria il colpo». Giovanni Paolo non fece mai, né nel rievocare quell'episodio né in tutto il resto della conversazione, il nome di Dio o della Provvidenza. Disse soltanto: «Qualcuno o Qualcosa». Ma si sentiva benissimo che in quel Qualcuno o Qualcosa nessuno ci crede quanto lui. E aggiunse anche, con un sorriso: «Per di più, essendo musulmano, ignorava che proprio quel giorno era la ricorrenza della Madonna di Fatima...».
L'attentatore venne condannato all'ergastolo dalla giustizia italiana per attentato a Capo di Stato estero (art. 295 CP).Nel 2000 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli concesse la grazia: Ali Ağca, estradato dall'Italia, fu condotto nel carcere di massima sicurezza di Kartal (Turchia), nel quale finì di scontare la pena di dieci anni di reclusione per l'assassinio del giornalista Abdu Ipekci, avvenuto nel 1979.
Ali Ağca non ha mai voluto rivelare in modo chiaro la verità sugli eventi. Ali Ağca ha ripetutamente cambiato versione sulla dinamica della preparazione dell'attentato, a volte affermando addirittura di aver avuto aiuti per compiere l'assassinio del Papa dall'interno del Vaticano.Le lunghe indagini non portarono mai alla scoperta dei veri mandanti dell'attentato. La commissione Mitrokhin del Parlamento italiano, però, analizzando documenti provenienti da Germania ed Ungheria, stilò una relazione di maggioranza, secondo la quale l'attentato sarebbe stato progettato dal KGB in collaborazione con la Stasi, i servizi segreti della Germania Est, con l'appoggio di un gruppo terroristico bulgaro a Roma, che a sua volta si sarebbe rivolto ad un gruppo turco di estrema destra, i Lupi grigi dei quali Ali Ağca faceva parte.Una relazione di minoranza della stessa commissione negò questa tesi; tuttavia, altri documenti scoperti negli archivi sovietici e resi pubblici nel marzo 2005 supporterebbero la tesi che l'attentato sia stato commissionato dall'Unione Sovietica tramite il KDS bulgaro. Le autorità bulgare si sono difese dichiarando che Ali Ağca lavorava per un'organizzazione anti-comunista guidata dai servizi segreti italiani e dalla CIA. La difesa delle autorità bulgare è in parte avvalorata dal fatto che i Lupi grigi erano in effetti al comando del Counter-Guerrilla, il braccio in Turchia della rete "stay behind" Gladio,sostenuta segretamente dalla CIA e da altri servizi segreti occidentali.Le motivazioni che avrebbero portato l'URSS a preparare l'attentato non sono state chiarite; secondo i sostenitori di tale ipotesi, probabilmente l'Unione Sovietica temeva l'influenza che un Papa polacco poteva avere sulla stabilità dei loro Paesi satelliti dell'Europa Orientale, in special modo la Polonia.Tutte queste informazioni vanno considerate come ipotesi, perché ad oggi non sono state comprovate le circostanze e le motivazioni dell'attentato. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, inoltre, dichiarò nel maggio 2002, durante una visita in Bulgaria, di «non aver mai creduto nella cosiddetta connessione bulgara».D'altro lato, l'inchiesta "Armi e droga" condotta dal giudice Carlo Palermo nel 1980, rivelò che Abuzer Ugurlu (capo della mafia turca che permise ad Ali Ağca di entrare in Bulgaria) e Bekir Celenk (contrabbandiere in armi e droga, tramite fra i Lupi grigi e i servizi segreti bulgari, secondo quanto dichiarato da Ali Ağca), per agire in tranquillità, lavoravano come "agenti doppi", sia per l'est sia per l'ovest.A queste informazioni si aggiunge quella del coinvolgimento della mafia nell'attentato, suffragata dal memoriale del pentito di Cosa Nostra Vincenzo Calcara sulle dichiarazioni rese a Paolo Borsellino. Calcara racconta di essere stato personalmente incaricato dall'imprenditore mafioso e massone Michele Lucchese (in contatto con il monsignor Paul Marcinkus) di recarsi a Roma il 12 maggio 1981, per prelevare il giorno successivo due turchi armati in piazza San Pietro. Venti minuti dopo l'attentato, all'appuntamento si presentò solo uno dei due, molto agitato e scortato da un uomo, Antonov, vicino alla mafia bulgara. Assieme al turco, Saverio Furnari (Capo Decina della Famiglia di Castelvetrano) e Vincenzo Santangelo (definito «figlioccio del Nostro Capo Assoluto Francesco Messina Denaro», quest'ultimo il «braccio destro del Triumvirato della Commissione di Cosa Nostra» e padre di Matteo Messina Denaro) tornarono a Milano e da lì si recarono a Paderno Dugnano, a casa di Lucchese, dove Furnari e Santangelo uccisero il turco («la fine dell'asino», che «si usa fino a che serve, dopo, quando non serve più, si uccide!»). Fu Calcara stesso a seppellirlo, ma quando, dopo la morte di Borsellino, tornò sul luogo con i magistrati, il terreno era stato smosso da scavatrici ed il cadavere, dice Calcara, trafugato.Ali Agca ha sempre fatto dichiarazioni contradditorie e confuse sulla vicenda, anche collegando la sua detenzione con la sparizione di Emanuela Orlandi. Nel 2013 ha suscitato una nuova polemica la dichiarazione, contenuta nell'autobiografia del terrorista turco, secondo il quale il mandante "morale" dell'attentato sarebbe stato l'ayatollah Khomeini, ipotesi ritenuta azzardata da molti.Un altro tentativo di assassinio di Giovanni Paolo II avvenne il 12 maggio 1982 a Fatima, quasi un anno dopo il primo attentato: un uomo tentò di colpire il papa con una baionetta, ma fu fermato dai servizi di sicurezza. L'uomo, un sacerdote spagnolo di nome Juan María Fernández y Krohn, si opponeva alle riforme del Concilio Vaticano II e definiva il Papa un "agente di Mosca". Fu condannato a sei anni di prigione e poi espulso dal Portogallo.
Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede analizza l'attentato, mettendolo in relazione con l'ultimo dei Segreti di Fatima. Le differenze sono notevoli: piazza San Pietro non è una ripida montagna e al centro c'è un obelisco egizio, non una grande croce di tronchi grezzi. La città non è in rovina, non è morto nessuno, non gli sparò un gruppo di soldati. D'altra parte è vero che l'attentato è avvenuto nel giorno della ricorrenza della prima Apparizione della Madonna ai pastorelli di Fatima e Giovanni Paolo II, convinto che fu la mano della Madonna a deviare quel colpo e a salvargli la vita, volle che il proiettile fosse incastonato nella corona della statua della Vergine a Fatima.

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