lunedì 1 luglio 2013

QUELLA VOLTA CI RINGRAZIO' PER NON AVERLO UCCISO (14/06/2013)

Di Pier Giorgio Pinna.

«Ci siamo rivisti nel 2010 e Mesina ha ringraziato noi sette della Stradale per avergli risparmiato la vita: "Avevate i mitra s, non li avete usati perché vi siete resi conto di avere davanti non semplicemente un latitante ma una persona in carne e ossa", mi ha confidato a Orgosolo, dove sono andato a trovarlo accompagnando in gita 50 colleghi in pensione come me». Il 26 marzo 1968 Simone Fusto era un giovane vicebrigadiere. Da allora sono passati 45 anni. Ma i ricordi di quella sera sono impressi, nitidissimi, nella sua memoria. Fusto oggi vive a Enna. Lui e i suoi sei compagni furono presto ribattezzati i Magnifici 7. Arrestarono il pericolo pubblico numero 1 d'Italia – sulla cui testa pendeva una taglia di 10 milioni di lire (all’epoca un agente di polizia ne guadagnava 60mila al mese) – nonostante fosse armato sino ai denti: tre pistole, bombe a mano, un coltello. La cattura avvenuta tra Montes e Orgosolo – all'epoca descritta in un documentatissimo reportage dei giornalisti della "Nuova Sardegna" Nanni Piredda e Francesco Piras – è la più clamorosa tra i tanti arresti che hanno visto Grazianeddu in manette. «Con Fusto e me di quella pattuglia facevano parte Gaetano Magrì, Michele Cataldo, Enrico Ciambella, Antonio Pintus e Giovanni Meloni», racconta ora Arduino Zuncheddu, che rammenta come l'intero blitz, dall'istituzione del posto di blocco alle fasi successive, sia stato interamente condotto dalla Stradale.
«L'abbiamo portato noi a Nuoro, dopo che gli avevamo sequestrato le lettere estorsive e due revolver e dopo che lui stesso ci aveva detto, arrendendosi, di aver nascosto una terza pistola nella parte posteriore della cintura dei pantaloni», spiega Zuncheddu. «Tanti particolari della cattura all'epoca non si sono saputi _ ricorda Fusto _ Come per esempio il fatto che tutto è successo un po' per caso. Quella sera non ci piaceva quel che c'era da mangiare in mensa al commissariato di Orgosolo. Così eravamo usciti prima con l'idea di farci un panino più tardi, al termine dei primi controlli. Se quel posto di blocco l'avessimo predisposto non alle 19.20 ma un po' più avanti, Mesina sarebbe passato e nessuno l'avrebbe neppure visto».
«Invece quando ho scorto arrivare la Fiat 850 che poi risulterà guidata da un compaesano di Grazianeddu ho gridato ai colleghi: "Attenzione, ho visto movimenti sospetti dentro quell'auto, questa cosa non mi piace"», prosegue Fusto. «Così abbiamo accerchiato la Fiat spianando i mitra _ interviene Zuncheddu _ Io mi sono messo dietro la macchina, Fusto ha chiesto i documenti. Il passeggero ha detto di chiamarsi Carta. "Lei non è Carta, lei è il signor Mesina", ha replicato Fusto».
«A quel punto Grazianeddu ha gridato "Non sparate, non sparate", ma noi gli abbiamo intimato di alzare le mani perché vedevamo che sotto il giubbotto aveva una pistola e stava per afferrarla _ continua Fusto _ E infatti, qualche ora dopo, ci ha rivelato: “Vi avevo visto, stavo già scendendo dalla macchina prima del posto di blocco, potevo usare le bombe a mano, fare un po' di casino e fuggire, ma non volevo che restasse ferito quello che m'aveva dato il passaggio“». «Una volta dato l'allarme al commissariato di Orgosolo, comunque, siamo stati noi della Stradale, non altri, a portarlo a Nuoro, e per tutto questo ci hanno pure promosso e premiato», conclude Zuncheddu.
«Quando nel 2010 sono ritornato a Orgosolo, a ogni modo, ho notato che Mesina si ricordava bene di come tutti noi ci siamo comportati correttamente nei suoi confronti, prima dell'incredibile ressa che di lì a poco si sarebbe creata in questura», afferma Fusto. «All'incontro di tre anni fa, in una piazza del paese, Grazianeddu era assieme ad altre persone che non conoscevo: mi è sembrato tranquillo, uno che ha messo la testa a posto, ma francamente dell'inchiesta di oggi e delle nuove accuse che gli sono state mosse non sono in grado di dire nulla», chiude il suo racconto il sottufficiale che comandava i Magnifici 7.

(Da "La nuova Sardegna")

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