lunedì 23 maggio 2016

UN ALTRO COLPO ALL'EUROPA (23/05/2016)

Di Andrea Sarubbi.

Tanto tuonò che, forse, piovve. Saranno i voti per posta a decidere il nome del nuovo presidente austriaco, e la possibilità concreta che a Vienna venga eletto un nazionalista euroscettico come Hofer ha fatto passare a Bruxelles l'ennesima nottata difficile. Certo, le istituzioni europee brinderebbero volentieri alla difficile rimonta di Van der Bellen, considerata quasi proibitiva dopo lo scarto al primo turno ma aritmeticamente possibile; comunque vada a finire, però, resteranno sul tavolo tutti i problemi attuali, che riguardano non soltanto l'Austria ma una parte significativa dell'Unione. E che sono precedenti alla crisi del Brennero, per quanto la propaganda strumentale su questo punto abbia contribuito a spostare diversi voti. Nonostante le aree di confine abbiano visto la vittoria di Hofer, il voto di ieri non era un referendum sui migranti, ma piuttosto sull'Europa: l'ultima tappa di un cammino iniziato quasi trent'anni fa, ai tempi della prima vittoria di Haider in Carinzia, quando il muro di Berlino era ancora in piedi. Populismo sociale, strizzatine d'occhio alle politiche hitleriane che da quelle parti si portano sempre dietro uno zoccolo duro, nessun riferimento alle invasioni da fuori ma piuttosto un atteggiamento critico nei confronti delle istituzioni centrali: Vienna (Haider vinse così nella sua Regione) e naturalmente Bruxelles. L'avversario più insidioso, per un'Europa in crisi d'identità e di crescita, è ormai lo stesso da una trentina d'anni e forse più: già nel 1984, nel suo libro intitolato "Prima i francesi", Jean-Marie Le Pen - che non aveva ancora litigato con la figlia Marine - scriveva di preferire «la mia famiglia ai miei amici, i miei amici ai miei vicini, i miei vicini ai miei compatrioti e i miei compatrioti all'Europa». "Prima la Carinzia" è diventato "Prima l'Austria", così come in Italia il "Prima il Nord" leghista è confluito in una generica lotta a difesa dei popoli e delle Nazioni. Ungheria e Polonia hanno già segnato la strada, con le ultime elezioni, e la possibilità che l'area del malcontento - che comprende anche Repubblica Ceca e Croazia - si allarghi all'Austria conferma tutte le difficoltà del momento attuale: i nuovi equilibri difficili tra l'Unione e i Paesi membri danno spesso l'impressione ai cittadini di trovarsi di fronte a governi nazionali impotenti. Disoccupazione in aumento, crescita economica ferma, parametri di deficit da rispettare, classe media impoverita e soprattutto impaurita: per gli schieramenti euroscettici c'è una prateria, e anche chi non vuole rompere del tutto con Bruxelles - Hofer, per esempio, si è detto contrario a un eventuale referendum e all'uscita dall'euro - cerca comunque di tirare la corda per indebolirla, rimettendo una parte del potere decisionale nelle mani dei singoli Stati. In questo contesto - che rimarrà tale anche se lo scrutinio dei voti postali e il riconteggio dovessero rovesciarlo - le classi medio-basse vanno in cerca di protezione: le prime analisi del voto di ieri davano il candidato nazionalista trionfante tra gli elettori austriaci senza diploma, i primi a sentirsi minacciati dai tagli alla spesa pubblica e dall'arrivo dall'estero di una forza lavoro meno specializzata, o comunque disponibile a lavori poco qualificati. Ecco perché il Brennero è diventato un totem, un simbolo della propaganda strumentale: il governatore del Tirolo che accusa l'Italia di non aver mantenuto le promesse sui controlli è smentito sia dal Viminale che dalla questura di Bolzano, ma il cittadino austriaco medio non legge le dichiarazioni del sottosegretario Manzione e - se anche le leggesse - in un clima del genere non gli crederebbe. Così, mentre l'Italia propone all'Europa il proprio piano di redistribuzione e di accoglienza, e contemporaneamente Bruxelles capisce che la strada per fermare i flussi è un accordo su larga scala con i Paesi africani, l'Austria rischia di mettersi di traverso. Proprio lei, che non molti anni fa accoglieva con generosità serbi e bosniaci in fuga dalla guerra nei Balcani.

(Da "La Nuova Sardegna")

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