martedì 13 dicembre 2011

LA SCOMPARSA DI GISELLA ORRU' (28/06/1989)

Di Giampaolo Carboni.

Alle ventuno e trenta si consuma uno degli omicidi più brutali ai danni di una donna o meglio di una ragazza avvenuti in Sardegna ma anche in Italia. L'episodio del ratto e della brutale uccisione di una bellissima adolescente di Carbonia, Gisella Orrù (NELLA FOTO IN ALTO), studentessa di Ragioneria, come viene ricordato da alcuni. Descritta da chi la conosceva bene come una fanciulla dolce, tranquilla, sempre cordiale che annotava come molti dei giovani di allora (e anche di oggi...) tutto su un diario "segreto". Una ragazzina che pensava di avere tutta la vita di fronte a sé, e alla vita guardava con fiducia, sperando in un futuro più semplice, e che pure in alcuni passi molto malinconici, quasi macabramente profetici proprio nel suo diario, descrive sé stessa come una “stella caduta”.. Era bellissima, Maria Gisella (questo il suo nome intero di battesimo),ed abile nel nascondere con un luminoso sorriso e un allegro saluto a chi incontrava, un enorme vuoto affettivo che la angustiava e che solo successivamente è affiorato attraverso i ricordi di chi l’aveva incontrata. Gisella infatti era cresciuta senza madre, in conflitto con lei per averla “abbandonata” da piccola alle cure di una nonna troppo severa, Gisella, come in una fiaba triste, ha giusto il tempo di riconciliarsi con la genitrice, di dirle dalle pagine dell’inseparabile diario blu che la ama e che finalmente l’ha capita e perdonata, prima di essere rapita in una via deserta di Carbonia (cittadina in quel periodo movimentata da episodi poco chiari con possibili infiltrazioni della mafia siciliana mai verificate con pienezza ad oggi), giusto sull’imbrunire,pochi minuti dopo aver strappato un bacio sulla fronte al giovane che le fa battere forte il cuore. Una notte di angoscia per la famiglia, soprattutto per l’apprensiva nonna Gina, che a modo suo,con quel viso arcigno e quei modi bruschi che le son valsi il nomignolo di “Generale”,la ama profondamente e avverte in maniera dolorosa la responsabilità di tirar su una nipote così bella e fragile. La mattina successiva, viene presentata regolare denuncia di scomparsa ai Carabinieri,i quali ritengono che non vi sia alcuna fretta nell’avviare le indagini, trattandosi verosimilmente di una fuga amorosa. Il padre la cercherà invano in tutti i campeggi del Cagliaritano, furente, meditando una punizione esemplare per questa “bravata”, una rabbia che sbollirà lentamente cedendo il passo all’angoscia più cupa. La nonna intuisce immediatamente l’eventualità di una disgrazia e persino la piccola Tiziana,di quattordici anni, racconterà di esser stata poi tormentata da bruttissimi presentimenti sulla sparizione della sorella.. Passano 10 giorni di passione mista ad un infinita speranza prima che la devastante verità emerga. Una parente di Gisella ricorda, con parole struggenti, il terribile momento: “Il corpo nel pozzo con quella mano che spuntava fuori come a voler uscire da quella tomba umida e fredda…il suo corpo martoriato e gettato come immondizia…e negli anni ancora fango sul suo nome…(…) la luce è calata per sempre venti anni fa, ora cerchiamo di dar pace alla sua anima affinchè sia ricordata per come davvero era: una ragazza di sedici anni, splendida, sognatrice, spensierata e tremendamente triste, in vita, come nella morte”. Finito il sensazionalismo morboso di certa stampa e dei media in generale, c’è ancora chi Gisella la ricorda esattamente come era e che ancora oggi, dopo tantissimi anni, la piange. Ma il mistero (i misteri) rimangono ed alcuni di essi giacciono nelle tombe di alcuni protagonisti della vicenda. Il 19 giugno 2008 la presunta verità sulla morte di Gisella si dimostrò solo il tentativo di vendicarsi per una banale storia di gelosia. Lei ci sperava: quel misterioso personaggio che le spediva lettere anonime forse le avrebbe rivelato l’identità del vero assassino. Perché Luciana Cogoni non ha mai creduto che il carnefice della quindicenne di Carbonia fosse il marito Licurgo Floris, condannato a trent'anni e suicida in carcere. Ora dovrà ricredersi: l’informatore è indagato per calunnia. Si chiama Antonino Lai: stando alle indagini, alla base della sua iniziativa spericolata c’era solo la volontà di vendicarsi di un rivale in amore. Una banale vicenda di gelosia, che Lai intendeva risolvere coinvolgendo l’odiato avversario nel caso più torbido e complesso della storia giudiziaria sarda. Una trovata leggermente sgangherata, che potrebbe costargli molto cara. L’inchiesta è chiusa, il pubblico ministero Alessandro Pili - lo stesso che ha indagato per anni sul giallo del pozzo - ha messo insieme quanto basta a farsi un’idea chiara di quanto è avvenuto alla fine dell’anno scorso, quando Luciana Cogoni ha ricevuto la prima lettera anonima. Qualcuno le annunciava la verità su Gisella, una verità che avrebbe scagionato sia pure in irrimediabile ritardo il marito Licurgo. Il misterioso interlocutore le parlava di un amico della ragazza, di un uomo che in quei tempi la frequentava. La soffiata, benchè postuma, sembrava attendibile: c’era il modello dell’auto, c’era un racconto abbastanza realistico sui movimenti del presunto assassino nei giorni e nelle ore che precedettero la scomparsa di Gisella. Insomma, quanto basta perchè la Procura approfondisse i fatti e provasse a cercare riscontri. Così è avvenuto: il pm Pili, che non ha mai abbandonato il caso di Carbonia, ha aperto un fascicolo e disposto indagini. Puntate su un uomo - come ha raccontato la Cogoni - di circa cinquant’anni che abitava fuori Carbonia: Ha spiegato la moglie di Licurgo Floris "Si è scusato per il ritardo con cui s’è fatto vivo ma si prepara a farsi vivo per raccontarmi tutto». Tramite della lettera era don Giuseppe, il sacerdote che a suo tempo ha officiato la messa di suffragio per Licurgo. I giorni sono passati e poi anche i mesi, pian piano la verità è venuta a galla, ma non quella che Luciana Cogoni s’aspettava. La Procura ha scoperto l’identità dell’informatore e soprattutto ha scoperto il perché della sua iniziativa: vendetta, pura vendetta nei confronti di un uomo che a suo dire insidiava la sua donna. Questioni private, insomma. Cui Antonino Lai, che è stato interrogato dal pubblico ministero, non ha esitato a mescolare vicende e dolori vecchi di vent’anni, la storia di una ragazza trafitta e buttata in un sifone, tre soffertissimi processi e proprio in questi giorni la sparizione ancora inspiegata di Tore Pirosu, condannato a ventiquattr’anni come corresponsabile del delitto, che ha scontato la pena, ha superato la fase della semilibertà e infine ha fatto perdere le proprie tracce. Lo cerca la famiglia, che si è rivolta alla questura. Lo cercano i responsabili della comunità in cui era ospite. Ora si chiude con un’imputazione di calunnia la vicenda di Antonino Lai, forse più avanti se ne apriranno altre perché sono anni che si rincorrono le voci di una verità alternativa a quella processuale sulla morte di Gisella.


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