martedì 13 dicembre 2011

LA TRAGEDIA DI MARCINELLE (08/08/1956)

Di Redazione.

Il disastro di Marcinelle avvenne la mattina di quel giorno nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio. Si trattò d'un incendio, causato dalla combustione d'olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. L'incendio, sviluppandosi inizialmente nel condotto d'entrata d'aria principale, riempì di fumo tutto l'impianto sotterraneo, provocando la morte di duecento sessantadue persone delle duecento settantacinque presenti, di cui cento trentasei immigrati italiani. L'incidente è il terzo per numero di vittime tra gli immigrati italiani all'estero dopo i disastri di Monongah e di Dawson. Il sito Bois du Cazier, oramai dismesso, fa parte dei patrimoni storici dell'Unesco.
Alle sette e cinquantasei del mattino Antonio I., addetto alle manovre del livello novecento settantacinque metri, una volta caricato l'ultimo carrello pieno, dà il via alla risalita. Poi lascia il suo posto di lavoro e va alla ricerca di altri carrelli pieni; il suo aiutante Vaussort rimane sul posto. Verso le otto Mauroy, addetto alle manovre in superficie, telefona a Vaussort poiché ha bisogno dell'ascensore per il piano settecento sessantacinque metri. Mauroy e Vaussort prendono un accordo previsto dai protocolli di lavoro, ma che in seguito risulterà fatale. L'accordo è il seguente: per due viaggi l'ascensore sarà "libero". Questo permette a Mauroy di fare partire l'ascensore senza il via libera del piano novecento settantacinque metri, ma questa decisione implica che il piano novecento settantacinque, per due volte, non potrà più caricare l'ascensore. Dopo essersi accordato, a sua volta Vaussort parte alla ricerca di vagoncini pieni; secondo le registrazioni del "Rockel" sono le otto ed un minuto. Alle otto e cinque uno dei due ascensori (d'ora in poi indicato con A) arriva al piano settecento sessantacinque metri per essere caricato. L'altro (B) si ritrova nel pozzo verso trecento cinquanta metri. Alle otto e settanta l'ascensore A è carico e risale in superficie, mentre B ridiscende a novecento settantacinque metri. Durante questa movimentazione Antonio I. è ritornato al suo posto di lavoro. Qui vi sono due versioni divergenti. Secondo Antonio I., lui avrebbe chiesto al suo aiutante Vaussort se poteva caricare, ricevendone una risposta affermativa; secondo Mauroy, Vaussort era ancora assente e quindi non avrebbe potuto autorizzare Antonio I. a caricare e neppure avvertirlo che quell'ascensore gli era vietato. Nessuna delle due versioni è totalmente soddisfacente; Vaussort morirà nella sciagura e non potrà quindi testimoniare e confermare una delle due versioni o fornirne una sua terza. Alle otto e dieci l'ascensore A arriva in superficie, mentre B arriva al livello novecento settantacinque. Incurante (o ignaro) del fatto che quell'ascensore gli fosse vietato, Antonio I. comincia a caricare i vagoncini pieni, arrivati dai cantieri durante la sua assenza. Ma la manovra non riesce: il sistema che blocca il carrello durante la risalita dell'ascensore s'inceppa. Questo sistema avrebbe dovuto ritirarsi un breve istante per lasciare uscire totalmente il vagoncino vuoto. Ma ciò non accade ed i due vagoncini si ritrovano bloccati e sporgenti dal compartimento dell'ascensore. Il vagoncino vuoto sporge di trentacinque centimetri, mentre quello pieno sporge di ottanta centimetri. Per Antonio I. la situazione è fastidiosa, ma non pericolosa: è sicuro che l'ascensore non partirà senza il suo segnale di partenza. In superficie Mauroy ignora totalmente la situazione verificatasi al piano novecento settantacinque metri. Mauroy è nel protocollo di lavoro «ascensore libero» e farà partire l'ascensore allorché avrà finito di scaricare i vagoncini risaliti dal piano settecento sessantacinque metri. Alle otto ed undici Mauroy ha finito di scaricare l'ascensore A e dà il via alla partenza, il che immancabilmente provoca anche la partenza dell'ascensore B. Al piano novecento settantacinque metri Antonio I. vede l'ascensore B risalire bruscamente. Nella risalita l'ascensore, con i due vagoncini sporgenti, sbatte in una putrella del sistema di invio. A sua volta questa putrella trancia una condotta d'olio a sei chilogrammi/centimetri quadri di pressione, i fili telefonici e due cavi in tensione (di cinquecento venticinque Volt), oltre alle condotte dell'aria compressa che servivano per gli strumenti di lavoro usati in fondo alla miniera: tutti questi eventi insieme provocarono un imponente incendio. Essendo questo avvenuto nel pozzo di entrata dell'aria, il suo fumo raggiunse ben presto ogni angolo della miniera, causando la morte dei minatori. In quanto al fuoco, la sua presenza si limitò ai due pozzi e dintorni, ma il suo ruolo fu determinante perché tagliò ogni via d'accesso nelle prime ore cruciali, fra le nove e mezzogiorno. L'incendio non scese sotto il piano novecento settantacinque metri, mentre divampò nei pozzi fino al piano settecento quindici metri. A questo piano Bohen, prima di morire, annotò nel suo taccuino "je reviens de l'enfer" (ritorno dall'inferno). L'allarme venne dato alle otto e venticinque da Antonio I., il primo risalito in superficie tramite il secondo pozzo, anche se già alle otto e dieci, in superficie, si era capito che qualcosa di gravissimo era accaduto, poiché il motore dell'ascensore (da mille duecento cinquanta cavalli) si era fermato e il telefono non funzionava più (il responsabile Gilson era corso ad avvertire l'ingegnere Calicis che probabilmente erano di fronte a un cassage de fosse, cioè a una "rottura nel pozzo", un deragliamento). Calicis ordinò al suo aiutante Votquenne di scendere nelle miniera per informarsi. Verso le otto e venticinque Votquenne era pronto a scendere, ma il freno d'emergenza era bloccato per mancanza di pressione d'aria. Ciò era dovuto alla rottura della condotta in fondo al pozzo, che aveva svuotato il serbatoio in superficie. Votquenne ordinò la chiusura della condotta d'aria che scendevano nel pozzo: ci vorranno più di dieci minuti per ristabilire una pressione sufficiente. Votquenne e Matton scendono senza equipaggiamento, arrivano sotto ottocento trentacinque metri, ma devono rinunciare a causa del fumo. Nel frattempo sei minatori superstiti arrivano in superficie mentre Stroom scese nella miniera. Alle otto e trentacinque Calicis telefonò alla centrale di soccorso chiedendo di tenersi pronti e precisa che richiamerà in caso di bisogno. Alle otto e quarantotto Calicis chiese l'intervento della centrale di soccorso distante un chilometro e mezzo dalla miniera. I soccorritori impiegheranno dieci minuti per arrivare. Alle otto e cinquantasette la prima squadra di soccorritori arrivò sul posto. Votquenne ed uno dei soccorritori equipaggiati con i respiratori Dräger fecero un secondo tentativo. Arrivano a mille trentacinque metri, ma non riuscirono ad uscire dall'ascensore, in quanto i suoi occupanti erano montati nel terzo compartimento dell'ascensore fermo tre metri e mezzo più in alto del livello di uscita. Udirono dei lamenti, ma l'addetto alle manovre non rispose più alle loro chiamate, probabilmente già incosciente. In superficie, Gilson decise di far risalire l'ascensore. Risalendo, a livello novecento settantacinque, Votquenne vide già le fiamme che raggiunsero l'ultima delle tre porte di sbarramento fra i due pozzi. Verso le nove e dieci il pozzo di estrazione dell'aria era a sua volta inutilizzabile, raggiunto dall'incendio. I cavi degli ascensori di questo pozzo cedettero a poco a poco. Il primo si spezzò verso le nove e trenta, il secondo cavo si spezzò verso le dieci e quindici. Verso le nove e trenta due persone tentarono, senza equipaggiamento, di farsi strada attraverso un tunnel laterale comunicante col pozzo in costruzione al livello settecento sessantacinque metri. Il tentativo risultò vano. Il passo d'uomo venne allargato solo quattro ore e mezza più tardi e ciò permise di scoprire i primi cadaveri (Il primo cadavere era in realtà un cavallo, trovato da Arsene Renders, ingegnere della società Foraky, che dichiarò che "era un brutto presagio"). D'altro lato fu anche verso le nove e trenta che si decise di fermare la ventilazione. Alle dieci Calicis decise di separare i due cavi del pozzo numero I. Questo permise di servirsi dell'ascensore rimasto bloccato in superficie. Questo lavoro lungo e delicato finì poco prima di mezzogiorno. A mezzogiorno tre uomini, Calicis, Galvan ed un soccorritore, scendono fino a cento settanta metri, ma un tappo di vapore impedisce loro di continuare. Alle tredici e quindici Gonet, il caposquadra del piano mille trentacinque, lascia un messaggio su una trave di legno. "On recule pour la fumée vers 4 paumes. On est environ à 50. Il est 1h 1/4. Gonet" ("Indietreggiamo per il fumo verso 4 palmi. Siamo a circa 50. È l'una e un quarto. Gonet"). Questo messaggio sarà ritrovato dai soccorritori il 23 agosto. Verso le quattordici si decise di rimettere la ventilazione in marcia. Verso le quindici una spedizione scese attraverso il primo pozzo e scoprì tre sopravvissuti. Gli ultimi tre furono scoperti più tardi, da un'altra spedizione. Il 22 agosto, alle tre di notte, dopo la risalita, uno di coloro che da due settimane tentavano il salvataggio dichiarò in italiano: tutti cadaveri. Persero la vita duecento sessantadue uomini, di cui cento trentasei italiani e novantacinque belgi. Solo tredici minatori sopravvissero.
Passate le prime ore di stupore, la mobilitazione fu generale. La Croce Rossa, i Vigili del fuoco, la Protezione civile, l'esercito e la polizia (ma anche semplici cittadini) unirono le loro forze. Nei giorni successivi arrivarono rinforzi di soccorso da Ressaix, Frameries, Beringen. Dalla Francia arrivò Emmanuel Bertieaux con delle apparecchiature di radiotelefonia, dalla Germania arrivò Karl Von Hoff con un laboratorio mobile per le analisi dei gas. Le scuole dei dintorni furono convertite in mense e dormitori, le chiese in camere ardenti. E mentre in superficie l'assistente sociale G. Ladrière, "l'angelo del Cazier", cercava di consolare le famiglie, nelle gallerie Angelo Galvan, "la volpe del Cazier", cercava i suoi compagni di lavoro. Galvan ed i suoi amici soccorritori, tra molti pericoli, nel fumo, nel calore e nella puzza di bruciato e di morte cercarono, invano, eventuali superstiti. La notte del 22 agosto, alla profondità di mille trentacinque metri, svanirono le ultime speranze. In quello stesso 8 agosto intanto la giustizia aveva avviato la sua inchiesta. Il 13 furono sepolte le prime vittime. Il 25, il Ministro dell'economia Jean Rey creò una commissione d'inchiesta, alla quale presero parte due ingegneri italiani, Caltagirone e Gallina del Corpo delle Miniere Italiane. Anche la confederazione dei produttori di carbone creò la sua inchiesta amministrativa. Queste tre inchieste dovevano fare "ogni luce" su cosa era accaduto nel pozzo St. Charles di Marcinelle il mattino dell'8. Nessuna di queste istituzioni mantenne pienamente le sue promesse. La commissione d'inchiesta era composta in tutto da ventisette membri. Furono tenute venti sedute che si conclusero con l'adozione del «Rapport d'Enquête» reso pubblico nel giugno del 1957. Questo testo fu adottato all'unanimità con una piccola astuzia; ogni gruppo era autorizzato ad aggiungere una nota di minoranza, cosa che quattro gruppi fecero. Fra questi, i sei membri italiani sottolinearono che fu la persistenza della ventilazione la causa non dell'incidente, ma del numero elevato delle vittime. In altre parole, i responsabili avrebbero dovuto fermare il ventilatore subito dopo aver saputo dell'incendio nel pozzo. Tramite queste note di minoranza si capisce che ogni gruppo cercava più di fare prevalere il suo punto di vista (o gli interessi che questo gruppo difendeva) che la verità sui fatti accaduti. L'inchiesta giudiziaria fu condotta dal magistrato Casteleyn. Vi furono delle stranezze: per esempio, il medico legale non fu autorizzato a testimoniare davanti alla commissione d'inchiesta, mentre parecchi documenti del processo furono inviati alla commissione. Fra questi, alcune foto, ma soprattutto un documento sequestrato che venne pubblicato prima del processo a pagina settantaquattro del Rapport d'Enquête. Il processo in primo grado si svolse a Charleroi dal 6 maggio 1959 al 1º ottobre dello stesso anno. Le cento sessantasei parti civili erano difese da un collettivo d'avvocati, fra cui Leo Leone e Giorgio Mastino del Rio per conto dell'Inca. I dibattiti diventarono presto una battaglia di perizie di cui pochi, Corte compresa, erano in grado di capire qualcosa. Alla fine, i cinque imputati furono assolti. In appello, davanti alla tredicesima Camera di Bruxelles, una sola condanna fu pronunciata, quella dell'ingegnere Calicis, condannato a sei mesi con la condizionale ed a duemila franchi belgi di multa. La società Bois du Cazier venne condannata a pagare una parte delle spese e a risarcire, per circa tre milioni di franchi, gli eredi delle vittime che non erano loro dipendenti (Stroom e Waldron). Fu fatto ricorso in cassazione, la quale rinviò la causa (ma solo per certe materie) a Liegi. La fine della vicenda giudiziaria avvenne il 27 aprile 1964 con un accordo tra le parti. Non sappiamo l'esito dell'inchiesta della confederazione dei produttori di carbone. Abbiamo solo la nota di minoranza che i suoi rappresentanti P. Brison e A. Denis fecero inserire nel Rapport d'Enquête. Si può pensare, senza troppi dubbi, che questa nota rifletta il punto di vista della confederazione.

LE FALSE NOTIZIE SULLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

Ad ogni sciagura spesso vengono associate e diffuse false notizie e la sciagura di Marcinelle non fece eccezione. 

L'alta tensione sui cavi elettrici

I cavi elettrici che scendevano nel pozzo erano alimentati con una tensione di cinquecento venticinque Volt. L'unico cavo telefonico era alimentato con ventiquattro e sette Volt, il «Rapport d'Enquête» non lascia nessun dubbio a proposito.

Le bare cariche di pietre 

I corpi delle vittime furono riportati in superficie dentro dei sacchi. Vennero messi nelle bare, inventariati e riconosciuti dai familiari tramite oggetti personali o dal medico legale tramite delle caratteristiche fisiche. Soltanto dopo queste procedure le bare furono sigillate da una squadra di addetti, fra cui un poliziotto di guardia. Per poter condurre un tale imbroglio sarebbe stata necessaria la complicità di tutti. 

Il primo giorno di lavoro per i fratelli Gonet 

I due giovanissimi fratelli Gonet, figli di Anatole Gonet (colui che lasciò un messaggio sulla trave di legno), erano ancora studenti al momento dei fatti. Erano stati assunti per il periodo delle vacanze scolastiche, il 3 luglio 1956 per Willy ed il 4 luglio 1956 per Michel. 

Il ruolo di Jan Stroom 

Jan Stroom era caposquadra della società Lebrun, ma di Liegi e non della omonima società Lebrun di Nimy, come spesso riportato. Stroom fu il primo a scendere nella miniera dopo l'incidente per avvertire gli operai che lavoravano sotto la sua guida ma che, in realtà, erano dipendenti della società Bois du Cazier. Stroom si era reso conto della gravità della situazione al punto da rischiare (e perdere) la sua vita per salvare quella degli altri. Fu dunque un estraneo alla società Bois du Cazier il primo a tentare di portare soccorso ai minatori. 

L'incidente avvenuto per causa di un'esplosione di grisù 

L'incidente avvenne nel pozzo d'entrata dell'aria e non vi era grisù in questo pozzo. Il grisù, liberatosi nella miniera, si trovava nell'altro pozzo, il pozzo d'uscita dell'aria. Era questa la ragione per cui i cavi elettrici dovevano obbligatoriamente scendere tramite il pozzo d'entrata dell'aria. 

L'incidente avvenuto per causa d'una difficoltà di linguaggio 

Questa affermazione è certamente falsa. Le comunicazioni fra i due protagonisti (Mauroy e Antonio I.) erano di tipo non verbale. Queste comunicazioni erano semplicemente dei rintocchi di campanelle, che prendevano un significato tramite un codice prestabilito. Le comunicazioni telefoniche avvenivano soltanto tra Mauroy e Vaussort, e unicamente durante le translazioni degli ascensori. 

I minatori morti "serenamente" sul loro posto di lavoro 

Il Rapport d'Enquête stabilisce proprio il contrario: un solo minatore è stato ritrovato sul suo posto di lavoro. Gli altri sono stati ritrovati spesso lontanissimo dai loro posti di lavoro e molti erano scesi ai piani inferiori. Anche i cavalli del piano mille e trentacinque erano riusciti a rompere le corde con cui erano legati e si erano tutti rifugiati in un vicolo cieco.

LE OMISSIONI NELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

Le omissioni furono numerosissime, volontarie o no; esse avrebbero potuto dare un'altra visione di questo dramma.

Gli esplosivi

Cinque artificieri quella mattina avevano preso con sé delle cartucce di dinamite, più i relativi detonatori. In tutto quattrocento nove cartucce, fra cui cento cinquantadue cartucce solamente per il livello mille cento metri (artificiere Lachlam). Questo piano era in preparazione e pochi metri di gallerie erano stati scavati: non vi era posto per stivare al sicuro, come il regolamento imponeva, gli esplosivi nell'attesa della loro utilizzazione. Dove Lachlam aveva posto le cartucce di dinamite? Gli esperti non hanno dato spiegazioni in proposito, precisando solo che tutte le cartucce erano state ritrovate e riportate in superficie. Si deve tuttavia riportare che il fondo della miniera venne allagato fino al piano mille trentacinque metri dal tentativo di combattere l'incendio annaffiando i pozzi dalla superficie. Ma gli esperti tacciono anche a proposito degli esplosivi ai piani ottocento trentacinque metri, novecento sette metri e novecento settantacinque metri: questi piani furono parzialmente in fiamme. A questi piani i soccorritori, oltre alle vittime, dovettero cercare le cartucce di dinamite.

Il verricello d'emergenza

I pozzi erano dotati di un verricello d'emergenza. Questo verricello, azionato a vapore, poteva servire per i due pozzi tramite delle carrucole. L'Administration des Mines, rispondendo ad Andrée Grandjean, avvocato per la parte civile, ne dà una descrizione sommaria: la potenza stimata era di sessanta cavalli. La gabbia di questo attrezzo aveva un solo piano. Era fatta in modo tale da poter scendere nei pozzi malgrado la presenza del cavo dell'ascensore principale bloccato in profondità. Poteva contenere tre persone ed una guida; il suo cavo di  diciassette millimetri e mezzo di diametro era lungo mille duecento metri Il punto debole era la sua bassa velocità, zero e sette metri al secondo (contro circa otto metri al secondo per l'ascensore principale). Fu questa bassa capacità di trasporto a fare rinunciare gli ingegneri a servirsene. Questo argomento non è che parzialmente valido, dato che fra le ore nove e mezzogiorno era l'unico mezzo per scendere nei pozzi. Dopo la sciagura l'Administration des Mines ricordò ai suoi ingegneri che il verricello d'emergenza deve essere regolarmente messo a prova, anche se questo comporta degli inconvenienti.

Riserve d'acqua

I piani del sito menzionano due serbatoi d'acqua con una capacità totale di novecento venti metri cubi. La mattina dell'8 i primi a servirsi d'acqua in quantità furono i pompieri della Centrale di Soccorso. Prelevarono l'acqua necessaria in un bacino di decantazione, poi in un altro bacino. Verso le dodici, rendendosi conto che l'acqua non sarebbe bastata, fecero appello ai pompieri della città di Charleroi. Questi ultimi presero l'acqua dalle condotte della distribuzione domestica. Nella sua testimonianza del 2 gennaio 1958 Jean Bochkoltz, direttore della Centrale di Soccorso, valutò a duecento venti metri cubi la quantità d'acqua da loro utilizzata fra l'inizio del loro intervento verso le undici e l'arrivo dei pompieri di Charleroi verso mezzogiorno e dieci. L'enorme differenza tra la capacità dei serbatoi e la quantità d'acqua utilizzata può significare che i serbatoi fossero parzialmente vuoti quella mattina.

Les chambres abris

Les chambres abris, letteralmente camere rifugio, erano dei locali obbligatori nelle vene di carbone à dégagement instantané. In queste vene il grisù poteva trovarsi sotto altissima pressione in alcune cavità e dunque provocare enormi ed improvvise esplosioni. La legge imponeva che questi rifugi fossero forniti di bombole d'ossigeno. Era il caso in certe vene del livello mille trentacinque metri, come testimoniato dall'ingegnere P. Dassargues davanti alla Commission d'Enquête.

Annaffiatura dei pozzi

L'annaffiatura dei pozzi in modo sistematico cominciò molto tardi, verso le undici, dopo l'arrivo del direttore della Centrale di Soccorso. I responsabili della miniera giustificarono la loro esitazione a annaffiare i pozzi perché, secondo loro, vi erano rischi di esplosione di grisù. Il 27 agosto 1956, in una nota ai suoi superiori, G. Logelain, ingegnere all'Administrations des Mines, aveva proposto di disporre nei pozzi asciutti (era il caso di Marcinelle) un sistema di annaffiatura automatica in caso d'incendio, il che annienta l'argomento dei responsabili della miniera.

Separazione dei due ascensori nel pozzo I

Quando l'incendio raggiunse il secondo pozzo non vi era più modo di scendere nella miniera (eccezione fatta per il verricello d'emergenza). Nel pozzo I per potersi servire dell'ascensore che si trovava a pochi metri della superficie bisognava separarlo da quello che si trovava bloccato in profondità. Il lavoro di separazione cominciò alle dieci in punto. Lo certifica la registrazione sul Rockel. Questa operazione richiese due ore di lavoro. A mezzogiorno sul Rockel appare il primo tentativo di scendere nella miniera (che peraltro fallì a causa del calore). Vi era tuttavia un altro modo di separare i due ascensori, che avrebbe richiesto soltanto qualche minuto, semplicemente tagliando il cavo dell'ascensore bloccato con la fiamma ossidrica. Ma questo metodo fu del tutto ignorato. La cosa è ancora più incomprensibile sapendo che i responsabili, da anni, chiedevano e ottenevano deroghe per potere utilizzare la fiamma ossidrica nel pozzo I. Stranamente, il giorno che ne ebbero veramente bisogno, non l'utilizzarono.

Risalita dell'ascensore

La versione ufficiale dell'inchiesta stabilì che l'ascensore risalì con i due vagoncini sporgenti. Questa affermazione è soltanto parzialmente esatta. Ma c'è anche una grave incoerenza, semplicemente perché non c'era posto per due vagoncini nell'ascensore. L'ascensore misurava un metro e cinquantasei centimetri ed i vagoncini un metro e trentacinque centimetri. Basandosi sulle misure date dal Rapport d'Enquête, in tutti i casi una delle ruote del vagoncino pieno si sarebbe ritrovata fuori dell'ascensore. Il centro di gravità di questo vagoncino si sarebbe trovato a quindici centimetri circa fuori dell'ascensore. Di conseguenza, quando l'ascensore cominciò a alzarsi il vagoncino avrebbe dovuto cominciare a ribaltarsi e fuoruscire dall'ascensore. Ma così non fu. I primi soccorritori che arrivarono sul luogo dell'incidente (accompagnati dai periti giudiziari) ritrovarono il vagoncino pieno contenente ancora il materiale di cui era stato caricato, deformato, ma al suo posto nell'ascensore. Questa contraddizione non fu mai rilevata e benché sia oggi impossibile stabilire cosa successe esattamente, è possibile che la dinamica dell'incidente sia stata ben più complessa di quella stabilita dal «Rapport d'Enquête».

Assicurazioni

La società Bois du Cazier aveva concluso un contratto d'assicurazione con un consorzio di tre società assicurative. Questo contratto era stato firmato il 19 luglio 1956, solo diciannove giorni prima della catastrofe. Le compagnie assicurative rispettarono il contratto? Come vennero risarciti i danni causati alla miniera e particolarmente ai pozzi? Vi fu risarcimento? Tutta la problematica inerente ai danni materiali, e di conseguenza ai contratti d'assicurazione, fu lasciata da parte.

Vaussort

Uno dei punti chiave nel comprendere le cause e le responsabilità del disastro consisterebbe nell'accertare la presenza (o l'assenza) di Vaussort durante il fatale carico da parte di Antonio I. Quest'ultimo ha sempre sostenuto che era stato Vaussort ad autorizzarlo a caricare il vagoncino nell'ascensore. Ma, essendo Vaussort morto nella sciagura, non fu possibile avere conferma di ciò. Un indizio, se non prova, materiale sarebbe stato tuttavia possibile riscontrarlo dall'analisi del suo cadavere: se Vaussort fosse stato al suo posto di lavoro durante il carico fatale, immancabilmente sarebbe stato annaffiato dall'olio che spruzzava della canalizzazione spezzata, e quindi i suoi indumenti sarebbero stati sporchi e macchiati d'olio. Quando il cadavere di Vaussort fu ritrovato, nessuno pensò di verificare questo particolare, unico elemento che avrebbe permesso un chiarimento. Ciò è confermato dalla testimonianza di Louis Van Valsem, che raccontò a tal proposito d'un simile, ma meno grave, incidente avvenuto nel 1952 "...Presque aussitôt j'ai vu l'huile de la tuyauterie qui s'échappait à flots et se déversait dans le puits, j'ai eu mes vêtements remplis d'huile". ("... Quasi nello stesso momento ho visto l'olio delle condutture sfuggire a fiotti e riversarsi nel pozzo, i miei abiti si sono riempiti d'olio").

Assenze

Una circostanza che contribuì alla gravità della sciagura è il fatto che l'ingegnere Calicis era solo quella mattina. C'era il suo aiutante Votquenne, ma Votquenne era stato assunto solo due mesi prima ed era in periodo di tirocinio.

Le assenze di tre persone sono da rilevare:

J. Bochkolzt era il direttore della Centrale di soccorso. Era stato chiamato alle dieci e dieci e arrivò sul posto verso le dieci e venti, quasi insieme ai primi giornalisti che venivano da Bruxelles. Al processo, nella sua testimonianza dichiarò: "… La situazione era già drammatica al momento del mio arrivo sul posto", Ricordiamo che una prima squadra di soccorritori era partita alle otto e quarantotto e che la Centrale di soccorso era distante un chilometro e mezzo della miniera. Il primo fumo cominciò ad uscire dai pozzi verso le otto e trentacinque, dalle finestre del suo ufficio Bochkolzt lo vedeva sicuramente. Non fu mai imputato.
P. Dassargues era ingegnere all'Administration des Mines. Era presente quella mattina a Marcinelle per una visita di ordinaria ispezione. Anche lui era in periodo di tirocinio. Verso le 9:00 si assentò per quarantacinque minuti circa per andare a prendere il suo superiore, che era senza macchina quella mattina. Dassargues fu imputato per questa assenza (ma poi prosciolto).
E. Jacquemyn era il direttore generale della miniera, superiore gerarchico di Calicis. Anche Jacquemyn era assente quella mattina e non si sa dove era. Nella sua testimonianza davanti alla Commission d'Enquête dichiarò d'essersi assentato dalle sette e quarantacinque alle tredici e trenta per una faccenda. Non diede nessuna spiegazione al riguardo e nessun membro della commissione gliela chiese. Jacquemyn fu imputato per altri motivi, ma non per la sua assenza. La motivazione che era costata un'imputazione per Dassargue fu ignorata per Jacquemyn. Anche lui venne prosciolto.

IN MEMORIA DELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

Nel 2003 la Rai ha ricordato tale catastrofe con la miniserie televisiva Marcinelle.
 
Nel 2006 l'ottantanovesima edizione del Giro d'Italia di ciclismo è partita dal Belgio in omaggio alle migliaia di emigrati italiani di quelle zone.

LE VITTIME DELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

136 italiani
95 belgi
8 polacchi
6 greci
5 tedeschi
3 ungheresi
3 algerini
2 francesi
2 sovietici
1 britannico
1 olandese

I SUPERSTITI DELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

primo ascensore risalito (alle otto e venticinque)

Antonio Iannetta (arrivato in superficie, diede l'allarme)

secondo ascensore risalito (verso le otto e trenta)

René Albert
Robert Barbieux
Philippe Detobel
Carlo Fontaine
Onorato Pasquarelli
Attilio Zannin

Questi sei uomini arrivarono in superficie verso le otto e trenta e confermarono la drammaticità della situazione. Un settimo uomo, Marceau Caillard, era con loro nell'ascensore che tardava a risalire. Scese dall'ascensore per ridare il via. L'ascensore partì senza di lui e fu ritrovato morto in fondo al pozzo.

I DECEDUTI DELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

Louis Bidlot
Franz Joseph Devries
Alois Gooris
Camillo Iezzi
Rocco Iezzi
Louis Opdebeek
Armand Van den Broeck
Joseph Van Voissen
Germain Wilmart (arrivato in superficie vivo, ma deceduto subito dopo)

Due delle vittime Stromme e Waldron, non facevano parte del personale della miniera. L'olandese Stromme era capo squadra alle dipendenze di una società che scavava per rendere più profondo il pozzo numero uno. Scese nella miniera dopo l'incidente, verso le otto e trenta, attraverso il pozzo numero due. Al processo la difesa degli imputati si servì di questo argomento per dire che alle otto e trenta non vi era pericolo, visto che Stromme era sceso nella miniera. Non si sa se il suo gesto fu imprudenza o un coraggioso tentativo di avvertire gli operai. Questo uomo, nato a Ushuaia, fu ritrovato morto con due compagni nel punto più profondo del pozzo di Marcinelle. Waldron era anch'egli impiegato per una società esterna che faceva trivellazioni per estrarre il grisù, un gas altamente esplosivo formato principalmente di metano, che viene sprigionato dal carbone rimosso.

I FERITI DELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE 

François Lowie
Albert Peers
Louis Saluyts
Alphonse Van de Plas.
Alfons Verbeek
Karel Wuyts

Questi sei feriti furono trasportati all'ospedale e il loro stato, il 9, era soddisfacente per quanto possibile.

I DISPERSI DELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

Ferdinand Aerts
François Allard
Raffaele Ammazzalorso
Maurice Anno
Sisto Antonini
Carmelo Baio
Robert Barlieux
Pietro Basso
Rodolfo Batiocolo
Joseph Baumans
Omar Belamri
Assunto Benzoni
Napoléon Bernard
Giovanni Bianconi
Henryk Biedonski
Alois Biena
2 Fratelli Bigi
Eugène Bohen
Pierre Bohen
Giuseppe Bontempi
Désiré Bourguignon
Willy Briemont
Pompeo Bruno
Otello Bugliani
Mario Burotti
Joseph Caes
Salvatore Capoccia
Alphonse Caillard
Demitrio Cambylis
Sebastiano Campisi
Orlando Canzone
Guerrino Casanova
Felice Casciato
Ruggero Castellani
Rocco Ceccomancini
Joseph Chmiela
Francesco Cicora
Franz Ciprido
Edmondo Cirone
Attilio Cirone
Ernest Clase
Charles Clissen
Attilio Colangelo
Marcel Colinet
Marceau Collard
Paul Commene
Giuseppe Corso
Roberto Corvaglia
Paul Couture
Salvatore Cucinelli
Giovanni D'Agoste
Donato D'Astolfo
Antonio Danisi
Attilio Dassogno
Joseph Daubresse
Lorenzo De Santis
Pancrazio De Luca
Georges Deblezer
Gilbert Degognies
Paolo Del Rosso
Enrico Del Guasta pisano
Dino Della Vecchia
Evandro Dellipasseri
Philippe Delobel
Fortune Delporte
René Dewinter
Nicolas Dezzi
Eligio Di Donato
VaIento Di Donato
Bartholomeo Di Cecco
Nicolas Di Biase
Santino Di Donato
Antonio Di Pomponio
Rocco Di Rocco
Benito Di Biase
Giovanni Di Pietro
Nicola Di Pomponio
Donato I. Di Biase
Cesare Di Berardino
Alfredo Di Donato
Edo Dionigi
Antonio Dipietrantonio
Emilio Dipietrantonio
Fernand Doclot
Angelo Dominiani
Léopold Dubois
Gérard Dury
Lyberis Fanfapoulos
Roger Felhausen
Camillo Ferrante
Oriando Ferrante
Pasquale Ferrante
Giulio Fidanza
Romano Filippi
Auguste Franz
Antonio Gabrielli
Robert Galand
Terzo Gallinucci
Stefan Gavrosky
Albert Gérard
Giuseppe Geti
Lino Gherardini
Raymond Godart
Anatole Gonet
Michel Gonet
Willy Gonet
Franz Gooris
Albert Gooris
Michel Granata
Francesco Granata
Willy Gruss
Joseph Hannecart
Roland Hannecart
Gérard Hannecart
Michel Hannecart
Constantin Hartzigeorgieou
Emmanuel Hartzigeorgion
Reinhold Heller
Léopold Hendrickx
Achille Herman
Alex Höfflinger
Isturen Hrabouski
Orlando Iezzi
Donato Il lezzi
Gaëtano Indorato
Martin Iwanow
Ferdinand Janssens
Ali Kaddour
Nicolas Katsikis
Félix Keska
Jean Kôhler
Raymond L'Hoir
Antonio Lachetta
Antonio Lanetta
Gui Lebbe
Philibert Lefebvre
Elie Lejeune
Primo Leonardelli
Vincenzo Lezzi
Marcel Liekens
Urbain Loklam
Georges Londéche
Fernand Londéche
Vito Larizza
Domenico Lucciani
Joannes Luyten
Said Mami
Arthur Marchal
Marcel Marique
Santo Martignano
Francesco Martinelli
Modesto Martinelli
Adolfo Mazzieri
Gabriel Menichelli
Cosimo Merenda
Antonio Molari
Miche Mollitero
Gustave Monard
Hans Mueller
Pasquale Nardachione
Robert Nival
Leonino Nubile
Joseph Ochs
Félix Oosten
Annibale Pagnezzi
Francesco Palazzo
Giuseppe Pallazone
Esmeraldo Pallante
Liberato Palmieri
Olivaro Palozzi
Pasquale Papa
J.-B. Pardon
Ferrucio Pegorer
Oscar Pelgrims
Théodore Pelgrims
Marcel Pelhausen
Cesario Luigi Perdicchia
Janos Peres
Giuseppe Petaccia
Ottavio Petaccia
Secundo Petronio
Mario Piccin
Ciro Piccolo
Maurice Pielquin
Giulio Pierani
Salvator Piluso
Giuseppe Pinto
Rudolf Pohl
Giuseppe Polese
Pietro Pologruto
Panatote Psiatzis
Sante Ranieri
Henri Rasschaert
Calogero Reale
Vincenzo Riga
Giuseppe Righetti
Donato Rocchi
Robert Rochet
Henri Rock
Eduardo Romasco
Osmano Ruggieri
Camillo RuIli
Rocco Rulli
Cosimo Ruperto
Antonio Sacco
Nicola Salomone
Alphonse Samoy
René Samoy
Natale Santantonio
Donato Santantonio
Raymond Scohier
Davilio Scortechini
Giuseppe Semplicinno
Carmelo Serrone
Vincenzo Sicari
Michel Sorpels
Ernesto Spica
Wladislaw Stanislawzin
Pasquale Stifani
Jean Stromme
André Swingedauw
Philippe Talamelli
Abramo Tamburrano
Robert Tenret
Charles Thanghe
Renato Tieborts
Alfred Tilmant
Sante Toppi
Pantaleone Toppi
Léonard Torfs
Gabriel Travaglini
Sergius Usowik
Georges Van Craen
Florent Van Eyken
Albert Van Hoof
Arthur Van Hiel
Roger Van Hamme
René Vande Voorde
Franz Vanderauwermeulen
Robert Vanderveen
Gaston Vausort
Vito Venneri
Salvatore Ventura
Franz Vervoort
Louis Vervoort
Rocco Vita
Roberto Vitali
Georges Waldron
Gregoire Wasik
J B. Wauters
Yvan Woloschyn
Louis Wouters
Armando Zanelli
Federico Zazzara
Mario Zinni

LA TRAGEDIA DI MARCINELLE NELLA CULTURA DI MASSA

I New Trolls scrissero il brano Una miniera, in cui un minatore morto nella tragedia si rivolge alla sua compagna, che l'aveva atteso inutilmente. 

Monongah, Marcinelle americana un mediometraggio documentario scritto e diretto da Silvano Console.

Marcinelle una miniserie televisiva italiana andata in onda su Raiuno il 23 e 24 novembre 2003.

Il poeta Ignazio Buttitta ha scritto una poesia in dialetto siciliano intitolata Lu trenu di lu suli, che evoca la tragedia di Marcinelle raccontando la storia di un minatore emigrato in Belgio dal comune siciliano di Mazzarino che perde la vita nel disastro proprio nel giorno in cui sua moglie ed i suoi sette figli si sono potuti mettere in viaggio in treno per tentare di raggiungerlo grazie al denaro da lui guadagnato; la poesia è stata trasposta in varie canzoni da parte di alcuni cantanti siciliani. 

Nel 1994, per il cinquantesimo anniversario, il cantautore belga Claudio Scott scrive, in collaborazione con Alexandre Lambrix (allora presidente di tutti gli ex minatori) la canzone Méditation.

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