Di Redazione.
L’ha ucciso il test di Cooper, tremila metri da coprire in meno di dodici minuti. Ventun’anni, un metro e novantaquattro di statura, Riccardo Santoru rincorreva sulla pista del Coni il mito di Collina e di Lo Bello: canottiere nel passato, ingegnere nel futuro, arbitro di calcio nel sangue. Doveva superare le prove atletiche d’inizio stagione, indispensabili per continuare la sua carriera nell’Aia, l’associazione nazionale dei direttori di gara. Prossimo impegno: una partita di promozione regionale. Ma il sole messicano di mezza mattina, la temperatura micidiale e duemila metri percorsi a lunghe falcate hanno rotto qualcosa nel suo apparato cardiocircolatorio: i colleghi l’hanno visto barcollare come un fantoccio al vento, le gambe improvvisamente molli, i passi gommosi. Poi s’è accasciato, il corpo di tre quarti. Pochi secondi e l’ha raggiunto Paolo Sollai, il medico incaricato dall’Aia di sovrintendere al raduno per i test atletici stagionali. Le ha provate tutte ma il cuore di Riccardo non rispondeva. Qualcuno ha chiamato il ‘118’, altri si son fatti coraggio e hanno telefonato ai familiari: tempo dieci minuti e attorno a quel corpo d’atleta, innaturalmente immobile, lavoravano i tecnici del soccorso, col defibrillatore portatile e tutti quegli apparecchi che talvolta aiutano a spostare un po’ più in là il confine labile tra la vita e la morte. Il padre, un tecnico di laboratorio che opera all’ospedale Marino, la madre, altri familiari piombati in un baleno al campo di viale Diaz, si sono raccolti in una preghiera collettiva, in un silenzio palpitante. Gli altri, i colleghi arbitri di Riccardo, i carabinieri, i dirigenti dell’Aia erano come impietriti: gli sguardi velati di lacrime e i pugni stretti a sperare l’insperabile. Dieci minuti, poi venti, un’eternità trascorsa fra massaggi cardiaci e scosse elettriche. Il protocollo del soccorso disperato che si è aperto e chiuso davanti a decine di occhi increduli. Alle undici gli uomini del ‘118’, sudati e sfiniti, si sono arresi a quell’esito ingiusto: morte per arresto cardiorespiratorio, formula che dice tutto e niente. Un’ipotesi raccolta tra gli amici: la causa della morte potrebbe essere un attacco epilettico.Ma per adesso la sola certezza è che Riccardo Santoru, studente di ingegneria al terzo anno, ex canottiere, ragazzo pacato e gentile che non gonfiava il petto davanti alle indiscipline dei calciatori dilettanti, non percorrerà mai più i mille metri di pista che lo separavano dall’autorizzazione ad arbitrare per la stagione 2009-2010. La sua carriera si è conclusa con le ventinove partite dirette l’anno scorso, tra prima categoria e promozione. Ora c’è un fascicolo intestato a Riccardo, l’ha aperto il sostituto procuratore della Repubblica Alessandro Pili: omicidio colposo contro ignoti, il più classico degli atti dovuti perchè al momento non c’è nulla che possa tracciare attorno a questa morte inaccettabile un qualsiasi profilo penale.E’ già partita la notifica ai familiari, stamattina il medico legale Francesco Paribello passerà al terzo piano del palazzo di giustizia per ricevere formalmente l’incarico: sarà lui a eseguire l’autopsia, probabilmente tra domenica e lunedì. Già ieri, poco prima delle tredici, i carabinieri si sono presentati alla sede regionale dell’Aia, in via Sonnino 37, per chiedere il fascicolo personale e le certificazioni mediche annuali sulla salute di Riccardo. A partire dal 2006, quando si era iscritto al ruolo degli arbitri federali, fino a quella del marzo scorso: l’ultima, rassicurante come tutte le altre, da considerarsi valida sino alla fine di febbraio 2010. Se il suo cuore non era integro nessuno ha potuto accorgersene: «Noi sappiamo che era a posto - conferma Gavino Pala, il presidente regionale dell’Aia e capo della sezione di Alghero, la voce incrinata dall’emozione - e sappiamo che era un ragazzo modello, un atleta di notevoli capacità e un arbitro promettente. Poteva fare una grande carriera, quanto è accaduto non siamo in grado di spiegarlo, non possiamo certo essere noi a spiegarlo. So che ieri Riccardo si era sottoposto al test di Cooper da solo, per valutare il proprio stato di forma. L’aveva superato e non si fa fatica a crederlo, era sempre in perfette condizioni fisico-atletiche. Un arbitro autorevole? L’ho visto dirigere, era un arbitro giusto, che si adeguava con grande sensibilità alle esigenze della partita». Una spiegazione a questa morte imprevedibile la cercano anche i colleghi arbitri di Riccardo: conclusi i test atletici, oggi la comitiva avrebbe dovuto trasferirsi al Tanka Village di Villasimius per gli aggiornamenti sulla teoria. Tutto annullato, compresa la prossima giornata di campionato: sono stati i vertici dell’Aia a chiederlo alla Figc, un segno di lutto apparso ai più come un dovere.Ma anche un’esigenza legata allo scoramento che si leggeva tra gli altri giovani arbitri che avrebbero dovuto scendere sui campi della Sardegna col pensiero rivolto a quel ragazzone perduto così. Nel tardo pomeriggio i genitori, i cinque tra fratelli e sorelle, i familiari e una folla immensa di amici e colleghi si sono riuniti nel tempio della comunità neocatecumenale, al Poetto. Una lunga veglia di preghiera, mentre il corpo di Riccardo è stato trasportato all’istituto di medicina legale. Per il funerale si dovrà attendere l’autorizzazione della Procura.
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