giovedì 9 maggio 2013

L'OMICIDIO DI MARTA RUSSO A ROMA (09/05/1997)

Di Redazione.
Marta Russo (NELLA FOTO), studentessa di giurisprudenza all'Università La Sapienza di Roma, è la vittima di un omicidio compiuto all'interno della Città universitaria, quando la ventiduenne fu colpita da un colpo di pistola. L'omicidio fu al centro di un complesso caso giudiziario, oggetto di grande attenzione mediatica alla fine degli anni novanta. Il delitto fu oggetto di un'intensa copertura giornalistica, sia per il luogo in cui era stato perpetrato, sia per le difficoltà in cui versarono le prime indagini, che non riuscivano a delineare moventi. La mattina alle undici e trentacinque, la studentessa fu raggiunta da un proiettile mentre, insieme a un'amica, percorreva un vialetto all'interno della Città Universitaria, tra le facoltà di Scienze Statistiche, Giurisprudenza e Scienze Politiche. La ragazza fu trasportata al vicino Policlinico Umberto I, dove morì il 14 maggio. I genitori e la sorella decisero di donare gli organi della giovane.
A causa della complessità della scena del delitto, per ricostruire la dinamica degli eventi si dovette ricreare virtualmente il cortile dell'università con una videocamera laser tridimensionale unica in Italia, in possesso della Facoltà di Architettura dell'Università degli studi di Ferrara ed in uso ai tecnici del NubLab/Diaprem. Gli scanner 3D utilizzati abitualmente per rilevare l'architettura storica, in funzione del restauro, permisero in questo caso di realizzare un modello estremamente preciso e completo come base per le perizie. Subito dopo l'omicidio, per la particolarità del luogo dove era avvenuto, per la coincidenza con gli anniversari della morte di Aldo Moro e Giorgiana Masi e all'indomani delle elezioni delle rappresentanze studentesche con la clamorosa vittoria della destra, si parlò di un agguato terroristico a sfondo politico, ipotesi abbandonata dopo che si scoprì che né Marta Russo né l'amica Jolanda Ricci erano iscritte a movimenti politici. Anche le ipotesi di una nuova strategia della tensione fu presto abbandonata. Fu individuata la finestra dalla quale era stato esploso il colpo, negli uffici dell'istituto di filosofia del diritto al secondo piano della Facoltà di Giurisprudenza, e si cominciò a raccogliere qualche testimonianza; dopo poco, fu arrestato per favoreggiamento il Professor Bruno Romano, direttore dell'istituto e noto filosofo egli stesso tirato in ballo insieme a Gabriella Alletto, Francesco Liparota, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro dalla testimone Maria Chiara Lipari figlia del professore Nicolò Lipari ex parlamentare democristiano anche lui verrà ascoltato dagli inquirenti come la studentessa Giuliana Olzai. Infine si giunse all'incriminazione dei due assistenti universitari, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, quando anche una ventina di studenti testimoniarono che il "delitto perfetto" era ricorrente nei loro discorsi, ipotesi successivamente abbandonata anche dalla pubblica accusa; i due giovani assistenti si proclamarono sempre innocenti ma con alibi non confermati e talvolta smentiti. In primo grado la lista degli imputati comprendeva anche molti altri individui e collegamenti con la 'ndrangheta poi pian piano prosciolti. Dalla politica arrivarono alcuni dei più duri attacchi, la proiezione del video in aula e la condotta tenuta nel corso dell'interrogatorio dai pubblici ministeri venne definita "gravissima" dall'allora Presidente del Consiglio Romano Prodi. Gabriella Alletto sentendosi diffamata dal parlamentare Marco Taradash lo denunciò per diffamazione, e per questo fu rinviato a giudizio.
Il dibattimento di primo grado si concluse con la condanna di Giovanni Scattone per omicidio colposo (escludendo quindi il dolo), e di Salvatore Ferraro per favoreggiamento, e con la legittimazione dell'operato dei pubblici ministeri nel corso dell'interrogatorio della Alletto. Dopo la sentenza Scattone e Ferraro furono invitati in esclusiva a Porta a Porta e ottennero cento trenta milioni di lire ognuno; Agostino Saccà al tempo direttore di RaiUno causa lo scandalo per essere indagato in concorso nella "mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice". In secondo grado la condanna fu confermata (con un lieve aumento delle pene per Scattone, accusato anche di detenzione illegale di arma da fuoco, e con la condanna di Liparota per favoreggiamento). In cassazione, il 6 dicembre 2001, su richiesta anche del Procuratore Generale, la condanna fu annullata. Il successivo processo d'appello "bis" confermò le condanne, ma con pene più miti (sei anni a Scattone, quattro a Ferraro, due a Liparota).Nel settembre 2003 Salvatore Ferraro fa parlare di sé per la sua esperienza come consulente nella sceneggiatura di un film su un "serial killer". A fine ottobre dello stesso anno Giovanni Scattone fece notare pubblicamente la presenza di un dipendente di un'impresa di pulizie della Sapienza appartenente alle Nuove Brigate Rosse il giorno dell'assassino della studentessa Marta Russo.
Il 15 dicembre 2003 la V Sezione Penale della Corte di Cassazione, nell'assolvere l'usciere Francesco Liparota, ha condannato in via definitiva Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Nel luglio 2005 a Giovanni Scattone vengono addebitate le spese processuali per aver accusato la Rcs e il giornalista Paolo Occhipinti tramite un articolo del settimanale "Oggi" di violazione del diritto della personalità. A ottobre 2005 viene condannato l'investigatore privato Carmelo Lavorino a un anno e mezzo di reclusione (pena sospesa) per calunnia nei confronti degli investigatori dell'accusa. Nel maggio 2011, la XIII sezione del tribunale Civile di Roma, presieduta dal giudice Roberto Parziale, ha condannato Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro al risarcimento di un milione di euro ai familiari della studentessa, i genitori Donato e Aureliana, e la sorella Tiziana, ed al pagamento delle spese giudiziarie, stabilendo inoltre che La Sapienza non può essere ritenuta responsabile della morte della ragazza. Il solo Ferraro è stato condannato a versare all'università ventottomila euro come risarcimento danni all'immagine. Nell'aprile del 2013 la Corte di cassazione ha confermato il risarcimento delle spese del giudizio e della detenzione carceraria (pari a trecentomila quattrocento sessantotto euro) che Ferraro deve allo Stato in quanto "il soggetto non si trova in stato di indigenza” né “l’adempimento comporta un squilibrio del suo bilancio tale da precludere il suo recupero e il reinserimento sociale".
Il 26 maggio 2001 la seconda edizione del torneo sportivo di scherma "Trofeo Marta Russo" diventa internazionale e dal 2004 l'evento è "Una stella per Marta". Nel 2001 viene dedicato a Marta Russo un parco nel quartiere Labaro, adiacente a via Gemona del Friuli. Dal 14 maggio 2003 si ha la prima edizione del premio "Marta Russo. La Donazione degli organi: gesto d' amore a favore della vita", rivolto agli studenti degli Istituti Superiori di Roma e provincia, promosso dall'Associazione Marta Russo e dalla Provincia di Roma. Il 5 maggio 2010 l'Istituto Comprensivo "Via Italo Torsiello", situato a Roma nella frazione di Trigoria, venne intitolato a Marta Russo con una cerimonia alla quale partecipano anche i genitori della ragazza. La salma di Marta riposa nel Cimitero del Verano di Roma.
Nel 2011, scontata la pena e non più interdetto dai pubblici uffici, Giovanni Scattone va a insegnare storia e filosofia presso il liceo scientifico Cavour di Roma, dove aveva studiato a suo tempo Marta Russo, generando pareri contrastanti tra insegnanti, genitori e studenti, che non tutti condividevano la riammissione all'insegnamento. Dopo un periodo di polemiche accese, il supplente decise di abbandonare l'incarico nonostante fosse la sua principale fonte di sostentamento. Tornò poi a insegnare filosofia nel liceo Primo Levi, e in anni successivi come insegnante supplente di materie umanistiche in altri licei. Nel 2015 ottenne, con regolare concorso, una cattedra fissa di psicologia, ma fu spinto nuovamente alla rinuncia e al licenziamento dalle furiose polemiche. 
Per buona parte di coloro che seguirono il processo, la conclusione fu considerata insoddisfacente, tale da far entrare il caso nei misteri della storia italiana. Vittorio Pezzuto ha definito la condanna uno "scheletro spolpato", usando come analogia la vicenda del pescatore de Il vecchio e il mare di Hemingway, per cui la procura ha ottenuto un trofeo simbolico, dopo alcuni fallimenti in celebri casi insoluti avvenuti a Roma (es. delitto di via Carlo Poma). Secondo Giovanni Valentini, la condanna per omicidio colposo a Scattone con il semplice favoreggiamento a Ferraro, pene scontate in gran parte come carcere preventivo, fu una sorta di compromesso (assieme ai vari proscioglimenti) tra una vera condanna per omicidio volontario e un'assoluzione, qualcosa di paragonabile alla vecchia formula processuale dell'insufficienza di prove o formula "dubitativa". Questa tesi è sempre stata respinta dalla procura e dalla famiglia Russo.

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