Di Giampaolo Carboni.
Swing è la parola d’ordine del momento, e l’atmosfera dello spettacolo allude al clima del Cotton Club. Giacche, lamé, brillantina, ballerini, tutto serve a sottolineare lo spirito del disco e del live che ne consegue. Con le dovute dosi di rock e di pop esplicito necessarie a tenere in pugno spazi da diecimila spettatori come il palazzo di Isozaki, la quarta maxistruttura affrontata dalla carovana dopo le date di Budapest e Praga e la doppietta viennese. Anche la scaletta si immerge a più riprese nelle passioni sincopate e induce al portamento da crooner di una volta. Con citazioni esplicite, da «Minnie The Moocher» di Cab Calloway a «That’s Amore» di Dean Martin, da «New York New York» e «High Hopes» di Frank Sinatra all’eterna «Do Nothin’ Till You Hear From Me» di Duke Ellington. Un brano che suona come un omaggio inconsapevole al Torino Jazz Festival, che negli stessi minuti si chiude in piazza Castello.
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