mercoledì 29 ottobre 2014

IL FAMOSO DECRETO BERLUSCONI (20/10/1984)

Di Redazione.

“Caro Bettino grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio”.

Si può trovare anche questo nell'archivio Craxi,reso pubblico a fine 2007 a sette anni dalla scomparsa dell'ex leader del Partito Socialista Italiano.
Perchè tanta gratitudine? La missiva è datata 20 ottobre 1984. Quel giorno, il governo Craxi varò il famigerato “decreto Berlusconi”, che salvò Canale 5, Rete 4 e Italia 1 dal tracollo economico. Per capire cosa accadde, bisogna tornare ad un martedì di 23 anni fa.
E’ il 16 ottobre 1984. Alle 20 e 20 in Piemonte, Lazio e Abruzzo, sugli schermi Fininvest appare la scritta: “Per ordine del pretore è vietata la trasmissione in questa città dei programmi di Canale5, Rete4 e Italia1, regolarmente in onda nel resto d’Italia”. Poi il buio catodico. Ad oscurare il video sono i “pretori d’assalto” Giuseppe Casalbore di Torino, Eugenio Bettiol di Roma e Nicola Trifuoggi di Pescara. Le tre toghe hanno ordinato il black-out televisivo nelle regioni di loro competenza. Il motivo è semplice: la Fininvest trasmette su scala nazionale e la legge non lo consente. Le antenne private, fino alla legge Mammì del ’90, non potranno superare l’ambito locale. Berlusconi se ne infischia e trasmette da Bolzano a Palermo attraverso il metodo del “pizzone”. Prima registra il palinsesto, poi spedisce il nastro (il “pizzone”) alle emittenti locali che mandano in onda lo stesso programma alla stessa ora. In legalese, si chiama “interconnessione funzionale”. E’ illegale. Ma l’avvocato Fininvest Aldo Bonomo ha trovato il cavillo giusto. Dice Bonomo: la legge non vieta la diffusione dei programmi su scala nazionale, ma solo i ponti radio che la consentono. Quindi il Biscione, che utilizza il “pizzone” al posto dei ponti radio, è in regola. Caustico l’avvocato Porta, presidente dell’Anti, l’associazione delle tv locali: “Tanto di cappello Aldo. Hai inventato una diabolica coglionata, ma come avvocato sei straordinario, perchè tutti se la bevono ammirati”. Grazie a Craxi e al “decreto Berlusconi”, la “diabolica coglionata” diventerà legge.
Mentre infuriano le polemiche sul black-out catodico, il tandem Craxi-Berlusconi pensa a come uscire dall’impasse. Il giorno dopo la “serrata”, il Premier ha ricevuto a Palazzo Chigi un Berlusconi preoccupatissimo. I tre pretori potrebbe essere emulati, innescando un disastroso effetto domino. Gli inserzionisti scioglierebbero i contratti. E per la Fininvest, che si è appena svenata per comprare Rete4, sarebbe il tracollo. Bettino Craxi, in visita di stato a Londra, fa sapere che al suo ritorno, sabato 20 ottobre, si terrà un Consiglio dei ministri straordinario sulla questione televisiva. E dichiara sibillino: “Mi ha dato un certo fastidio, come utente televisivo, vedere quegli spazi neri”. Veltroni, responsabile di Botteghe Oscure all’informazione , mostra un’innata vocazione all’inciucio: “Ci sono poi anche le abitudini degli utenti, consolidate in anni di utenza televisiva, che non possono essere ignorate. Non è con il black-out che si risolvono i problemi del mondo televisivo”.
Il vento pro-Berlusconi che spira a Palazzo Chigi spinge una quarantina di emittenti locali ad inviare un telegramma al governo: “Preoccupati dalla grave situazione creata dal gruppo Berlusconi in aperta violazione legislativa, le nostre emittenti autonome si appellano all’autorità governativa per la tutela della propria sopravvivenza”. L’appello cade nel vuoto. Il 20 ottobre il consiglio dei ministri approva il “decreto Berlusconi”, che legalizza in via provvisoria l’interconnessione funzionale, ossia la tecnica del “pizzone”. Tanta solerzia da parte del governo non si era vista nemmeno per alluvioni e terremoti. La “diabolica coglionata” dell’avvocato Bonomo è diventata legge. “Sua emittenza” esulta e il 21 ottobre si riaccendono i palinsesti Fininvest in Piemonte, Lazio e Abruzzo.
L’Anti, l’associzione delle tv locali, parla di “attentato alla costituzione, un autentico golpe” volto “a salvare il monopolio di Berlusconi”. Il decreto però deve essere approvato dal Parlamento entro 60 giorni. E al primo ostacolo (l’esame di costituzionalità alla Camera del 28 novembre ‘84), il provvedimento inciampa subito, impallinato dai franchi tiratori della sinistra democristiana. A bocciare il decreto è la “cricca degli avellinesi”, cioè gli uomini di De Mita, nemico giurato del duo Craxi-Berlusconi.
I pretori di Torino e Roma minacciano un nuovo black-out. Ma stavolta fanno i conti con l’ira di Craxi. Ricorda il pretore di Torino Casalbore: “Mi impressionò il fatto che, decaduto il decreto Craxi, io notificai alle tre emittenti Fininvest di Torino di non trasmettere oltre la scadenza. Ebbene, non ho mai visto che a una diffida fatta a un imputato rispondesse con un comunicato durissimo la presidenza del Consiglio”. E’ l’inizio della guerra senza quartiere tra le toghe e il Cavaliere. Che insieme al sodale Craxi, si rimette subito al lavoro per legalizzare l’illegale monopolio dell’etere.
Per far passare il decreto, a Craxi non resta che la trattativa con Ciriaco De Mita ed i comunisti. L’accordo si trova in un amen. Il 6 dicembre il consiglio dei ministri vara il “Berlusconi-bis”. Noto alle cronache come "decreto Berlusconi-Agnes". Alle norme che legalizzano la tecnica del “pizzone”, infatti, si aggiunge un capitolo sulla Rai molto gradito a De Mita. Aumentano i poteri del direttore generale, che diviene il padre padrone del video. Sulla poltronissima di viale Mazzini siede Biagio Agnes, amico d’infanzia del politico irpino. De Mita è soddisfatto. Per scongiurare l’ostruzionismo, ora bisogna concedere le briciole ai comunisti.
Biagio Agnes ha allora un’idea. Dividere in quattro Raitre e spartirsi il bottino: ai repubblicani il dipartimento scuola ed educazione; alla Dc l’informazione regionale, che dispone di un esercito di giornalisti; al Pci il telegiornale nazionale e la direzione di rete. All’idea di un canale tutto per loro, i comunisti si leccano i baffi. Botteghe oscure accetta e rinuncia all’ostruzionismo. E pazienza se il “decreto Berlusconi-Agnes” consegna al Cavaliere il monopolio della tv privata. In Senato, il capogruppo comunista Maurizio Ferrara lancia segnali di pace a Craxi: “Vorrei dire che, di fronte a questo decreto, la nostra opposizione non si è chiusa a riccio in modo pregiudiziale. Per la parte riguardante la televisione di stato, il decreto in esame reca indubbiamente i segni di un confronto relativamente positivo. A questo proposito, come abbiamo già fatto nell’altro ramo del parlamento, tengo a dire che, se il decreto fosse limitato a questo ambito, probabilmente il nostro voto, che oggi è contrario, avrebbe anche potuto essere diverso”. Il Partito Comunista Italiano aveva oramai deposto le armi, e si era accomodato con l’acquolina in bocca al banchetto della lottizzazione. Certo, i comunisti votano contro. Ben sapendo però che il decreto passerà, e che solo l’ostruzionismo potrebbe scongiurare il monopolio berlusconiano dell’etere. A dar battaglia resta il drappello della sinistra indipendente, tra cui diversi ex giornalisti Rai: Peppino Fiori, Raniero La Valle, Ettore Masina e Andrea Barbato. Durissimo il giudizio di Peppino Fiori sulla scelta di Botteghe Oscure: “Non si può, in cambio di una qualche direzione in terza rete, abbassare il livello di attacco ad un decreto-legge che è doveroso combattere per un’esigenza vitale, la difesa della normalità democratica: esso infatti condona l’arroganza, l’abuso, la sfida della legalità, legittima un monopolio privato che, drenando pubblicità senza alcun limite schiaccia le antenne locali rispettose delle leggi e persino mette in crisi l’editoria stampata”.
Il “decreto Berlusconi-Agnes” viene convertito in legge il 4 febbraio (legge n. 10, 1985). Per scongiurare il rischio dell’ ostruzionismo, il presidente del Senato Cossiga ha contingentato i tempi del dibattito. Se Botteghe Oscure fosse scesa con la sinistra indipendente nella trincea dell’ostruzionismo, probabilmente il decreto non sarebbe passato. Il Pci, furbescamente, pensa di aver vinto la partita. Il provvedimento infatti è valido “sino all’approvazione della legge generale sul sistema radiotelevisivo, e comunque non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (art. 3 comma1). O il governo fa la legge entro giugno, oppure il decreto cadrà, col risultato che le tv Fininvest torneranno ad essere illegali e alla mercè dei “pretori d’assalto” . In entrambi i casi il Pci ha vinto. In più, porta a casa Raitre. Craxi non è dello stesso avviso. Nel giugno 1985 ad ogni modo della legge televisiva non c’è traccia, e sul Biscione torna ad aleggiare lo spettro del black out. Niente paura. Ghino di Tacco lancia al Cavaliere l’ennesima scialuppa, con un terzo decreto che proroga la validità del “Berlusconi-Agnes” fino al 31 dicembre ’85. Ma non è tutto. A fine anno si replica l’identico copione: la legge generale sulla tv non si vede e il governo concede un’altra proroga, la terza. Questa, però, è una proroga sui generis: è a tempo indeterminato, non deve essere rinnovata. Il “decreto Berlusconi- Agnes” infatti è “transitorio”, non “provvisorio”. E nella patria del “diritto e del rovescio”, fa tutta la differenza del mondo. I legali Fininvest spiegano che “provvisorio” significa a termine, con data di scadenza. “Transitorio” è a vigenza illimitata. Craxi annuisce.
Così, il 3 gennaio 1986 Giuliano Amato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dirama un comunicato in cui si dice che il provvedimento resta in vigore senza bisogno di proroghe. E’ il battesimo del duopolio, che ha ricevuto la benedizione della partitocrazia. Il pentapartito ha prima lasciato campo libero alle scorribande del Cavaliere (nessuna legge, nessuna norma antitrust, nessun tetto pubblicitario) spianando la strada al monopolio Fininvest. Poi lo ha legalizzato. In via “transitoria” e non “provvisoria”. Resta da chiedersi cosa sarebbe accaduto se la sinistra cattolica di De Mita e il Pci non avessero mercanteggiato col governo Craxi. Forse l’impero televisivo berlusconiano sarebbe affondato sotto i colpi dei pretori. Senza quel mercimonio, forse il duopolio non sarebbe mai nato. Invece ci fu il baratto, la spartizione globale del potere televisivo: Viale mazzini a De Mita e al Pci (cui andranno le briciole di Rai3); le antenne di “Sua emittenza” a Craxi (che conservò pure Rai2) e alla destra Dc. Il “decreto Berlusconi-Agnes” viene bocciato dalla Consulta nel 1988. Per la Suprema Corte, il duopolio è la negazione del pluralismo. Il pentapartito fa spalluce e nel 1990, dopo ben quattordici anni di “far west” dell’etere, partorisce la famigerata legge Mammì, che fotografa il duopolio. Fine delle trasmissioni pardon delle discussioni.

BERLUSCONI-TV:UN IMPERO NATO PER DECRETO-CRAXI (20/10/2004)

Di Marco Travaglio.

E' cominciato tutto quel giorno di vent'anni fa. Mai, nemmeno quando «scese in campo» nel '94, Silvio Berlusconi si è giocato tutto, anche i denti, come quel giorno di vent'anni fa. Era il 20 ottobre 1984. Il presidente del Consiglio Bettino Craxi rientrò precipitosamente da una missione ufficiale a Londra per riaccendere le tv dell'amico appena «spente» dalla magistratura perchè violavano varie sentenze della Corte costituzionale, trasmettendo su tutto il territorio nazionale con la finta diretta dell'«interconnessione». Quel giorno di vent'anni fa Silvio Berlusconi rischiò, per qualche ora, di perdere per sempre la partita contro la Rai, l'unica azienda televisiva autorizzata a irradiare programmi contemporaneamente in tutt'Italia. Cioè rischiò di rimanere quel che era: un impresario come tanti. Invece, grazie all'amico Bettino e a vari confratelli piduisti sistemati nei posti giusti, il Cavaliere scampò quel pericolo e divenne quello che conosciamo. Per decreto, ovviamente incostituzionale. Il decreto Berlusconi. La prima volta che la legge, da «provvedimento generale ed astratto», si trasformò in rimedio urgentissimo per una sola persona. Una tv col cappuccio Il 2 maggio 1979, quando fonda la sua prima televisione, Telemilano, una tv via cavo per gli abitanti di Milano 2, il costruttore Berlusconi è iscritto da un anno alla loggia P2, collabora al Corriere della sera (controllato da Licio Gelli) con sapidi commenti di economia, e da qualche mese è stato decorato Cavaliere del lavoro. Da un paio d'anni è anche socio al 12% del Giornale di Indro Montanelli. Recita il Piano di rinascita democratica, elaborato da Gelli e misteriosi consulenti intorno al 1976 e scoperto solo nel 1983: «a) acquisire alcuni settimanali di battaglia; b) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata; c) coordinare molte tv via cavo con l'agenzia per la stampa locale; d) dissolvere la Rai-tv in nome della libertà di antenna». Nel novembre '79 Berlusconi ribattezza la tv Canale 5 e strappa alla Rai Mike Bongiorno. Il 7 giugno '80 la Corte costituzionale concede alle tv commerciali la facoltà di trasmettere via etere, ma solo in ambito regionale, e sollecita il Parlamento a varare una legge di sistema. Il ministro delle Poste Michele Di Giesi (Psdi) promette: «Presto faremo una buona legge». Ma subito Berlusconi lo zittisce: «Non c'è bisogno di alcuna legge, perchè il mercato ha in sè gli anticorpi necessari a provocare una autoregolamentazione del sistema televisivo privato». La legge si arena e Berlusconi, in tre anni, scorrazza pressochè solitario nel Far West delle antenne, facendo incetta di ponti ed emittenti. Il 17 marzo 1981 esplode lo scandalo P2, col ritrovamento degli elenchi degli affiliati negli uffici di Gelli: c'è pure Berlusconi, insieme a politici, ministri, generali, giornalisti, imprenditori, faccendieri. Arrestati Gelli, Calvi e Carboni. Il Cavaliere, per nulla mortificato dallo scandalo, chiede alla Corte costituzionale di consentire anche alle tv private di trasmettere a livello nazionale. Ma il 22 aprile la Consulta risponde picche: monopolio Rai per le trasmissioni nazionali, private solo su scala locale e regionale, salvo autorizzazione del ministero. Berlusconi se ne infischia e aggira il divieto col sistema dell' «interconnessione», che lui stesso spiega così: «In gergo si chiama pizzone: è il nastro madre che, riprodotto, può essere mandato in onda su tutte le stazioni regionali anche cinque giorni dopo, dando l'impressione agli ascoltatori di un programma trasmesso in diretta su tutto il territorio nazionale». Nel 1982 la Rai lo denuncia alla magistratura per violazione di tre sentenze della Consulta. Lui la accusa di «terrorismo ideologico». Ma viene denunciato anche dall'Anti, l'associazione delle altre emittenti locali. Si muovono vari pretori: Biagio Tresoldi di Palermo dà torto a Canale 5, Francesco Lalla lo condanna a due mesi di arresto con la condizionale per trasmissioni nazionali senza concessione. Lui intanto fa altri acquisti: nel settembre '82 Italia1 da Rusconi e nel giugno '83 Sorrisi e Canzoni tv da una consociata dell'Ambrosiano. Achille Occhetto, della direzione del Pci, denuncia inascoltato: «L'operazione che ha portato al costituirsi di un monopolio privato accanto a uno pubblico è quella prefigurata e voluta da Licio Gelli». Nell'agosto 1983 scende su Arcore la manna dal cielo: l'amico Craxi diventa presidente del Consiglio. Ma Montanelli lo attacca duramente sul Giornale, dandogli del «padrino» e del «guappo di cartone». Craxi, il 27 agosto, protesta al telefono con l'amico Silvio (intercettato dalla Guardia di Finanza, che lo sospetta di traffico di droga, in un'indagine poi archiviata): «Montanelli è una merdolina, l'atteggiamento di ostilità continua, ne tireremo le conseguenze...». Berlusconi tenta di rabbonirlo: «Vedrai, Bettino, ora vado al Giornale, batto i pugni sul tavolo, mi impongo io. E se il signor Montanelli continua... lo mando a cacare, al diavolo, lo mando affanculo, gli taglio i soldi». Poi, più modestamente, chiama il condirettore Biazzi Vergani, uomo di provata fede, e gli raccomanda di trattare bene Craxi: «Ho fatto tanto per aiutarlo per la campagna elettorale a Milano... E' quello che ci deve fare la legge sulla televisione... E poi ci ha in giro gli Andreotti, i Forlani, tutta 'sta gente qui, che è gente di buon senso...». Ma si raccomanda: «Non dire niente a Indro». Craxi evita accuratamente di rinnovare il Cda Rai, scaduto da tempo e lascia nei posti chiave della tv pubblica vari dirigenti i cui nomi compaiono negli elenchi della P2 (Giampaolo Cresci, Gino Nebiolo, Franco Colombo, Gustavo Selva). Poi nominerà un nuovo presidente, Enrico Manca, che pure risultava nella lista di Castiglion Fibocchi (anche se l'interessato ha smentito). Nel 1984, raccomandato da Craxi a Mitterrand, monsieur Berlusconì inizia la campagna di Francia con La Cinq e, in agosto, acquista Rete4 da Mondadori. Ormai controlla l'80% dell'emittenza privata. Ma gli resta un ostacolo da rimuovere: la Legge e chi deve farla rispettare, la Magistratura. Il braccio inutile della legge. Nel pomeriggio del 16 ottobre 1984 i telespettatori del Piemonte, dell'Abruzzo e del Lazio non trovano più le tre reti Fininvest. Oscurate. Alle 20.20, su Canale 5, Italia1 e Rete4 compare una scritta: «Per ordine del pretore è vietata la trasmissione in questa città del programmi di... regolarmente in onda nel resto d'Italia». Cos'è accaduto? I pretori Giuseppe Casalbore di Torino, Eugenio Bettiol di Roma e Nicola Trifuoggi dell'Aquila hanno decretato la disattivazione degli impianti (i «ponti di frequenza») e il sequestro dei «pizzoni» (le cassette preregistrate) che consentono alle tv regionali affiliate al circuito berlusconiano di trasmettere in «interconnessione» su scala nazionale senza permesso ministeriale. Ma,come spiega Casalbore all'Unità, «nulla vieta a queste tv di mandare in onda programmi prodotti localmente, ad esempio un bel dibattito sul pretore che fa i sequestri». Nessun oscuramento, dunque. Ma la Fininvest, per drammatizzare la situazione, decide di auto-oscurarsi, attribuendone la colpa ai giudici. E il 17 ottobre tutti i giornali parlano di «oscuramento» e «serrata dei pretori»: la versione berlusconiana, falsa e bugiarda, diventa verità di fede. Il popolo dei Puffi, di Dallas e di Uccelli di Rovo, debitamente arruolato dalla propaganda Fininvest, si mobilita: tempesta Palazzo Chigi, giornali, preture e Rai con telefonate di fuoco, mentre il Cavaliere minaccia un referendum popolare. Casalbore deve chiedere alla Sip di cambiare numero di telefono, visto che anche casa sua è bersagliata dalle proteste. Inondata di telefonate anche la vedova del giornalista sportivo Renato Casalbore (morto a Superga con il Grande Torino), che ha la colpa di chiamarsi come il giudice. Quel che accade poi lo racconta Giuseppe Fiori ne "Il Venditore" (Garzanti). Berlusconi revoca l'auto-oscuramento a Roma per mandare in onda uno speciale del "Costanzo Show", condotto dal confratello piduista Maurizio: due ore di piagnisteo con varie star da riporto. Ecco l'irresistibile cronaca di Sergio Saviane per l'Espresso: «Alle 10 della sera comincia la veglia al catafalco della defunta Rete4, officiatore Costanzo, listato a lutto. E' un Costanzo scolorito, smunto, gli occhi segnati dal dolore, la lacrima in agguato... Il momento è carico di attese, e di dentiere. Si invoca una prece. Ci sono registi zoccoloni con lutto all'occhiello, attori e mezzibusti con la cravatta scura, pubblicitari moribondi... Piangono sconsolate le matrone in gramaglie rimaste vedove di Canale5, la Silvana Pampanini in dentiera da mezzasera, la suocera del pubblicitario in coma per la scomparsa di Dallas... Gava, ministro delle telecomunicazioni e delle telespeculazioni napoletane, non contento di aspettare da otto anni questa benedetta legge, dice:Bisogna ancora studiare il problema, cosa che mi accingo a fare immediatamente. E poi dicono che i nostri ministri sono dei coglioni. Ma se non fanno altro che accingersi...». Gli «Speciale black out» si susseguono su tutte le reti Fininvest, che strillano all'oscuramento anche se sono regolarmente accese. Il Corriere della sera affida al costituzionalista Vezio Crisafulli il compito di ricordare, in perfetta solitudine, che Berlusconi ha violato la legge e «i pretori hanno ragione». Ma la politica che conta sta con Berlusconi: il Psi dell'amico Bettino, il Psdi del piduista Pietro Longo, la destra Dc, i radicali di Pannella. Silvio comanda, Bettino risponde Il 20 ottobre Berlusconi, allarmato per le fibrillazioni dei pubblicitari, vola a Roma per un'udienza riservata da Craxi, in partenza per una missione diplomatica a Londra. Chiede un decreto urgente, ma il ministro delle Poste Antonio Gava (sì, Gava) si mette di traverso: «Sarebbe un errore agire in termini di conflitto con l'autorità giudiziaria, che interpreta le norme esistenti». Craxi però non sente ragioni. Da Londra convoca un consiglio dei ministri straordinario per la sera stessa. Poi anticipa il rientro a Roma e firma a tempo di record il «decreto Berlusconi», che annulla le ordinanze dei pretori e le sentenze della Consulta, legalizzando l'illegalità. Mai visto nulla di simile neppure per l'alluvione in Polesine e i terremoti nel Belice, nel Friuli e in Irpinia. Provvedimento «eccezionale e temporaneo», spiegano i socialisti, in attesa della legge sulle tv, data per imminente (invece la faranno solo nel 1990: la Mammì). «Craxi è un uomo provvidenziale», flauta riconoscente il Cavaliere. E aggiunge il suo personale concetto di legalità: «Il pubblico non ha sentito la nostra attività come un reato, ma anzi l'ha giudicata un beneficio che gli volevano ingiustamente togliere». Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Così, il 28 novembre la Camera, grazie ai franchi tiratori di un pezzo della Dc e del Pri, boccia il decreto perchè incostituzionale: 256 voti contro 236. E il 3 dicembre i tre pretori reiterano il sequestro degli impianti. Craxi li investe a male parole. «Non ho mai visto - commenta Casalbore - che a una diffida fatta a un imputato rispondesse un comunicato durissimo della presidenza del Consiglio». Non si usava, allora. Comunque, il 6 dicembre, Craxi impone un secondo decreto, il Berlusconi bis, ponendo la fiducia e minacciando la crisi di governo e le elezioni anticipate se non verrà convertito. E infatti, il 31 gennaio 1985, viene approvato a maggioranza. Berlusconi è salvo, insieme a ciò che ha di più caro: la pubblicità. Ai due decreti incostituzionali seguiranno tre leggi televisive, sfornate da tre diverse maggioranze: la Mammì del '90 (Pentapartito), la Maccanico del '98 (Ulivo), la Gasparri del 2004 (Cdl). Tutte su misura di Berlusconi. Tutte incostituzionali. Quel giorno di 20 anni fa, con largo anticipo sul '94, il Cavaliere scese davvero in campo, assunse il controllo del Parlamento e non lo mollò più. Dieci anni prima di candidarsi.

(Da "L'Unità")

Nessun commento:

Posta un commento

Qualsiasi commento anonimo o riportante link NON sarà pubblicato

Any anonymous or linked comments will NOT be published