mercoledì 14 dicembre 2016

I CARI ESTINTI (14/12/2016)

Di Marco Travaglio.

Appena Paolo Gentiloni Silverj, conte di Bromuro e Passiflora, è apparso al Quirinale, la prima tentazione dopo il letargo è stata una rabelaisiana risata. Poi però una vocina ci ha sussurrato: “Ma possibile che non ti vada mai bene nessuno?”. È ciò che ci rimproverano i colleghi dell’ottimismo obbligatorio, abituati a incensare chiunque salga al governo, per poi sparargli alla schiena appena ne scende. E così ci siamo detti: ma sì, dài, proviamo a parlarne bene. In fondo è un brav’uomo che non ha mai fatto male a una mosca, più che parlare sibila, più che camminare pattina, più che vivere vegeta. Potrebbe essere il premier giusto per accompagnarci nel sonno alle elezioni dopo tre anni frenetici e ansiogeni di urla, strepiti, risse, smargiassate, promesse, annunci, slide e balle spaziali. Poi la lista dei ministri ci ha riportati precipitosamente dal sogno alla realtà. Prima lezione: dei nostri politici, anche i più insospettabili, non si può mai pensare abbastanza male, perché prima o poi si rivelano peggio delle più nere aspettative. Siccome però la lista, anzi la fotocopia, è uscita direttamente dalla stampante di Renzi, ecco la seconda lezione: mai sopravvalutare l’intelligenza dei nostri politici, che sistematicamente si dimostrano molto più stupidi di quanto li immaginiamo. Dopo la scoppola del 4 dicembre, un politico intelligente o perlomeno furbo si sarebbe ritirato. Non solo da Palazzo Chigi per arroccarsi al partito, ma da tutto. E avrebbe favorito un governo discontinuo dal suo, senza mettervi becco, dando prova di una severa autocritica sulla disfatta referendaria e anche su quella amministrativa. Tanto, visto com’è ridotto il Pd, nel giro di pochi mesi anche i più strenui oppositori, a corto di idee e di leader, sarebbero saliti in pellegrinaggio a Pontassieve per pregarlo in ginocchio: “Matteo, torna, tutto è perdonato”. Nel frattempo la gente, almeno la sua, avrebbe dimenticato la tranvata e apprezzato la coerenza nel solenne impegno di lasciare la politica, e l’avrebbe rivotato. Come nuovo. Lui intanto avrebbe potuto raccogliere una squadra degna di questo nome, quindi estranea al suo mortifero Giglio Tragico, e all’occorrenza prendere le distanze dal “governo amico” per tenersi le mani libere in campagna elettorale. Per ripresentarsi alle primarie e alle elezioni con un volto meno arrogante e più maturo: quello di chi ha capito la lezione e fatto tesoro dei propri errori. Invece Renzi si dimostra poco intelligente e ancor meno furbo. Il governo Genticloni è talmente identico al precedente da rendere ridicola ogni dissociazione. Tutti, dietro il mite Paolo, continueranno a vedere l’ombra lunga del bulimico Matteo, che ha imposto le due autrici della controriforma, Boschi & Finocchiaro, e il fedelissimo Lotti travestito da ministro dello Sport (in gioventù allenava una squadra di calcio femminile: fa curriculum) a spadroneggiare per conto Renzi su fondi pubblici, editoria e nomine. Se il governo farà qualcosa di buono, sarà merito di Paolo, mentre tutte le rogne finiranno sul conto di Matteo. Come già sta accadendo per i nuovi (si fa per dire) ministri, che autorizzano i peggiori sospetti. Sul web impazza il video della Boschi, simbolo della schiforma e dunque della disfatta, che giura: “Se il referendum dovesse andare male, non continueremo il nostro progetto politico”. Lucia Annunziata: “Ma se Renzi perde e lascia la politica, lei lascia la politica o no?”. Risposta: “Eh sì, perché è un lavoro che abbiamo fatto insieme e quindi ci assumiamo insieme le responsabilità”. Ora viene addirittura promossa a supersottosegretario unico a Palazzo Chigi, ruolo che fu di Letta e Lotti. Impossibile non domandarsi con quali irresistibili argomenti la ministra riscaldata sia riuscita a imporre a Renzi di imporla a Gentiloni perché la imponesse a Mattarella: noi non li conosciamo, Mariaele e Matteo sì. Anna Finocchiaro, già relatrice della schiforma, va ai Rapporti col Parlamento al posto della Boschi. Eppure nel 2013 fu proprio Renzi a bocciarne la candidatura al Colle in quanto simbolo della “casta” per le foto dello shopping all’Ikea con la scorta che spinge il carrello. Cos’è cambiato ora per promuoverla a ministro? Valeria Fedeli va all’Istruzione al posto della Giannini, che almeno è docente di Glottologia e linguistica, ma paga la catastrofe della “buona scuola”, come se questa fosse una sua idea personale e non un caposaldo del renzismo. Strana scelta, per un alfiere della meritocrazia, anzi dell’“Italia della conoscenza contro quella delle conoscenze”, visto che la Fedeli di scuola non sa nulla e non è neppure laureata, checché ne dica il suo curriculum taroccato (aridatece Oscar Giannino). “Se perdiamo il referendum – aveva detto la fulva Valeria – il giorno dopo non ci sono alibi. Il governo non avrebbe autorevolezza, e neanche i parlamentari. Non siamo attaccati alla poltrona”. Infatti, anziché mollare la poltrona di deputato, ne colleziona una di ministro, per rendere più autorevole il governo senza autorevolezza. Il bello è che questi geni hanno trascorso gli ultimi mesi a giurare a tutti, anche ai passanti, che si sarebbero dimessi da tutto, anche da esseri umani, in caso di vittoria del No: e nessuno gliel’aveva mai chiesto. Un’astuta mossa per offrire oggi il petto alla lapidazione di massa. E regalare altre vagonate di voti ai “populisti”. Infatti il giuramento pareva una cerimonia funebre e la discussione alla Camera un rosario di trigesimo, con le salme preventive dei ministri che, colte da cimiteriali presentimenti, camminavano rasenti i muri per schivare lanci di ortaggi e forconi. Che ancora non c’erano, ma era come se già ci fossero. Peccato, così giovani. Pare che dormano.

(Da "Il Fatto Quotidiano")

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