mercoledì 27 marzo 2019

UNA DESTRA GOTICA E GUELFA (28/03/2008)

Di Eugenio Scalfari.

L'ultimo libro di Giulio Tremonti ('La paura e la speranza'" editore Garzanti) è nelle librerie da pochi giorni ma è già diventato oggetto di pubbliche presentazioni e di private discussioni. L'autore stesso è molto attivo nel promuoverlo, al punto che i suoi detrattori non hanno mancato di far circolare la battuta di un ex ministro del Tesoro che tenta di riciclarsi come intellettuale in attesa di riprendere la carica perduta due anni fa se le urne elettorali saranno benevole con lui e con i suoi amici politici.

Mi astengo dal far mia quella battuta. Tremonti ha dimestichezza con le idee, spesso le maneggia come un giocoliere. Soprattutto è molto attento all'importanza del 'senso comune', allo 'spirito dei tempi' cui attribuisce un peso oggettivo assai forte.

Secondo me un intellettuale dovrebbe contrastare il senso comune e non assumerlo come canone cui ispirare i propri pensieri. E qui vedo una prima contraddizione che emerge da queste pagine: l'autore usa a piene mani il senso comune per diagnosticare il male che secondo lui corrode l'Europa e la cultura occidentale, ma la sua ricetta terapeutica per vincere quel male contrasta il senso comune in modo radicale. Disegna infatti una civiltà gotica, obbediente al dio medievale, alla 'Kultur' della legge e dell'ordine, della terra e del sangue, della famiglia e della comunità, in contrasto con la modernità secolarizzata, con il pluralismo e il relativismo delle verità.

C'è da aggiungere che il Tremonti uomo politico torna invece ad ispirarsi al senso comune: gli chiedevano meno tasse e lui se la cavò con i condoni, con l'aumento della spesa pubblica, con l'aumento del debito (palese e occulto). Ma questo è un altro discorso e non c'entra con le pagine del libro. Il quale è nettamente diviso nelle due parti preannunciate dal titolo,
la paura (diagnosi della crisi) e la speranza (terapia per uscirne).

La prima parte stupisce per chi credeva di conoscere Tremonti giudicandolo dalla sua biografia professionale e politica. Un esperto nella conoscenza del fisco e dei modi per difendersene, un uomo politico di destra con marcate simpatie leghiste. Sedotto da Berlusconi e dalla sua capacità di sciamano e di venditore. Sicuro come pochi di possedere la verità in esclusiva.

Quest'ultimo tratto del suo carattere emerge riconfermato e ampliato nelle pagine del libro, soprattutto nello stile, quanto mai apodittico, assertivo, dilemmatico, icastico. Bisognerebbe stare attenti a non esagerare con quel tipo di stile; usato con parsimonia ha una sua efficacia, ma usato a piene mani diventa stucchevole e ripetitivo.

Nella prima pagina del libro per esempio l'autore dice che "siamo passati da Marx al marketing". È vero ed è ben detto con una battuta che descrive in tre parole una trasformazione epocale. Ma di battute, di dilemmi, di assiomi ce ne sono almeno una decina per pagina (non esagero). Non lascia spazio al lettore di riflettere, lo inchioda, lo stringe con le spalle al muro, lo obbliga a rincorse che tolgono il fiato. Insomma lo manipola per averlo alla fine esanime e domato nelle sue mani. Questo non va bene, l'eccesso di bravura va a detrimento della credibilità e dello spessore dei pensieri.

Ma dove nasce lo stupore del lettore? Dal fatto di scoprire, nella prima parte del libro, un Tremonti di sinistra. Contro il 'mercatismo'. Contro la globalizzazione. Contro le multinazionali. Contro il consumismo. Contro l'asservimento della pubblica opinione alle manipolazioni tecnologiche. Contro le disuguaglianze. Contro i veleni che deturpano l'ambiente e devastano il paesaggio. Contro il mito del Pil.

Beninteso, l'autore imputa alla sinistra la mostruosità del regime staliniano e conduce una serrata arringa contro gli intellettuali che imbonirono le masse con il mito del paradiso comunista in terra. Ma per tutto il resto - in questa parte del suo scritto - la sua diagnosi non è lontana da quella che potrebbero fare un Giorgio Ruffolo o un Alfredo Reichlin e, con loro, anche molti liberali di sinistra tra i quali mi ascrivo. Non a caso l'autore esprime ammirazione per il Partito d'azione che commise però un errore di 'intellettualismo' e non tenne conto del senso comune. E quindi finì rapidamente in mille pezzi.

Tra le tante battute che gremiscono le pagine ne cito una che riassume il pensiero tremontiano: "Abbiamo creato un tipo umano che non solo consuma per esistere ma esiste per consumare". Sembra Pasolini se non addirittura Enrico Berlinguer. E allora sorge la domanda: quest'uomo è lo stesso che da tredici anni lavora spalla a spalla con Berlusconi ed è il fedele esecutore delle sue intuizioni e dei suoi umori? Il padrone delle televisioni incarna, proprio lui, quell'arcicapitalismo contro il quale l'intellettuale Tremonti bandisce la sua crociata?

La risposta arriva nella seconda parte del libro ed è, debbo dire, agghiacciante. L'ho definita una risposta gotica, medievalistica e l'autore del resto non ne fa mistero.

In un mondo dove la globalizzazione ha risvegliato le masse addormentate e le ha trasformate in 'campi di forza' che hanno lanciato una sfida senza precedenti all'Europa, all'Occidente, alla razza bianca, bisogna rispondere inalberando le nostre radici cattoliche, bisogna dotare l'Europa d'una visione politica e di un'autorità che la imponga, bisogna che quell'Europa divenga una fortezza capace di opporsi alle potenze emergenti, bisogna accogliere il flusso di emigranti soltanto se siano disponibili all'integrazione immediata fin dal primo giorno d'ingresso nel nostro territorio. Bisogna instaurare un sistema di doveri e vagliare attentamente i diritti col metro della morale cristiana. Bisogna canalizzare la pubblica opinione.

La sinistra non è in grado di attuare questa svolta, anzi questa rivoluzione. Può aiutarla se vuole, dare una mano. Ma si tratta d'un compito enorme, quello che la nuova destra gotica e guelfa di Giulio Tremonti deve assumersi; l'icona - pare a me - è quella di Sisifo che spinge il masso verso la cima. Una cima tuttavia dove incontreremo De Maistre. Prospettiva che può piacere a papa Ratzinger, al cardinale Ruini e a Roberto Formigoni, ma certo non è esaltante, almeno per me.

(Da "L'Espresso")

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