giovedì 13 febbraio 2020

L'OMICIDIO DI DANILO SELLA A MAMOIADA (18/09/2008)

Di Redazione.

Tredicesimo omicidio dall'inizio dell'anno in Sardegna. Non accenna a placarsi l'incredibile escalation di morti ammazzati nel centro dell'isola. Omicidio nelle campagne di Mamoiada. Un giovane pastore, Danilo Sella (NELLA FOTO IN ALTO), ventitreenne, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco. A scoprire il delitto e dare l'allarme è stata la madre, che si era recata nell'ovile dopo che il figlio non aveva risposto al telefonino. Sul posto si sono recati i Carabinieri della locale stazione di Nuoro che stanno cercando di chiarire circostanze e movente. Le indagini hanno portato alla condanna del compaesano Marcello Gungui a diciotto anni di carcere con la Cassazione che nel settembre del 2019 rigettò il motivo del ricorso dei legali di Gungui Gianluigi Mastio e Basilio Brodu.

AGGIORNAMENTO DEL 13/02/2020

«Condotta violenta, comportamento processuale negativo e la carenza di qualsiasi spiegazione in merito al gravissimo delitto commesso»: anche queste ragioni sono alla base della sentenza con la quale, lo scorso 11 settembre, la Corte di cassazione, rigettando il ricorso della difesa, ha reso definitiva la condanna a 18 anni con il rito abbreviato del giovane mamoiadino Marcello Gungui, per l’omicidio del suo amico e compaesano Danilo Sella, ucciso nelle campagne di Mamoiada il 18 settembre del 2008 con un colpo di fucile calibro 12 caricato a pallettoni esploso a bruciapelo, dall’alto verso il basso, «mentre la vittima era inginocchiata o accosciata a terra». Anche per la Suprema corte, nelle pagine con le quali motiva il rigetto del ricorso presentati dai difensori di Gungui, gli avvocati Basilio Brodu e Gianluigi Mastio, e rende definitiva la condanna a diciotto anni, quella che era andata in scena dodici anni fa era stata una brutale esecuzione per un movente mai del tutto accertato fino in fondo ma legato probabilmente ad alcuni screzi precedenti. La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione per diversi motivi e in particolare perché riteneva che la sentenza di secondo grado avesse travisato le prove, perché la riteneva ricca di elementi valorizzati solo in chiave accusatoria, ma in realtà, sostengono i difensori, «privi di gravità, precisione e concordanza». Uno su tutti: l’alibi. Per i giudici di secondo grado Gungui aveva prodotto un alibi falso, per quella notte e per il mattino seguente, e anche nelle dichiarazioni dei suoi familiari c’erano diverse incongruenze sospette. Per i due difensori di Gungui, in realtà Gungui non aveva mai fornito alcun alibi, tantomeno falso, e, d’altra parte, non poteva essere giudicato sospetto se nella dichiarazioni dei suoi familiari vi fossero alcune incongruenze, visto che erano stati sentiti a una certa distanza di tempo dall’omicidio. Ma la difesa ha lamentato anche il fatto che una prova potenzialmente molto importante fosse stata trascurata: i giudici, infatti, non avevano disposto una perizia sulla cartuccia inesplosa trovata vicino al cadavere del giovane Danilo. E lì, a loro giudizio, si sarebbero potute trovare le tracce del vero killer. Nel suo ricorso, inoltre, la difesa di Gungui ritiene troppo dura la condanna e che fosse giusto, invece, partire da una pena base più bassa e di riconoscere le attenuanti generiche. I giudici della Cassazione, dopo aver richiamato e accolto in pieno gli elementi forniti nella memoria presentata dagli avvocati delle parti civili, Francesco Lai e Sebastian Cocco, spiegano per quali ragioni abbiano deciso di rigettare il ricorso della difesa. Per la Suprema corte, infatti, tutti gli elementi raccolti a processo convergono in modo univoco verso la ricostruzione dei fatti accolta anche in secondo grado: Sella e Gungui si erano accordati per vedersi il mattino dopo per eliminare un cane randagio che stava infastidendo le pecore. «La ricostruzione degli avvenimenti si è attenuta strettamente a risultanze oggettive e le deduzioni tratte dalle condotte non mostrano crepe di ordine logico» dice la Cassazione. I giudici, poi, affrontano anche la questione dell’entità della pena data a Gungui. «La misura della pena rientra nella discrezionalità del giudice» vi è scritto. E gli stessi giudici condividono anche la scelta dei loro colleghi di secondo grado di non riconoscere a Gungui le attenuanti generiche. «La Corte territoriale ha richiamato, quali basi per la scelta dosimetrica della sanzione, la condotta violenta, il comportamento processuale negativo e la carenza di qualsiasi spiegazione» viene infine aggiunto dai giudici della Cassazione.

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