giovedì 25 giugno 2020

L'OMICIDIO DI CATERINA PIRAS A CAGLIARI (11/07/1982)

Di Redazione.

La moglie non c'è quasi più con la testa. Da diverso tempo soffre di disturbi sempre più gravi e i litigi in casa sono inevitabili. Una patologia di tipo psichico che peggiora di giorno in giorno la spinge verso continue e violente litigate familiari, in un'occasione Caterina Piras arriva perfino a minacciare con la pistola Gesuino Sirigu, l'uomo sette anni più grande che ha sposato nel 1958 e col quale ha vissuto per lungo tempo a Las Plassas prima di trasferirsi con tutta la famiglia a Cagliari, negli anni Settanta.
Insieme convengono che così non si può più andare avanti e mettono fine al matrimonio con una separazione legale. Ma ricominciare una nuova vita costa caro e se la famiglia si sdoppia, lo stipendio da metronotte non basta più. Anche perché l'unico figlio, venticinque anni, ha ancora bisogno di loro. E allora optano per una decisione che in quel momento sperimentano molte altre coppie in crisi: separati sì, ma sotto lo stesso tetto.
Com'è facilmente prevedibile la situazione precipita: la coabitazione forzata non fa altro che accentuare le difficoltà di convivenza. E siccome i guai non arrivano mai soli si fanno all'improvviso difficili anche i rapporti fra la madre e il figlio: i litigi sono continui, con lanci di oggetti e minacce che il ragazzo subisce senza reagire. Fino a quando il giovane trova lavoro,lascia la casa e si trasferisce in Toscana, a Grosseto. Ma lì la sfortuna ancora si accanisce: a causa di un incidente il giovane resta tra la vita e la morte per diverso tempo. Madre e padre non possono permettersi un viaggio in Continente ma fanno uno sforzo economico e accorrono al capezzale del ragazzo. Per la donna si consuma l'ennesimo dispiacere: il figlio mostra di preferire la compagnia del padre, tutto questo va ad acuire gli ormai insanabili contrasti fra i due ex coniugi.
Caterina torna a Cagliari col marito. Gesuino è stanco, pure depresso, ma deve riprendere il lavoro all'Istituto Vigilanza Notturna. È un uomo tranquillo, i colleghi lo descrivono come un lavoratore serio ed onesto, la situazione familiare lo sta fiaccando visibilmente. Solitamente quando la moglie diventa aggressiva esce di casa e torna quando si è calmata, di solito funziona.
La sera di quel giorno Gesuino Sirigu, cinquantuno anni, originario di Barumini, come il resto degli italiani è in poltrona davanti alla tv, nella casa al terzo piano di Via Nuoro 34. È solo e può godersi in pace la finale dei mondiali di calcio tra l'Italia di Bearzot e la Germania di Rummenigge.
Assiste deluso al mancato gol di Cabrini su rigore dopo aver assaporato l'idea di una situazione favorevole agli azzurri, invece c'è da soffrire ancora. Non molto in verità: segna Rossi, raddoppia Tardelli e poi ci pensa Altobelli, la rete del tedesco Breitner quasi passa inosservata. Il telecronista Rai Martellini ripete per tre volte: campioni del mondo.
La partita è finita da pochi minuti, la tv celebra l'Italia mentre le strade delle città si affollano di tifosi festanti. Gesuino Sirigu si gode lo spettacolo nel soggiorno quando, alle ventitré, torna a casa la ex moglie.
Caterina, casalinga, quarantaquattro anni, sbatte forte la porta d'ingresso, Gesuino è convinto lo faccia apposta, per provocarlo. Vuole disturbarlo e non si ferma lì: apre il frigorifero e poi sbatte forte anche quello sportello, quindi chiude rumorosamente un'altra delle porte interne all'appartamento. Gesuino lascia il televisore acceso, si alza dalla poltrona, va in anticamera e chiede spiegazioni alla ex moglie. Caterina per tutta risposta lo insulta e subito dopo fa di più: apre la porta d'ingresso e simula un'aggressione per attirare l'attenzione dei vicini. Il marito si allontana, punta deciso verso la sua camera da letto, prende la pistola d'ordinanza, una Beretta calibro sette e sessantacinque, la mette nella tasca dei pantaloni e torna in anticamera: come lo vede Caterina prende un piatto dalla parete alla quale è appeso e fa il gesto di gettarglielo contro. A quel punto Gesuino finisce per perdere la testa: afferra la pistola, la punta contro la ex moglie e svuota l'intero caricatore. Sette colpi. Per Caterina Piras non c'è speranza. Gesuino Sirigu si rende conto immediatamente di quello che ha fatto, medita il suicidio ma poi ci ripensa: il figlio ha bisogno di lui. Allora esce di casa e si presenta dallo zio del quale è pure collega di lavoro. I due sono rimasti insieme fino alle sette di sera, poi ognuno è andato a casa sua a vedere la partita. Lo zio non si aspetta a quell'ora della notte di trovarsi di fronte il nipote che senza troppi preamboli gli dice: ho ucciso mia moglie, abbiamo litigato e ho sparato. Lo zio dà uno sguardo alla moglie che ha ascoltato in silenzio il racconto e non perde tempo: telefona al 112 e segnala l'omicidio. Gli agenti della questura volano in via Nuoro, la casa è vuota, il cadavere della donna è nell'anticamera. Il marito nel frattempo ha raggiunto la questura in Via Amat: ho ucciso mia moglie, questa è la pistola.
Si capisce subito che l'uomo è in grandi difficoltà, il perito parla di depressione, i problemi psichici sono dovuti alla difficile situazione familiare ma la sua capacità di intendere e volere non è scemata.
Comunque il suo gesto è legato a una situazione specifica, insomma il metronotte non è socialmente pericoloso. Finisce in carcere, affronta il processo senza negare le sue responsabilità, tenta di difendersi come può, tira fuori la legittima difesa. Ma la Corte d'assise è di altro avviso: il gesto della moglie che minaccia di lanciargli il piatto non può averlo portato a replicare con la pistola. No, Gesuino ha deciso quando è andato in camera da letto a prendere l'arma, non ne poteva più dei rumori che lo hanno distolto dalla tv. La sua è stata una reazione esplosiva ma impiantata su una sindrome depressiva che lo porta a impugnare il revolver, mirare alla moglie, premere il grilletto.
Però subito dopo si è pentito: si è costituito, ha consegnato la Beretta, ha confessato il delitto per filo e per segno. I giudici valutano pure la situazione, le frustanti, logoranti e protratte condizioni di vita familiare. Alla fine ottiene un maxi sconto: Gesuino Sirigu viene condannato a dodici anni di reclusione.



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