Di Redazione.
Il giocatore del Brescia Vittorio Mero (NELLA FOTO IN ALTO) è morto nella giornata odierna in un incidente stradale con la sua auto che è finita contro un furgone urtato da un Tir in sorpasso Il fatto è avvenuto alle tredici e cinquantacinque. L' auto guidata da Mero è andata a incastrarsi sotto il cassone di un autocarro che era stato urtato da un Tir: i due mezzi sono rimasti agganciati e sono finiti sulla corsia d' emergenza. Il Tir che aveva provocato l'incidente non si è fermato, ma è stato bloccato in seguito e l'autista (un quarantenne di Como) è stato arrestato per omissione di soccorso. Morire a ventisette anni (era nato il 21 maggio 1974 a Vercelli) in autostrada, dentro una Polo, perché un Tir probabilmente in sorpasso ti sbatte addosso un furgone, mentre tu vai per la tua strada e pensi a tua moglie e tuo figlio di diciotto mesi che t' aspettano a casa. E' successo ieri pomeriggio a Mero, ventisette anni, piemontese di Vercelli da quattro stagioni al Brescia (a parte sei mesi nella Ternana nella seconda parte della stagione scorsa). Gli è successo perché il destino è beffardo, e lui, squalificato in Coppa Italia, mentre la squadra era in ritiro a Parma come da programma, per la partita d'andata della semifinale, era ad allenarsi a Erbusco. Lui ed Emanuele Filippini squalificati, l' austriaco Schopp ed il polacco Kosminski infortunati si sono allenati come sempre al mattino, in Franciacorta, agli ordini di Enrico Nicolini. Un' ora e mezza di lavoro, anche a ritmi intensi, poi a fine seduta il solito pranzo tutti insieme al Touring di Coccaglio, il quartier generale di ogni ritiro, ed a seguire tutti liberi. Nicolini, che aveva più fretta degli altri, è subito partito per Parma: doveva andare in panchina, con Mazzone. I giocatori sono tornati a casa, con le famiglie, per seguire la partita in televisione. Mero come sempre ha imboccato l' autostrada al vicino casello di Rovato, in direzione Brescia, per scavalcare la città e raggiungere la sua abitazione di Nave, dove l'aspettavano la moglie Monica Porzio ed il figlio Alessandro, di diciotto mesi. Meglio l'autostrada del caos delle tangenziali, meglio qualche chilometro in più che gli ingorghi della città. Vittorio Mero non poteva immaginare cosa gli sarebbe successo pochi chilometri dopo, tra Castegnato e Cazzago San Martino, due paesotti dell' hinterland bresciano, al chilometro ottanta e cento metri, come recita il verbale della polizia stradale di Seriate. Non poteva immaginare, Vittorio Mero, che alle tredici e cinquantacinque la Polo Volkswagen di sua moglie sarebbe diventata una trappola mortale. L'esatta dinamica dell' incidente è ancora in via di ricostruzione, ma secondo il verbale reso noto dalle forze dell'ordine un autoarticolato che viaggiava in prima corsia deviava la sua direzione di marcia sulla seconda corsia, entrando in collisione con un autocarro che di conseguenza finiva nella terza corsia, dove viaggiava Mero con la sua Polo. L' auto del giocatore del Brescia tamponava la parte posteriore sinistra dell' autocarro e restava incastrata sotto il cassone del veicolo commerciale. I due mezzi andavano in testacoda e restando agganciati andavano a fermarsi sulla corsia d'emergenza, contromano, dopo aver attraversato tutta la sede stradale. Per puro miracolo nell' incidente non sono stati coinvolti altri mezzi. Subito l'autista dell'autocarro, un mantovano di quarantanove anni che stava tornando a casa con il mezzo vuoto dopo aver fatto una consegna a Milano, scendeva dal suo mezzo per prestare soccorso a Vittorio Mero, ma non poteva che registrarne l' avvenuto decesso. La salma di Mero veniva composta nella camera mortuaria del cimitero di Rovato, mentre la polizia stradale faceva scattare le ricerche dell' autoarticolato, che aveva proseguito la sua marcia senza fermarsi. Il Tir poco dopo veniva rintracciato nei pressi della vicina uscita di Brescia centro dell' A4. Per ordine del sostituto procuratore il conducente del Tir, un uomo nato nel 1962, della provincia di Como, veniva immediatamente arrestato per omissione di soccorso e trasportato nella sede della polizia stradale di Seriate, dov'è stato trattenuto e interrogato fino a ieri sera a tarda ora. Poi l' arresto è stato convalidato.
Per compagni di squadra e tifosi era lo Sceriffo. Un soprannome che Mero portava con orgoglio, quasi avesse davvero la stella d'oro sul petto e le pistole nel cinturone. A battezzarlo così, due campionati fa, fu Nedo Sonetti, colpito dalla maturità di un difensore tanto grintoso in campo quanto pacato e riflessivo fuori. Mero aveva sempre dimostrato più anni di quelli che aveva: mai banale, amava ascoltare e capire, leggeva e chiedeva, difendeva le proprie idee con forza, pronto però ad accogliere le ragioni degli altri. Per i giovani del Brescia era un fratello maggiore, il consigliere confessore durante i ritiri, l' amico più esperto cui chiedere consiglio prima di una partita importante o dopo una bocciatura. Anche per questo la scorsa estate Carletto Mazzone l'aveva scelto come chioccia dei Menichini boys, i ragazzini promossi in prima squadra per affrontare i turni eliminatori dell'Intertoto. Mero era l' unico titolare fra tanti giovanissimi e, come la stella di Sceriffo, portava con orgoglio sui campi dell' Europa minore la fascia di capitano di solito sul braccio di Baggio. Capitano a Budapest e a Blsany, nella finale di Parigi Mero tornò ordinatamente al suo posto: in panchina. Negli ultimi ventisei minuti, però, si tolse lo sfizio di giocare al Parco dei Principi. I primi passi li fece nel Casale, trentatré presenze in C2, cinquantasette in C1, centoventi in serie B ed il grande salto con il Brescia. Belvedere e Ravenna le tappe intermedie di una carriera cadenzata da tre promozioni conquistate sul campo: dalla C2 alla C1 nel 1993, dalla C1 alla B nel 1995, dalla B alla A nel 1999. Grandi club? Mero ne aveva annusato l' aria solo nella stagione 1992-1993, a Parma: settore giovanile, niente prima squadra. Al "Tardini" avrebbe probabilmente giocato, se una squalifica non gli avesse imposto l'appuntamento con il destino. In panchina Mero si era ritrovato spesso, al Brescia. L' anno scorso, per avere più spazio, aveva accettato di declassarsi, a Terni. Poi il ritorno a casa, a costo di rinunciare alle vacanze per giocare l'Intertoto ed essere riammesso in rosa. Sperava di conquistare una maglia da titolare, ma, chiuso da Calori, Petruzzi e Bonera, Mero aveva saputo diventare un prezioso dodicesimo uomo, l'arma tattica a disposizione di Mazzone. Due domeniche fa giocò un minuto a San Siro, dove ieri le stelle di Milan e Juve e migliaia di spettatori gli hanno dedicato un intenso minuto di silenzio. Si sarebbe commosso, lo Sceriffo. Come quella volta che segnò un gol a Marassi e lo dedicò al figlio Alessandro: "Gliel' ho promesso da cinque mesi finalmente sono stato di parola".
Salvatore Mero, padre di Vittorio, ha appreso la notizia della morte del figlio dalla televisione, perché si era sintonizzato sul canale che trasmetteva la gara di Parma. Un colpo durissimo, che gli ha anche causato un malore per cui i familiari hanno fatto intervenire un' autoambulanza del 118. La famiglia Mero, originaria del Sud, si è trapiantata ormai da molto tempo a Vercelli. Salvatore è parrucchiere per uomo, la moglie Maria è casalinga. La coppia ha anche una figlia, Maria Antonietta, parrucchiera. L' uomo ha il negozio proprio di fronte allo stadio Piola, dove gioca la Pro Vercelli, nella quale, però, Vittorio non ha mai militato. Difficile parlare, ma chi lo conosceva bene non si sottrae a un ricordo dolce e sincero. "Era un ragazzo d' oro, valido sotto il profilo umano e un ottimo professionista: non giocare questa partita è stata la cosa più giusta da fare": Mauro Sandreani ha allenato Mero a Ravenna, nel 1997-1998. Fabrizio Viani, il primissimo tecnico di Vittorio, dà voce al proprio dolore: "Sono sconvolto, era un ragazzo non solo con talento calcistico, ma anche di grandi doti umane. Sapeva farsi amare, era semplice". Eugenio Corini, faro del Chievo Verona, racconta: "Una volta avevamo litigato in campo, in Chievo Verona-Ternana, e poi d' estate ci siamo ritrovati a riderci su. Questo ti fa capire come certe volte si possa litigare per cose assurde: ha lasciato moglie ed un bambino, il mio pensiero va a loro". E mentre Roberto Ripa (Ternana) lo ricorda come un amico vero, il vicentino Stefan Schwoch, ex compagno di Vittorio a Ravenna, aggiunge "Ci sentivamo spesso, quest'anno siamo stati in vacanza assieme. Era un ragazzo solare, si faceva voler bene da tutti". Il suo procuratore, Vanni Puzzolo, non riesce a crederci: "Quella che ha preso è stata una squalifica stupida, gli è costata la vita. Lui quella decisione non l'ha mai capita. Era un ragazzo vitale, sensibile, grande professionista". Francesco Dell' Anno, fantasista della Ternana, ha giocato con Mero a Terni e Ravenna: "Lo voglio ricordare come un ragazzo sempre allegro e disponibile". Raggiunto nell' intervallo di Milan-Juve, Antonio Conte racconta che "nel pomeriggio volevamo vedere la partita di Parma, ma abbiamo capito subito che era successo qualcosa: una tragedia che ci ha distrutti, tutti". A Crevalcore e Ravenna, Mero giocò con Lamberto Zauli: "Voglio solo abbracciare il suo bambino". Beppe Iachini, consigliere tecnico del Venezia ed ex compagno di Mero a Ravenna, lo tratteggia: "Ambizioso, generoso e dotato di grande entusiasmo: lo ricorderò così".
Il 24 l'allenatore del Brescia Carlo Mazzone radunò la squadra nel campo la squadra in cerchio e disse "Noi abbiamo un premio salvezza a fine stagione, noi non ci arricchiamo con questo premio se ci salviamo ma ci arricchiamo se raggiungiamo l'obiettivo e questi soldi li doneremo al figlio di Vittorio Mero". Il 25 si tennero i funerali di Mero al Duomo di Brescia poi la sepoltura a Ravenna. "Grazie zio Vittorio, sei il migliore di tutti" disse al termine delia cerimonia la nipote Jessica. La chiesa stentò a contenere tutta la folla che ieri si è radunò per l'ultimo saluto. Ai funerali, celebrati dall'assistente spirituale del Brescia, Don Claudio Paganini, la bara fu portata a spalla all'interno della cattedrale dagli amici e compagni di squadra Schopp. Calori, Castellazzi e Srnìicek. Don Claudio, che aveva accanto a sé padre Alvaro (atalantino doc conosciuto al pubblico televisivo) ha ricordato, commosso, la figura di Vittorio. A luì sì sono uniti l'amico fraterno Emanuele Filippini e la nipote Jessica: "Zio meraviglioso, resterai sempre con noi".
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