Di Redazione.
Dice Massimo Gramellini "Due anni fa il professor Luciano Canfora, illustre collaboratore del nostro giornale, definì Giorgia Meloni «neonazista nell’anima» davanti agli studenti di un liceo di Bari. Non condivido il giudizio del professore, ma questo non mi impedisce di pensare che Meloni abbia commesso due errori: uno nel querelare Canfora e l’altro, ancora più grave, nel non aver ritirato la querela dopo essere diventata presidente del Consiglio. Invece il 16 aprile comincerà il processo e non vorrei essere nei panni del giudice che sul banco dell’accusa troverà la premier del suo Paese. Da sempre i politici hanno la querela facile: nascondono l’insofferenza sotto la maschera del vittimismo. E quando ricoprono un incarico istituzionale tendono a comportarsi come se non l’avessero: pensano che così sembreranno più simpatici e alla mano. Io invece li preferirei compresi nel ruolo, con tutti i privilegi e gli impedimenti che ne derivano. Tra quest’ultimi rientra l’inopportunità di portare in tribunale un privato cittadino, soprattutto per un presunto reato di opinione. «Io sono Giorgia» non è più Giorgia: non fino a quando sarà la presidente del Consiglio. E da una presidente del Consiglio ci si aspetta che rinunci a trascinarsi dietro le vecchie querele, così come a farne di nuove. Non certo per magnanimità, e non solo per intelligenza politica, ma per senso dello Stato. P.S. Il Caffè augura a tutti una buona Pasqua senza querele".
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