venerdì 19 aprile 2024

"INDRO SU QUELL'SS NON LA CONTI GIUSTA..." (14/05/1999)

Di Redazione.

"Dottor Montanelli, mentre lei testimoniava i familiari delle vittime rumoreggiavano...". "Rumoreggino pure, me ne fotto dei loro rumori. Io le bugie non le dico". Finisce così, con il più famoso giornalista d' Italia che dà prova del suo leggendario caratteraccio, l' udienza di questo pomeriggio del Tribunale militare di Torino, in trasferta a Milano. Il tribunale sta processando in contumacia Theo Saevecke, capo delle Ss a Milano durante la guerra, imputato per il massacro di piazzale Loreto del 10 agosto 1944, quando - dopo un' azione di guerra dei partigiani dei Gap - quindici antifascisti vennero prelevati dal carcere di San Vittore e uccisi per rappresaglia. Proprio per ricordare quel massacro, un anno dopo i partigiani appesero Mussolini e i gerarchi nella stessa piazza. Montanelli nell' estate del 1944 era prigioniero a San Vittore, e suo compagno di cella era l' antifascista Vittorio Gasperini, che divenne uno dei quindici morti di piazzale Loreto. Eppure in questo processo a citare come testimone il grande inviato speciale è stata la difesa del nazista Saevecke, tesa a dimostrare che la responsabilità di quel macello fu tutta e soltanto dei fascisti italiani. Il vecchio giornalista non si è tirato indietro, e ha fatto fino in fondo la sua parte di testimone a difesa. A costo di sollevare il rumoroso dissenso dei familiari delle vittime presenti in aula: come quando ha dipinto Saevecke come un soldato-gentiluomo, "in carcere mi autorizzò a indossare la mia giubba da ufficiale, facendomi avere persino il chiodo cui appenderla", o quando ha descritto con una punta di ammirazione l' efficienza tedesca, "San Vittore non era mai stato così ordinato". Ma è soprattutto sul punto cruciale di chi avesse deciso la rappresaglia che la versione di Montanelli ha offerto materiale in abbondanza alla difesa del nazista: "A San Vittore era noto che la rappresaglia era stata attuata dai repubblichini. E lo confermano le modalità con cui avvenne: i tedeschi erano soliti agire spietatamente ma secondo i regolamenti, invece quella di piazzale Loreto fu un' operazione sciabattona, i fascisti fecero scendere i detenuti dai camion e li fecero cominciare a correre, poi gli spararono alle spalle". Ma è possibile che quindici detenuti venissero prelevati da San Vittore, dove Theo Saevecke era - secondo la definizione di Montanelli - "una specie di deità" senza il consenso dell' ufficiale delle Ss? Sì, spiega Montanelli, perché in carcere i detenuti si dividevano in quelli "ostaggio" dei repubblichini e quelli nelle mani dei tedeschi, e ognuno disponeva dei suoi liberamente. "Balle - commenta brusco Sergio Fogagnolo, figlio di uno dei fucilati - Montanelli mente sapendo di mentire". Persino sul metodo di condurre gli interrogatori degli arrestati, Montanelli ha voluto distinguere: "Gli interrogatori dei tedeschi erano lunghi, snervanti, ma né io né altri subimmo delle brutalità". Senza sapere che appena prima di lui aveva testimoniato Marcello Turrina, un partigiano arrestato dai tedeschi insieme a Edgardo Sogno, che aveva raccontato del feroce interrogatorio concluso con l' evirazione di Sogno ("Eddy lanciava delle urla disperate, quando gli riparlai la sua voce non era più quella di prima"). E quando a sorpresa il pm mostra a Montanelli una sua vecchia lettera in cui il giornalista racconta "con una carezza particolarmente delicata i tedeschi mi ruppero una costola e mi lesionarono il fegato", Montanelli spiega che la lettera (benché risalga al 1945, pochi mesi dopo i fatti) è piena di ricordi sbagliati: "A venire picchiato non ero stato io, ma Gasperini. E a picchiare non erano stati i tedeschi ma i repubblichini", dice. Montanelli e Saevecke non si sono mai incontrati. Ma, e anche di questo si è parlato quest'oggi in aula, tra il giornalista (classe 1909) e l' ex ufficiale (classe 1911) esiste un rapporto epistolare di grande cordialità: perché fu proprio Saevecke, pochi giorni dopo il massacro di piazzale Loreto, a permettere la "evasione" di Montanelli da San Vittore, organizzata dalla spia dell' Ovra Ugo Osteria. Finora, il giornalista aveva attribuito i maggiori meriti della sua salvezza al cardinale Schuster, arcivescovo di Milano. Sul motivo per cui un capitano delle Ss avrebbe dato invece il via libera al suo espatrio in Svizzera, Montanelli replica secco: "Andatelo a chiedere a tutti gli altri per cui Saevecke ha fatto la stessa cosa".

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