martedì 21 maggio 2024

FESTIVAL DI CANNES (21/05/2024)

Di Redazione.


La bellezza grande e crudele di una Napoli tra sacro e profano, il sentimento struggente del tempo che passa, una donna alla ricerca della libertà e la sua solitudine. “Cosa rappresenta per me Parthenope (NELLA FOTO IN ALTO LA LOCANDINA DEL FILM)? Come ogni ultimo film che faccio, per me è tutto”, racconta Paolo Sorrentino, che al Festival di Cannes disvela il suo Parthenope, unico film italiano in concorso. Una carrozza antica e preziosa, una bimba partorita nel mare e che dal mare vediamo risorgere in bikini, in tutta l’abbagliante bellezza dei vent’anni. È lei, Parthenope, la protagonista di questa storia, la vita che scorre parallela agli snodi centrali della storia recente di Napoli, che prima di essere splendore e miseria era una colonia romana chiamata Partenope: gli anni Cinquanta, il colera, le contestazioni del Sessantotto, il terremoto, lo scudetto.

Parthenope è legata da un rapporto di amore al limite del proibito con il fratello Raimondo (Daniele Rienzo) e la dolcezza del primo amore verso il loro comune amico (Dario Aita). In una notte a Capri, l’incontro con lo scrittore gay americano John Cheever, interpretato da Gary Oldman - l’aprirsi alla passione e una tragedia che segna in modo indelebile la vita di tutti: “Era già tutto previsto”, ruggisce malinconico Riccardo Cocciante. La vita prosegue, ma lo sguardo si è spento. La famiglia si disgrega, l’amore è già ricordo, i nuovi incontri lasciano il segno ma non regalano un sorriso. La sua bellezza da sirena viene notata, e si apre per Parthenope la deviazione del cinema, c’è l’agente di cinema Flora Malva, Isabella Ferrari, che la riceve per darle consiglio, il volto sempre coperto (“che sollievo non dovermi confrontare con lo specchio, il trucco, le rughe”), e Greta Cool (una quasi irriconoscibile Luisa Ranieri) attrice in declino che esteticamente ricorda Sophia Loren (ma Sorrentino nega ogni accostamento). “Il suo ritorno a Napoli, per una statua in cui non si riconosce, fa uscire tutto il dolore e il risentimento”, dice Ranieri. E poi il vescovo, Peppe Lanzetta, che officia il miracolo di San Gennaro in un Duomo affollato. Il sangue non si scioglie in quel momento, ma solo quando Parthenope coperta solo di paramenti sacri e croci, sedurrà e sarà sedotta dal prelato, in un amplesso “miracoloso”. E’ una delle scene più forti del film, insieme alla scena in cui due famiglie della Camorra si uniscono attraverso l’unione fisica a cui sono costretti due ragazzi. Si iscrive all’università, la facoltà di Antropologia, soprattutto per capire di cosa tratta, cerca nella vita di avere, sempre, la battuta pronta. Lì conosce il professore Silvio Orlando, rude e misantropo, un figlio che ha una misteriosa malattia, che diventa il suo punto di riferimento.

Parthenope ha il volto pulito e il corpo conturbante della debuttante Celeste Dalla Porta: “La chiave che mi ha dato Paolo in questo viaggio? È stata quella, in ogni scena, di cercare la libertà. E così Parthenope fa scelte che la portano a sbagliare, riflettere, restare sola”, racconta l’attrice. Ne accompagnano la sfolgorante giovinezza e l’idea – lontana dalla verità, come lo sono i giovani - di un orizzonte in cui tutto è possibile: “Questo non è un film sul rimpianto, la malinconia, la nostalgia, ma sul passaggio dell’età – racconta Sorrentino – da giovani una delle caratteristiche dovrebbe definire la giovinezza, anche se non tutti hanno la fortuna di averlo, è il fatto che la verità non fa parte dei giovani, la caratteristica è l’insincerità. Si è spensierati, ci si abbandona, si ha a che fare con il sogno e il desiderio, si fa un racconto epico di sé, ci si guarda allo specchio e si balla, ci si immagina di esser qualcosa. Ma questo racconto si interrompe quando si passa dalla vita estetica ad etica, si diventa responsabili, s’interrompe il racconto epico di sé. Diventi quel che sei, spesso non ti piaci, fai decine di tentativi di uscire da te stesso e non ci riesci. E poi diventi come Stefania (Sandrelli, che incarna Parthenope nell’età adulta ndr), accetti quel che sei, con la possibilità di stupirti ancora una volta”. E se in È stata la mano di Dio, aggiunge il regista “Napoli era solo sullo sfondo, raccontata nei luoghi della mia infanzia”, qui la città è protagonista, in Parthenope la si definisce “triste, frivola, determinata, sola e viva come Napoli”. Ma “questa” fa notare Sorrentino “non è una lettera d’amore a Napoli, non sono capace di scriverle. È un film che nasce col desiderio di misurarsi con due misteri, la donna e Napoli che nel film fino a un certo punto si sovrappongono. Ho rinunciato subito alla missione di raccontare una donna, non penso che fosse il compito di un uomo. Ma ho pensato che fosse interessante mettere in sintonia il mio lato femminile con quello di un personaggio femminile. Quando parlo delle angosce e dolori relativi al tempo gli uomini mettono in moto il proverbiale infantilismo, fingendo che non li riguardi; invece, con le donne sento una corrispondenza, che parliamo lo stesso linguaggio”.

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