martedì 21 maggio 2024

IL NAUFRAGIO DEL SOTTOMARINO KURSK NEL MARE DI BARENTS (12/08/2000)

Di Redazione.


In questo giorno il sottomarino nucleare era impegnato nel Mare di Barents in un'esercitazione militare navale nella quale avrebbe dovuto lanciare dei siluri da esercitazione (senza carica esplosiva) contro l'incrociatore nucleare, classe Kirov, Pjotr Velikij (in russo Пётр Великий?, Pietro il Grande). Alle undici e ventotto locali (le sette e ventotto orario Utc) furono lanciati dei siluri di prova, ma subito dopo vi fu un'esplosione, presumibilmente di uno dei siluri del Kursk, all'interno o nei pressi del sottomarino. L'esplosione aveva una potenza compresa tra i cento ed i duecento cinquanta chilogrammi di Tnt; in conseguenza delle lesioni allo scafo dovute alla esplosione il sottomarino si adagiò sul fondo a cento otto metri di profondità, a circa cento trentacinque chilometri da Severomorsk 69°40′N 37°35′E. Una seconda esplosione avvenne all'interno dello scafo cento trentacinque secondi dopo la prima, con una potenza esplosiva compresa tra le tre e le sette tonnellate di Tnt. L'esplosione sollevò e poi fece ricadere sul sottomarino molti detriti. Dopo vari tentativi di salvataggio, tutti falliti, da parte dei russi, una nave speciale norvegese equipaggiata con un batiscafo inglese si agganciò con successo al sottomarino affondato, trovandolo tuttavia completamente allagato e senza alcun superstite.

L'incidente si rivelò fatale per la maggior parte dell'equipaggio, e solo ventitré delle cento diciotto persone non perirono immediatamente. Essi si spostarono nel compartimento nove, attendendo i soccorsi ma perirono prima che i soccorsi arrivassero. La tragica situazione dei sopravvissuti venne alla luce grazie al ritrovamento di alcuni appunti scritti da Dmitrij Kolesnikov, uno dei superstiti, durante la vana attesa dei soccorsi. In uno di essi si legge: «Ore tredici e quindici. Tutto il personale dai compartimenti sei, sette e otto è stato spostato nel nono. Qui siamo in ventitré. Abbiamo preso questa decisione in seguito all'incidente. Nessuno di noi può uscire». In un messaggio successivo, Kolesnikov scrisse: «Ore quindici e quindici. Qui è troppo buio per scrivere, ma ci proverò a tentoni. A quanto pare non ci sono possibilità di salvarsi. Forse solo dal dieci al venti per cento. Speriamo che almeno qualcuno leggerà queste parole. Qui ci sono gli elenchi degli effettivi che adesso si trovano nella nona sezione e tenteranno di uscire. Saluto tutti, non dovete disperarvi». Dopo quarantotto ore la notizia divenne ufficiale, ed il 16 agosto il capo di stato maggiore della Flotta Russa Mikhail Motsak annunciò la presenza di sopravvissuti, affermando che avrebbero avuto scorte di ossigeno per alcuni giorni. Si susseguirono alcuni tentativi di salvataggio russi: inizialmente venne usata una capsula di salvataggio Pritz e successivamente una capsula Bester più grande, ma i tentativi, quattro in tutto, fallirono a causa dello stato di obsolescenza dei mezzi di soccorso e della inesperienza degli addetti alle operazioni, nonché delle condizioni meteorologiche avverse. Il giorno seguente Motsak ammise che la situazione era vicina alla catastrofe. Dopo il consenso da parte della Russia ad accettare aiuti, lo stesso giorno salparono dal porto di Trondheim i battelli norvegesi di salvataggio Normand Pioneer e Seaway Eagle con sommozzatori inglesi e norvegesi. Il loro tentativo consistette nell'utilizzo del minisommergibile britannico Lr5, giunto appositamente via aereo per unirsi alla spedizione di salvataggio. Il 19 la nave Normand Pioneer con il batiscafo Lr5 giunse sul luogo dell'incidente. I gruppi di soccorso riuscirono ad aprire il portellone posteriore, trovando i compartimenti interni allagati. Il 21, dopo varie analisi ed ispezioni, si concluse che non c'era alcun sopravvissuto e le operazioni di salvataggio furono interrotte. Il relitto è stato recuperato nel 2001. Nel 2009 la cabina del sommergibile è stata posizionata all'interno del Memoriale ai marinai morti in tempo di pace a Murmansk, per commemorare i sommergibilisti morti in tempo di pace.

Molti aspetti dell'incidente del Kursk e dei tentativi di salvataggio furono costellati di polemiche e controversie, con molte notizie contraddittorie. La commissione d'inchiesta fu guidata dal procuratore generale Vladimir Ustinov, e concluse il 29 giugno 2002 che le esplosioni furono causate da un siluro da esercitazione difettoso, che innescò reazioni a catena. Inoltre, i superstiti morirono a circa otto ore dall'incidente ed i soccorsi non sarebbero stati in grado di aiutarli. Sulla causa dell'incidente giunsero ad una conclusione simile a quella dei ricercatori inglesi, che imputarono la prima esplosione ad una fuoriuscita di perossido d'idrogeno, il propellente dei siluri, che sarebbe esploso innescando gli altri siluri. Inizialmente fu ipotizzato che il Kursk avesse avuto una collisione con un qualche vascello non russo, non identificato. Questa ipotesi fu avanzata da fonti russe, come dall'allora ministro della difesa Marshal Igor Sergeyev e dall'allora primo ministro Ilya Klebanov. Inoltre venne alla luce che quel giorno erano presenti due sottomarini statunitensi, che osservavano l'esercitazione: lo Uss Memphis e lo Uss Toledo, della classe Los Angeles. Gli Stati Uniti negarono immediatamente la collisione tra un loro sottomarino e il Kursk, anche se confermarono la presenza del Memphis e del Toledo.

Secondo un'altra teoria, illustrata da un documentario franco-canadese del 2004 intitolato Kursk: A submarine in Troubled Waters, ripreso in Italia dal programma La Storia siamo noi, diretto da Giovanni Minoli, il Memphis avrebbe dovuto osservare la situazione da lontano, mentre il Toledo avrebbe invece avuto ordini di pedinare il Kursk. Il Toledo avrebbe urtato il sottomarino russo, senza tuttavia causargli gravi danni. Il Toledo, danneggiato, avrebbe tentato di allontanarsi, aiutato dal Memphis. Rilevando che il Kursk stava attivando i sistemi d'arma, il Memphis avrebbe lanciato un siluro di tipo Mark 48, colpendo in pieno la sezione di prua del sottomarino russo, che conteneva i siluri. Ciò avrebbe creato una reazione a catena innescando le cariche dei siluri del Kursk. Sempre secondo questa tesi, gli Stati Uniti e la Federazione Russa si sarebbero successivamente accordate ed i primi, responsabili dell'incidente, avrebbero indennizzato la Russia cancellando un debito di 10 miliardi di dollari. I sostenitori di questa teoria indicano come prova le immagini del relitto del Kursk recuperato che mostrano un foro circolare rivolto verso l'interno, presente sulla fiancata e vicino al luogo dell'esplosione. In realtà i siluri standard come il Mark 48 sono progettati per esplodere in prossimità dello scafo, non essendo in grado di penetrarlo e quindi impossibilitati a fare "fori circolari". All'ipotesi del siluro, ufficiali statunitensi ribatterono affermando che le unità Usa erano distanti almeno cinque miglia. Inoltre il Toledo non sarebbe stato danneggiato ed uno scontro con un mezzo delle dimensioni del Kursk avrebbe creato pochi danni all'unità russa, ma quasi distrutto quella statunitense. Nella cultura di massa è stato girato nel 2018 il film Kursk, diretto da Thomas Vinterberg, che racconta la tragedia del sottomarino.

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