giovedì 13 giugno 2024

IL GIOVANE DI NUORO CONOSCE I SUOI RAPITORI MA PER TIMORE DI VENDETTA RIFIUTA DI PARLARE (07/09/1967)

Di Redazione.


Certamente il dottor Gianni Caocci (NELLA FOTO IN ALTO), ventiquattrenne, ha visto e sentito più di quanto sia disposto ad ammettere oggi, dopo i quindici giorni vissuti come ostaggio dei banditi. I racconti dei reduci dalla prigionia nei covi della Barbagia sì somigliano tutti. Invano giornalisti e polizia tentano dì scendere al dettaglio nella speranza di una risposta esauriente. Con parole cambiate ognuno descrive la sua avventura, non allontanandosi da uno schema fisso: "Ero incappucciato e non potevo vedere i luoghi e le persone. Quando mi toglievano la benda per mangiare si mascheravano loro, e cosi non li ho mai visti in faccia. Parlavano senza in flessioni dialettali: non so di quale paese possano essere. Sono stati gentili, mi tranquillizzavano, ho mangiato questo e quest'altro". Potrà capitare di avere dai rilasciati qualche spicciolo di colore, utile al cronista per un articolo che non sia insopportabilmente noioso. L'impianto del racconto rimane però sempre quello. Paura di rappresaglie? Innanzitutto. Chi ha patito l'avventura del sequestro è generalmente un proprietario con interessi nella zona. Deve muoversi in campagna, viaggiare a qualsiasi ora e non potrebbe farlo con tranquillità una volta che, parlando troppo, si esponesse alla ritorsione. Una denuncia, è vero, aiuterebbe la polizia a togliere di circolazione i responsabili del sequestro, e quindi ad escludere in astratto l'eventualità della rappresaglia. Ma chi può definire in Barbagia i reali contorni di una banda e affermare con sicurezza che, incarcerati quei dati uomini, tolto quel dato tumore, nessun complice materiale o ideatore del colpo sia rimasto libero e non c'è più da temere? I fuorilegge barbaricini, chiunque essi siano, e anche quando la loro tecnica evoluta faccia pensare al gangster di città più che al bandito di un tempo, hanno profondi legami con la società circostante, sono tenacemente intrecciati ad essa. Così il confine tra banda che sequestra e società dei pastori è labile: non esiste oggi in Barbagia una sola banda stabile rescissa dall'ambiente e organizzata a sé, eliminando la quale è assicurato il ritorno alla normalità. A fine luglio vennero spiccati tredici mandati di cattura (dodici dei quali eseguiti) contro uomini accusati di far parte della banda di Graziano Mesina. Pochi giorni dopo, quando i dodici uomini erano in carcere e si pensava di avere inferto un duro colpo alla malavita, è cominciata la drammatica sequenza di agosto, con quattro rapimenti. Il reduce dalla prigionia queste cose le sa e tace, anche a rischio di una incriminazione per favoreggiamento, come è stato nel caso del possidente di Fonni. Cualbu, e del commerciante di Nuoro. Capelli. In apparenza Gianni Caocci dovrebbe non avere preoccupazioni simili. Vive a Cagliari, è figlio di un noto oculista, ad Aritzo andava solo d'està- |te per qualche settimana di vacanza; ha una laurea; si prepara al concorso per l'Avvocatura dello Stato e la prospettiva è il vicino trasferimento in chissà quale città della penisola. Ma dietro lo studio di oculista del padre rimangono le grandi estensioni di terra, ad Aritzo e a Meana Sardo, rimane la rendita fondiaria, che è quella tenuta d'occhio dai banditi, ben più del reddito assicurato dall'esercizio della professione a Cagliari. I Caocci, dunque, non possono staccarsi da questa zona interna dell'isola, pur avendo casa e mestiere altrove, e l'ancoraggio alla proprietà terriera spiega le reticenze del giovane laureato. Ha detto dei banditi il Caocci: "Non ho alcun elemento per affermare che la banda che mi ha rapito non sia composta di uomini di umile estrazione. Ma se erano pastori, si tratta di pastori indiscutibilmente molto evoluti". La genericità dell'indicazione può discendere dal calcolo di non offrire appigli per il riconoscimento dei rapitori; ma obiettivamente anche da ciò che non è facile distinguere il pastore da chi non lo è. I banditi che hanno preso Caocci potevano essere pastori, ex pastori, giovani oziosi, giovani inquieti perché non trovano lavoro, ex emigrati non più pastori e non ancora operai; potevano essere disperati o semplicemente mossi dallo stimolo del guadagno facile: nulla o poco distingue l'uno dall'altro. Ciò che li accomuna è l'integrazione nello stesso ambiente, la società arretrata dei pastori nomadi che fa da sfondo e da elemento vitale a ogni impresa brigantesca. Sentiamo ancora Caocci: "Sono riuscito a intavolare con essi una conversazione sul banditismo. L'argomento mi aveva sempre appassionato. Negli anni dell'università, quando frequentavo i corsi di giurisprudenza, non mi bastavano le cronache dei giornali. Leggevo libri e brevi saggi, ho assistito a molte tavole rotonde ". Ecco perché mi interessava sentire il punto di vista dei banditi. Non sono stati loquaci come desideravo. Ricordo però questo: dicevano che la giustizia la tira per le lunghe, i processi ritardano e gli avvocati debbono essere pagati, e costano. Dicevano che non c'è lavoro: "Abbiamo necessità di quattrini, non è per male", dicevano. Per questo l'avventura di Gianni Caocci si distingue da episodi uguali: la sua è stata anche una esperienza intellettuale, costata certamente cara, una esperienza da trenta milioni. Ora però la vittima vuole capire gli aggressori. Dice "Debbo sforzarmi di mettere ordine nei miei pensieri e di giudicare la realtà per quella che è e non per quella che appare a chi la vede da lontano, nella città, come la vedevo anch'io prima d'oggi".

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