Di Redazione.
Strano destino quello di Comunardo Niccolai (NELLA FOTO IN ALTO), difensore tra i più forti nel periodo in cui le difese italiane erano un esempio per tutto il mondo, eppure passato alla storia come il re dell'autogol. E' morto quest'oggi a settantasette anni (essendo nato il 15 dicembre del 1946 ad Uzzano) all'ospedale San Jacopo di Pistoia dopo un malore mentre si sottoponeva ad un trattamento di dialisi. I reni lo hanno tradito dopo aver rischiato di farlo morire già all'età di cinque anni per una nefrite. Si salvò per miracolo portandosi però dietro per tutta la vita questa debolezza fisica. Per la verità ce n'era anche un'altra, un soffio al cuore che era stato diagnosticato dai medici del Bologna dopo le visite successive ad un provino con i felsinei, che era stato ottimo. Quel difetto ha cambiato la vita di Niccolai che anziché finire in Emilia Romagna andò in Sardegna grazie ad un osservatore che lo segnalò alla Torres nel 1961 con l'allora quindicenne che arrotondava lo stipendio facendo il magazziniere in un deposito di medicinali, oltre all'esperienza con la maglia rossoblù della squadra più antica della Sardegna (passando tra l'altro anche per quello che allora era la linfa del suo settore giovanile ovvero sia la società del Sassari dove fu inserito da Incerpi) che fu importante in quanto il tecnico Federico Allasio lo allenò per ore a colpire di testa. Una specialità che divenne uno dei punti di forza del ragazzo arrivato dalla provincia di Pistoia. Grazie a questo miglioramento venne chiamato anche a giocare nella Nazionale italiana juniores.
Nel 1964 la chiamata del Cagliari fu per Niccolai la svolta definitiva a livello di carriera calcistica. I primi anni nella De Martino (pari alle formazioni Primavera di oggi), poi il grande salto nello squadrone che andava via via creandosi attorno al bomber Gigi Riva che ha lasciato questa vita terrena cento sessantadue giorni prima di lui. Lui stopper, al suo fianco il libero Giuseppe detto Beppe Tomasini, a formare una coppia centrale ineguagliabile che non ha potuto essere riproposta in Nazionale solamente per i guai fisici che hanno attraversato entrambi. A Tomasini si deve anche il terzo nome affibbiato al giovanotto toscano, Nicco detto spesso sotto forma di urlaccio in campo per mantenere la posizione. E si perché il padre Luciano, ex portiere del Livorno nonché fervente comunista, lo aveva voluto chiamare Comunardo in onore della Comune di Parigi dove nel 1871 sventolò per la prima volta una bandiera rossa, mamma Neide avrebbe scelto per lui il nome di Silvano, con cui veniva chiamato dalla famiglia della parte di lei.
Ad ogni modo il difensore dai tre nomi si fece largo perentoriamente in squadra e nel cuore dei tifosi. Una vera barriera umana capace di mettere la museruola ad attaccanti fortissimi dell'epoca come Boninsegna, Altafini, Prati e Savoldi. La carriera al Cagliari lo ha visto scendere in campo duecento ottantotto volte dal 1964 al 1976 realizzando quattro reti. Furono di più gli autogol, complessivamente sei, peggio di lui in Serie A hanno fatto Franco Baresi e Riccardo Ferri entrambi ad otto. Manlio Scopigno, allora allenatore dei Campioni d'Italia della stagione 1969/1970, si divertiva parlando di lui. Quando giocò proprio nel 1970 nel Mondiale in Messico contro la Svezia la seconda delle tre gare in azzurro, il tecnico esclamò "Mai mi sarei aspettato di vedere Niccolai in mondovisione". E in tribuna, perché squalificato, quando il 15 marzo di quell'anno, lo stesso Niccolai infilò contro la Juventus a Torino la porta di Albertosi con un colpo di testa, lui si limitò a dire in maniera imperturbabile "Bel gol". A proposito della vittoria dello scudetto fu bella la testimonianza rilasciata a Luca Telese autore del libro "Cuori rossoblù" che raccontava l'epopea del Cagliari di quelli anni "Un giorno mio figlio Antonio mi ha detto una cosa che mi è sembrata la vera spiegazione: papà, voi avete vinto lo scudetto perché eravate cementati dall'amicizia". Un'amicizia che ricordo con affetto ed ovvia commozione il suo compagno Tomasini "Era una persona generosa, uno a cui volevi bene per forza. Ed in campo era un generoso, andava su tutti i palloni. Forse per questo ha fatto un po' di autogol. Di piede o di testa, comunque doveva toccarla. Così sono nata alcune deviazioni clamorose che hanno fatto andare fuori di testa Albertosi. Mi spiace tantissimo, ho perso un vero amico. Lo sentivo tutte le settimane, ma ultimamente negli ultimi quindici giorni, non mi rispondeva più al telefono. Allora ho capito che i suoi problemi di salute si erano aggravati".
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