martedì 13 dicembre 2011

L'OMBRA DELL'AIDS SUL CASO CARRETTA (08/12/1998)

Di Redazione.


Primavera del 1989, sede del Ctst, il Centro trattamento tossicodipendenze di Parma. In un piccolo ambulatorio, uno psicologo siede di fronte a un giovane alto, dai capelli rasati, e a una signora dall' aria fragile e timida. Il giovane si chiama Nicola Carretta (NELLA FOTO IN ALTO), eroinomane da anni. E' venuto con la madre, Marta Chezzi, a chiedere di potersi disintossicare. Per un po', parla dei suoi problemi con la "roba": "Voglio uscirne, i miei genitori mi aiuteranno". Ma poi, lo psicologo chiede come vadano le cose in famiglia. E allora, Nicola e la madre dicono quasi in coro: "A casa, c'è Ferdinando. Sempre, ogni giorno. Ha ventisette anni e da quando ha preso il diploma, a diciotto anni, non è più uscito. Non sappiamo che cosa abbia dentro". Il colloquio prosegue, e da quel momento si parla quasi soltanto di Ferdinando: è lui, più ancora del fratello drogato, il vero problema della famiglia. E Nicola piange, quando ne parla. Più tardi, finito un altro incontro con un secondo psicologo che si occupa di terapia familiare, sulla cartella clinica di Nicola resterà una frase che oggi appare come il sigillo della tragedia dei Carretta: "Il fratello Ferdinando ha un atteggiamento ricattatorio in famiglia". Tutto questo avveniva cinque mesi prima della scomparsa dei genitori e dei figli. Sono passati nove anni da allora, e proprio in queste ore Ferdinando Carretta verrà trasferito dal carcere di Parma all' ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Ha confessato - senza prove - di aver sterminato i suoi familiari. E dal passato, ora, giungono nuovi sprazzi di luce: confermando certi suoi racconti, dipingono anche uno scenario da tragedia greca: quella famiglia non era ignota a tutti, chiusa nel suo dramma come si è detto finora; al contrario, aveva chiesto aiuto da tempo, e proprio contro l' angoscia di quel primogenito muto e ombroso; non lo capivano, e lo temevano. Il figlio minore, Nicola, cercava di liberarsi dalla droga, ma era un uomo ancora lucido, e a sua volta si preoccupava di Ferdinando. Non solo: c' era un incubo nell' incubo, la paura dell' Aids che Nicola aveva nutrito dentro di sé da quando si era sottoposto all' esame della sieropositività . Aveva deciso di entrare in comunità e i genitori lo sostenevano in tutto, racconta un amico di allora, ma ogni cosa era resa più difficile dall' opposizione di Ferdinando che non sopportava tante attenzioni per un fratello drogato, e - nella sua mente - meno meritevole di lui. Proprio questa sarebbe stata l' esca di una delle ultime, violente discussioni in casa, nel luglio 1989. " come se l' idea della morte fosse già entrata in quella famiglia, con la paura dell' Aids", dice oggi uno degli inquirenti. Quattro mesi prima della scomparsa dei Carretta, in quella mattina nell' ambulatorio, la soluzione del problema sembra invece vicina. Il medico consiglia a Marta Chezzi di portare Ferdinando da uno psichiatra. E quando lei risponde che Ferdinando non accetterà mai, insiste: "Potete chiamare uno psichiatra a casa, basta rivolgersi al Cim, il Centro di igiene mentale". In un secondo incontro, consiglia anche una terapia per tutta la famiglia. Ma i Carretta non si fanno più vedere. Nicola sarà sottoposto a una terapia con l' Antaxone, si disintossicherà e ricadrà ancora. Di una sua sieropositività si parlerà poi nel 1995, in un articolo firmato sulla "Voce" di Montanelli da Antioco Lostia, oggi scomparso. "Si lo sapevamo in tanti - racconta P., fra i più stretti amici di Nicola nella primavera 1989 - nel nostro giro, tutti dicevano che lui era sieropositivo. Per anni si era bucato in auto con Tano e Marco, i due drogati "storici" di Parma poi morti di Aids. Aveva scambiato tante volte la siringa con loro. Alla fine di quell' inverno, poi, era tornato da un lungo viaggio in America e avevamo faticato a riconoscerlo: me lo rivedo alla stazione, così curvo e magro, lui che era un colosso...Subito si disse che aveva l' Aids. E lui era preoccupato, molto. Ma più ancora mi sembrò preoccupato per quel fratello". Nei due bar del giro, "La lucciola" e "Il faro", qualcuno disse anche che Nicola aveva parlato di una pistola, un' arma che il fratello si era procurato. "Io questo non lo ricordo - dice oggi un altro degli amici di allora, rimasto però sempre lontano dalla droga - ma ricordo bene che una settimana prima della scomparsa, Nicola rimase per un' ora e mezzo in auto con me, a parlare. Aveva il terrore di poter contagiare i genitori con l' Aids, mi chiese se c' era pericolo con i rasoi, le salviette, gli spazzolini da denti. Mi chiese informazioni su una comunità di don Picchi, mi disse anche che i suoi erano d' accordo per farlo andar lì , ma che l' unico problema era suo fratello: non ne aveva mai parlato, io non sapevo neppure che esistesse. Ci salutammo che era notte. Non l' ho mai più rivisto".

LE INDAGINI 

Potrebbero essere di sangue le macchie che appaiono su una coperta ritrovata nella discarica di Viarolo, dove sarebbero sepolti i corpi dei coniugi Carretta e del loro figlio minore. Così dicono i primi esami condotti al Cis, il Centro di investigazioni scientifiche dei carabinieri di Parma: ma una conferma o una smentita definitiva si potranno avere soltanto fra qualche giorno. Intanto Ferdinando Carretta, il primogenito che ha confessato il triplice omicidio, sta per essere trasferito - forse già nella giornata di domani - dal carcere parmigiano di via della Burla all' ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. Oggi, alcuni degli investigatori che si occupano del suo caso andranno invece a Londra: assisteranno alla perquisizione dell' appartamento e del garage presi in affitto dal giovane nella capitale britannica, e soprattutto ascolteranno il suo ex - datore di lavoro inglese. Quest' ultimo ha parlato di una moglie, o di una convivente, che avrebbe risposto al telefono nella casa di Carretta e sullo sfondo di alcune voci infantili: un altro mistero da risolvere, poiché Ferdinando ha sempre negato, durante gli interrogatori, di essersi formato una famiglia durante i suoi nove anni di vita londinese.

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