martedì 13 dicembre 2011

CAGLIARI:LA MISTERIOSA MORTE DI PETER HANS STEFERT IL BARBONE (17/11/1997)

Di Redazione.

Dall'incidente è uscito vivo però le gambe non funzionano più come prima: cammina anche senza stampelle a costo di dolori fortissimi, con quelle invece va dove vuole, per chilometri, pure con lo zaino in spalla. È un po' che vive in Italia Peter Hans Siefert, trentanove anni, e dopo quel brutto infortunio in Calabria nel settembre 1997 parte per la Sardegna. A Sassari incontra un suo connazionale, i due sono subito amici, nulla di più: Stefan Klaus Wurt, trent'anni, è omosessuale, Peter invece no. Vivono di elemosina, tra i due Peter è quello che raccoglie di più, in ginocchio con le stampelle, Stefan scolletta solo nel week end e le duecento cinquantamila lire che ricava gli bastano per una settimana. Non che abbiano bisogno di soldi i due tedeschi: dopo l'incidente Peter ha ottenuto un indennizzo di vari milioni di lire, i soldi sono depositati presso l'avvocato che lo ha assistito nella causa contro la compagnia di assicurazione, quando gli servono si fa spedire un vaglia. Ai primi del novembre 1997 ritira settecento mila lire, dopo pochi giorni si trasferisce a Cagliari insieme all'amico.
Nel piazzale davanti alla Fiera i due tirano su una tenda a forma di igloo, un tappetino di plastica come giaciglio, un cagnolino e la bottiglia come compagnia. Peter custodisce soldi e documenti in un marsupio nero, dorme vestito, le stampelle a fianco, non si sa mai, possono servire per difesa. In una settimana fanno poche amicizie, giusto qualche chiacchiera con i prostituti che aspettano clienti.
La sera del 17 novembre piove, Stefan porta fuori il cagnolino e fuma una sigaretta, saluta un giovane che si prostituisce lì vicino. Al ritorno trova Peter di buon umore ma il canto dell'amico lo infastidisce e propone una passeggiata in Via Roma. Peter non vuol lasciare incustodita la tenda e resta lì. Stefan si ferma in una tabaccheria e compra tabacco per sigarette poi entra in un chiosco, acquista una birra, chiacchiera con altri giovani, beve acquavite. Finisce come sempre e si addormenta in Via Roma. Lo svegliano alle due e dieci del mattino due poliziotti: è completamente ubriaco, puzza, vomita, non si regge in piedi. Non ha documenti ma indica subito la tenda nel piazzale Marco Polo. Viene accompagnato in questura e lì scopre tre cose: Peter è morto, ucciso con una coltellata alla coscia che ha reciso l'arteria femorale; si tratta di un delitto a sfondo sessuale; è l'unico sospettato perché l'amico è stato ucciso intorno alle ventitré e proprio a quell'ora Stefan è stato visto da un prostituto vicino alla tenda.
Il fatto che si tratti di un barbone porta gli inquirenti add escludere la pista della rapina nonostante l'interno della tenda sia letteralmente sottosopra, nonostante sia sparito il marsupio coi soldi; il fatto che la vittima indossi solo slip e calzini convince gli inquirenti a insistere sul rapporto sessuale fra ubriachi finito male.
Durante il sopralluogo nella tenda il cagnolino assiste muto, accovacciato su alcuni vestiti. Nessun segno di pestaggio. I lividi sul volto di Peter? Sono dovuti ad una caduta, forse. E le stampelle fuori? Si è trascinato da solo, forse. E la mancanza di sangue sugli indumenti di Peter? Si è allontanato subito ed è stata la stessa vittima, nel tentativo di tamponare la ferita, a imbrattare l'interno della tenda, forse. Ed il disordine? Sono due barboni, vivono così, senza forse. Insomma, viene data per buona la versione del giovane che lancia l'allarme al 118: intorno alle ventitré si avvicina alla tenda per urinare, saluta uno dei tedeschi ma va via subito perché il cane ringhia e morde. È buio, non vede bene in faccia l'uomo, non sa se sia Stefan. Di lì a poco incontra un giovane, insieme vanno in una pizzeria ai piedi della scalinata di Bonaria, al rientro sotto il cavalcavia li avvicinano due sconosciuti: c'è un ferito sotto la tenda, movirindi. Il ferito c'è davvero. Uno dei due entra, l'altro aspetta fuori: tampona l'emorragia stringendo un maglione alla gamba, scivola per terra, si sporca di sangue, quindi telefona all'Associazione Alba ed anche alla Polizia. Sono le ventitré e diciotto. Il delitto si è consumato nei venti minuti precedenti: quando arriva l'ambulanza il tedesco è vivo ma muore subito dopo, e poiché il dissanguamento è stato rapidissimo il medico legale calcola che l'accoltellamento è avvenuto intorno alle ore ventitré.
Ma i due prostituti non dicono la verità, non tutta. Innanzitutto: i giovani che di fretta avrebbero indicato il ferito nella tenda secondo uno erano ben vestiti e puliti, secondo l'altro sporchi di sangue, anzi no, per entrambi avevano le mani sporche di sangue. In secondo luogo: nella tenda non hanno visto il cane. E ancora: il primo soccorritore è sicuro che fossero le ventitré perché ha chiesto l'ora ad un passante, però non lo ha riferito subito ma solo quando si è accorto che gli inquirenti sospettavano di Stefan e comunque, prima ha dichiarato che l'uomo che gli ha detto l'ora era in macchina, poi che andava a piedi verso il mare. Ma chi è il passante che alle ventitré percorre quella zona? Piazzale Marco Polo la notte è luogo di ritrovo per i prostituti omosessuali e i loro clienti.
La ricostruzione degli inquirenti frana durante il processo in Corte d'assise, e meno male che l'imputato è a piede libero. L'attendibilità del teste principale viene messa in discussione e sin dall'inizio appare poco credibile che il soccorritore, dalla costituzione piuttosto esile, abbia potuto trascinare da solo il ferito inerte fuori dalla tenda. Senza dimenticare la dichiarazione secondo cui si è sporcato di sangue inciampando dentro la tenda, in netta contraddizione con le parole dell'amico: si è imbrattato mentre tentava di arginare l'emorragia. Il cane poi: c'era quando sono arrivati i poliziotti, fermo dentro la tenda, una bestiola mite che non ringhiava e non mordeva. Infine: possibile che i due prostituti (pregiudicati per furto e rapina) abbiano davvero saputo del ferito da due sconosciuti che camminavano veloci in quella zona a quell'ora di notte?
Tutti questi interrogativi convincono i giudici ad assolvere il tedesco per non aver commesso il fatto. I due testi sanno molto più di quanto vogliono far credere, insomma: mentono perché sanno chi ha ucciso. Non sono stati loro, altrimenti non avrebbero chiamato l'ambulanza col rischio che Peter si salvasse e li accusasse. Dunque non hanno sferrato loro la coltellata mortale per rubare i soldi al barbone ma certo sono stati i due passanti con le mani sporche di sangue, due uomini di quell'ambiente che conoscono i due testimoni. Non a caso si rivolgono a loro con familiarità: movirindi, c'è un ferito.

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