Di Giampaolo Carboni.
L'assenza di De Rooy dai vertici della classifica ha avuto breve durata. Dopo la sfortunata quarta e ultima tappa in Perù, che ha messo a dura prova il Team Iveco, nella prima tappa cilena gli olandesi De Rooy e Stacey sono tornati a condurre la gara. De Rooy, alla guida del Powerstar, si è piazzato terzo nella prova speciale, ed è tornato così a guidare la classifica generale dei camion, dimostrando di non voler rinunciare alla leadership della gara. Stacey, che ieri ha invece vinto la quinta tappa con una grande prestazione alla guida del Trakker, ha risalito la classifica general, andando così a occupare la quinta posizione in graduatoria. Grande anche la rimonta di Miki Biasion, che è riuscito a ottenere un settimo posto nella prova speciale, dopo la giornata poco positiva che l'ha visto in estrema difficoltà nel corso della quarta tappa. Ancora una volta il Trakker Iveco ha dato prova della sua robustezza e grande affidabilità, anche in situazioni estreme e su terreni impervi, come le dune sabbiose del Sudamerica. La prossima tappa consiste in una prova speciale di circa 291 chilometri, da Arica a Calama, in territorio cileno. Nel corso della prova, i piloti dovranno percorrere un tratto del deserto di Atacama, dove sabbia e dune costituiranno circa i due terzi della distanza percorsa.
Tra le moto il francese David Casteu, su Yamaha, ha vinto la quinta tappa. Il transalpino si è imposto nella prova speciale di 274 km partita ieri da Arequipa, in Perù, e terminata nella località cilena di Arica. Casteu ha preceduto di 1’09’’ il connazionale e compagno di squadra Olivier Pain. Quarto, a 3’25’’, Alessandro Botturi. In classifica Pain precede Casteu di 1’15’’, Botturi è settimo a 14 minuti. Nelle auto ha vinto Nani Roma al volante di una Mini, precedendo di 1’23’’ il francese Stephane Peterhansel, anch’egli al volante di una Mini. Terzo a 1’’41 lo statunitense Robby Gordon (Hummer). In classifica generale il leader Peterhansel aumenta il vantaggio sul qatariota Nasser Al-Attiyah (Buggy), quarto nella tappa odierna, ora staccato di 9’54’’.
«O cambia nome o cambia percorso e torna da noi», protesta Youssou N’Dour, ex cantante di successo e oggi ministro del Turismo in Senegal. La delocalizzazione della Dakar risale a cinque anni. Ragioni di sicurezza: a fine 2007 quattro turisti francesi furono uccisi in Mauritania, episodio attribuito a un gruppo vicino ad Al Qaida. Seguì l’uccisione di tre soldati della Mauritania in un attacco che costrinse gli iscritti alla Dakar a restare nel porto di Lisbona. Edizione cancellata. Nel 2009 la carovana si trasferì in America Latina, su strade, piste e dune altrettanto selvagge, ma senza il rischio di attentati. Adesso l’Africa reclama indietro la «sua» corsa. «Non possiamo accettare che il rally conservi la notorietà di Dakar e non si disputi in Africa - dice Youssou N’Dour -. Gli organizzatori sono liberi di andare dove vogliono, ma smettano di usare un nome che porta loro del denaro». L’ex cantante sottolinea anche i danni all’industria turistico-alberghiera e all’artigianato dei paesi attraversati dalla corsa. Difficile dargli torto. E difficile che gli diano retta: primo, perché un nome geografico non è un marchio registrabile; secondo, perché la macchina organizzativa oltre Oceano funziona bene e non ci sono mai stati atti terroristici; terzo, perché i numeri sono in crescita. All’edizione 2013 sono iscritti piloti in rappresentanza di 53 nazioni, il miglior risultato dall’edizione inaugurale datata 1978.
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