martedì 2 aprile 2013

LA MORTE DI INDIRA GANDHI (31/10/1984)

Di Giampaolo Carboni.
Nata ad Allahabad il 19 novembre 1917 Indira Gandhi (NELLA FOTO) fu l'unica figlia di Kamla e Jawaharlal Nehru, il Primo Ministro dell'India. Prese il nome dal marito Feroze Gandhi, il quale non era in alcun modo imparentato con il Mahatma Gandhi, fu madre di Rajiv Gandhi suo successore.Fu nominata Primo Ministro dell'India il 19 gennaio 1966. Nel 1967, per la prima volta, il Partito del Congresso subì un forte calo di consensi dovuto alla forte presenza di correnti di estrema sinistra in alcuni governi regionali. Il partito si divise in due tronconi, uno conservatore e l'altro progressista.
In questa situazione di incertezza Indira Gandhi agì in maniera apparentemente non coerente: dapprima usò la forza per abbattere i governi di sinistra dell'Uttar Pradesh e del Bengala Occidentale; successivamente, dopo la vittoria della destra nelle consultazioni elettorali del 1968-69, sembrò assumere posizioni più vicine alle sinistre poiché, nel giro di pochi giorni, procedette alla nazionalizzazione di una decina di banche d'affari al fine di assicurarsi il consenso di socialisti e comunisti in vista delle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute nel 1969.Nel 1975, un tribunale la ritenne colpevole di brogli elettorali e la condannò all'interdizione dai pubblici uffici per sei anni. Nello stesso anno il paese fu attraversato da spinte secessioniste, che portarono la Gandhi a proclamare lo stato d'emergenza nazionale e a prendere misure severe contro le opposizioni.
Quando il paese tornò alle urne nel 1977, il suo partito venne sconfitto e Indira, un anno dopo, fu addirittura incarcerata per alcuni giorni.
Ma si riorganizzò e in pochi mesi fondò un nuovo partito, il Congresso nazionale indiano (Indian National Congress), che vinse le elezioni del gennaio 1980 e le consentì di ritornare alla guida del governo. Il suo secondo mandato iniziò il 14 gennaio di quell'anno.All'inizio degli anni '80 si sviluppa in India un movimento estremista sikh che vuole l'indipendenza del Punjab indiano. Durante la sommossa, gli irriducibili del gruppo estremista si rifugiano nel Tempio d'oro d'Amritsar. Indira Gandhi decide d'intervenire con l'esercito, ed espugna il Tempio sacro dei sikh con un bombardamento e una sanguinosa occupazione..Morì in un attentato da parte di due delle sue guardie del corpo di etnia sikh.
La sera del 30 ottobre, la Gandhi era tornata solo da qualche ora da un faticoso giro elettorale nell'Orissa. In quell'occasione aveva concluso il discorso con queste parole:
« Non ho l'ambizione di vivere a lungo, ma sono fiera di mettere la mia vita al servizio della nazione. Se dovessi morire oggi, ogni goccia del mio sangue fortificherebbe l'India. ».
La mattina del 31 ottobre del 1984, alle 9.08, Indira scese i tre gradini della residenza per raggiungere il giardino. Vestita di un sari arancione (uno dei colori della bandiera nazionale dell'India) si avviò verso due guardie sentinella responsabili della sua sicurezza, e fece loro un cenno di saluto. I due uomini con la barba, indossavano il tipico turbante sikh. La Gandhi conosceva bene uno dei due, quello più vecchio, Beant Singh, di circa quarant'anni. L'altro era il ventunenne Satwant Singh, in servizio da pochi mesi.
Solo qualche settimana prima, un generale, Ashwini Kumar, che aveva ricoperto un ruolo importante nella polizia, le disse:
« Signora, escluda i sikh dal suo servizio di sicurezza. »
Le ricordò inoltre come la comunità sikh aveva giurato vendetta per la repressione subita al Tempio d'oro. Ma Indira Gandhi si sentiva molto sicura dei suoi uomini, specie di Beant Singh, e rispose:
« Finché avrò la fortuna di avere accanto a me sikh come lui, non avrò niente da temere. »
All'insistere del generale, la Gandhi rispose:
« Come possiamo pretendere di fare dell'India uno Stato laico, se scegliamo le persone in base alla loro comunità? »
Non appena ebbe salutato le due guardie, il più vecchio, Beant Singh, impugnando una P38 esplose tre colpi in direzione del Primo ministro dell'India. Immediatamente, anche Satwant Singh esplose tutte le trenta pallottole del suo mitra Sten. Non meno di sette proiettili la colpirono all'addome, una decina il petto, alcuni perforarono il cuore. Indira Gandhi non ebbe neanche il tempo di gridare. Morì sul colpo.
I giorni seguenti per l'India e il popolo indiano, furono giorni di lutto, di tragedia, di disperazione, di disorientamento.Lo scrittore e giornalista Javier Moro ha descritto l'assassinio di Indira Gandhi nel suo libro biografico Il sari rosso (capitoli 33-34).

© Riproduzione riservata.

Nessun commento:

Posta un commento

Qualsiasi commento anonimo o riportante link NON sarà pubblicato

Any anonymous or linked comments will NOT be published