giovedì 27 giugno 2013

"GLI HO SEQUESTRATO IL FIGLIO E HA ONORATO SUBITO IL DEBITO" (10/06/2013)

Di Gianni Bazzoni.

Condanne a morte sospese solo all’ultimo momento. Chi non pagava la droga all’organizzazione rischiava grosso. Ne sa qualcosa Vittorio Denanni, 47 anni, allevatore di Chiaramonti (anche lui tra gli arrestati), che nel mese di ottobre del 2009 aveva acquistato cocaina dal gruppo guidato da Graziano Mesina, contraendo un debito di 37mila euro. E siccome si era attardato nei pagamenti, era stato visitato personalmente da Grazianeddu. Un intervento pesante del capo: per recuperare, in parte, il credito maturato con la cessione dei “vitelli”, l’ex ergastolano - secondo quanto ricostruito dai carabinieri di Nuoro - si era presentato a casa di Vittorio Denanni e aveva, di fatto, preso in ostaggio il figlio. Il ragazzo venne obbligato a chiamare il padre e a raccontare la situazione in cui si trovava, con «quella gente in casa». Dopo le minacce al figlio, Denanni recuperò 20mila euro e consegnò l’acconto. Per gli altri 17mila euro, a marzo del 2012, nuovo blitz con minacce: la banda di Mesina - secondo gli investigatori - vende 15 vacche dell’allevamento di Denanni e incassa direttamente il denaro. Dalle intercettazioni, emerge chiaramente la situazione di grave pericolo in cui si trova l’allevatore di Chiaramonti. Una ambientale piazzata nella Porsche Cayenne, cattura il dialogo con Giovanni Filindeu, uno degli autisti-tuttofare: «Ma io lo uccido a quello – afferma Grazianeddu –, se non mi avesse visto quella notte quello... sarebbe stato già morto. Se la prendeva nel culo lui e i soldi, a quest’ora sarebbe stato sotto terra mangiato dai vermi». Quello delle minacce per convincere i debitori, è un tema che ricorre più volte. Proprio in riferimento al “sequestro” del figlio di Denanni, Graziano Mesina spiega in dettaglio a Totoni Musina come avrebbe dovuto comportarsi per recuperare i soldi della droga non pagata.
«Guarda, bisogna fare così. Acchiappare il figlio come ho fatto una volta e mi ha portato subito ventimila. L’indomani gli ho detto al figlio: chiamalo. Lui l’ha chiamato e io gli ho detto: Vittorio stai rompendo i coglioni. Prima glielo ha detto il figlio. E poi io: domani li aspetto. E l’indomani me li ha portati. Come mai cazzo?». E c’è un’altra intercettazione telefonica nella quale Mesina detta le condizioni a Denanni per la consegna delle vacche da vendere: «Ci vediamo in quel posto. La riunis torra. No mi ’a’ hes’ussu mih ’hi isperdo a tivi, eh... (Le riunisci di nuovo. Non farmi quello, guarda che ti ammazzo eh...)».
A poco servono le giustificazioni dell’allevatore di Chiaramonti che, in più occasioni, lo supplica e cerca inutilmente di impietosirlo. «Zio Grazià, qui non si può vivere. Mi vogliono tagliare le gambe in tutto zio Grazià». I carabinieri hanno ricostruito che con parte del denaro incassato dalla vendita del bestiame (anche degli assegni che, come racconta proprio Graziano Mesina, sarebbero stati cambiati grazie anche alla compiacenza di un direttore di banca) l’ex ergastolano orgolese avrebbe pagato tre suoi fidati collaboratori. C’è da dire che Vittorio Denanni era molto preoccupato, tanto che nel maggio del 2011 - per recuperare denaro - si infila in una strana storia di estorsione. Si presenta da un giovane commerciante di Castelsardo e chiede di saldare presunti debiti per decine di migliaia di euro lasciati dal padre (deceduto di recente). «Se non ci darai tutti i soldi ti ammazzeranno, quella è gente che non scherza», il riferimento è a un gruppo non meglio identificato di orunesi. Vittorio Denanni viene arrestato dai carabinieri in flagranza di reato insieme a altri due di Nulvi.
Il fronte della provincia di Sassari entra nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Grazianeddu con altri quattro personaggi, tutto sommato di «peso» inferiore rispetto a Vittorio Denanni (già finito in manette nell’aprile del 2008, quando la Finanza sgominò una banda che si riforniva nel Cagliaritano). Si tratta di Pier Paolo Donadio, 62 anni, algherese, che alla fine degli Anni Novanta, finì dentro storie di droga venute a galla dopo l’omicidio di Gianni Di Marco, l’imprenditore di pompe funebri ucciso nel centro catalano. L’uomo è rimasto legato agli ambienti dei pescatori, anche se oggi gestisce anche un negozio di pelletteria. Tra i destinatari delle misure cautelari, anche tre ozieresi, il centro al quale Mesina ha legato il suo nome per via delle vicende Campus, Terrosu e Petretto: Giovanni Sanna, 37, anni, era tenuto d’occhio da tempo. Luca Buluggiu, 32, è un operaio che a marzo 2011 era stato arrestato dopo che aveva divelto il lampeggiante di un’auto dei carabinieri e si era dato alla fuga per le vie della città. Alessandro Farina, 31, cuoco in servizio a Olbia, all’inizio dell’anno, era finito nei guai, sempre per droga: i carabinieri l’avevano intercettato con un carico di marijuana.

(Da "La nuova Sardegna")

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