Di Giampaolo Carboni.
Tre ore di deposizione e,a detta di chi lo ha sentito,la massima e totale disponibilità:racchiusa in una sola frase è questa la deposizione in tarda mattinata del Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano (NELLA FOTO) al Quirinale nell'ambito sulla presunta trattativa Stato-Mafia nei primi anni novanta.È cominciata poco dopo le dieci e trenta ed è durata circa tre ore e mezza (con un quarto d’ora di pausa verso metà interrogatorio) la deposizione del capo dello Stato Giorgio Napolitano davanti alla Corte d’assise di Palermo. Una testimonianza inedita resa davanti a giudici e avvocati, tra cui quello di Totò Riina, ma non agli imputati. «Il presidente della Repubblica, che aveva dato la sua disponibilità a testimoniare, ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa» fa sapere una nota del Quirinale. «La Presidenza della Repubblica auspica che la Cancelleria della Corte assicuri al più presto la trascrizione della registrazione per l’acquisizione agli atti del processo, affinché sia possibile dare tempestivamente notizia agli organi di informazione e all’opinione pubblica delle domande rivolte al teste e delle risposte rese dal Capo dello Stato con la massima trasparenza e serenità» si legge ancora nel comunicato del Colle. Napolitano ha risposto sotto giuramento alle domande dei pm e dei legali in un processo che vede imputati una decina di persone tra alti gradi militari e capi mafia, oltre all’ex ministro dell'Interno Nicola Mancino imputato di falsa testimonianza.
Altre notizie sull’udienza sono arrivate in ordine sparso dagli avvocati presenti durante la deposizione, mentre uscivano dal Quirinale. «Giorgio Napolitano ha riferito che, all’epoca, non aveva mai saputo di accordi» tra apparati dello Stato e Cosa nostra per fermare le stragi, ha detto Giovanni Airo’ Farulla, avvocato del Comune di Palermo. «La parola trattativa non è mai stata usata» ha riferito ancora il legale, secondo il quale il capo dello Stato ha risposto anche alle domande dell’avvocato di Totò Riina». Uno dei maggiori nodi dell’udienza era raccogliere i ricordi del capo dello Stato su quel che gli scrisse, cinque settimane prima di morire, il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, nel giugno 2012, dopo essere stato sentito dai pm di Palermo. D’Ambrosio, che è morto d’infarto, era stato interrogato circa le sue telefonate con Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza nel processo per la trattativa. Nella lettera a Napolitano, che è stata peraltro resa pubblica dal Quirinale, D’Ambrosio manifestava il suo timore di poter essere considerato «utile scriba di indicibili accordi» negli anni Novanta, quando come magistrato era in servizio prima all’antimafia e poi al Dap. Secondo quanto riferisce l’avvocato Massimo Krogh, che con Nicoletta Piergentili difende Nicola Mancino, Giorgio Napolitano ha detto che il «vivo timore» di essere usato come «utile scriba di indicibili accordi» tra il 1989 ed il 1993 del suo ex consigliere giuridico «era una mera ipotesi priva di basi oggettive». Ha aggiunto l’avvocato Piergentili che Napolitano ha parlato di una «squadra di lavoro» a proposito di lui e D’Ambrosio. Nessuna informazione però sul contenuto dei loro colloqui. Un altro avvocato, Paolo Romito, ha anche riferito che il presidente della Repubblica «ha tenuto a confermare che aveva dei rapporti di collaborazione e di lavoro con Loris D’Ambrosio, ma oltre quelli non andava». Già lo scorso novembre il capo dello Stato aveva inviato una lettera al presidente della Corte, Alfredo Montalto, in cui diceva di non aver avuto «ragguagli» da D’Ambrosio riguardo a quei timori e, pertanto, di non avere «da riferire alcuna conoscenza utile al processo».
Il secondo grosso tema della deposizione è stato ciò che il presidente sa circa un attentato che la mafia avrebbe progettato contro di lui nel 1993, quando era presidente della Camera. Su questo, ha raccontato alcuni particolari dell’udienza Ettore Barcellona, avvocato di parte civile del centro Pio La Torre. Ovvero che nel 1993 Giorgio Napolitano, allora presidente della Camera, era al corrente del rischio attentato nei suoi confronti da parte di Cosa nostra. «Sul rischio attentati in quegli anni,il Presidente si è limitato a dire che era stato avvisato e che ha avuto i sistemi di sicurezza rafforzati intorno alla sua persona. Il Presidente ha poi raccontato che poco tempo dopo alcuni accertamenti avevano allentato questo pericolo». Napolitano ha riferito, inoltre, secondo l’avvocato Piergentili della difesa di Nicola Mancino, di non essere stato mai turbato delle notizie su presunti attentati alla sua persona nel 1993.
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