Di Redazione.
Una controversia internazionale può essere definita tale se questa coinvolge almeno un soggetto di diritto internazionale e comporta l’applicazione delle norme internazionali. Davanti ad organi giudiziari diversi da quelli nazionali, è chiaro che l’esigenza di applicare il diritto internazionale può sorgere non solo davanti ai giudici internazionali ma anche davanti ai giudici nazionali, cioè può capitare ai giudici nazionali di dover applicare norme internazionali. Si distinguono tre differenti categorie di controversie:
1) controversie interstatali : che coinvolgono due o più stati o soggetti di diritto internazionale. Sono quelle che tipicamente sono sottoposte alla convenzione dei giudici internazionali. Dopo la seconda guerra mondiale sono nati altri due tipi di controversie, sono le:
2) controversie interne cioè tra i funzionari, i rapporti di servizio, controversie fra stati internazionali, ma si riferiscono a norme interne
3) controversie fra individui e stati : individui (in senso stretto sia persone fisiche che persone giuridiche) questa categoria è una novità in ambito internazionale da dopo la 2 G M. Queste controversie sono controversie che potrebbero essere, astrattamente, conosciute anche dai giudici nazionali, le potrebbero risolvere anche loro(cosa che non potrebbero fare tra due stati).
Problema di separazione dei poteri tra giudici nazionali e giudici internazionali: Una prima distinzione va fatta a seconda che i poteri giurisdizionali attribuiti ai giudici internazionali abbiano carattere esclusivo o sussidiario. Esclusività: nel caso in cui un giudice internazionale si occupa di una certa controversia il giudice nazionale non se ne può più occupare, perché viene escluso(situazioni che capitano soprattutto in campo penale, perché proprio qui si vuole evitare il principio secondo il quale uno non può essere giudicato due volte, non si potrebbe accettare un doppio giudizio penale). Nel campo del diritto degli investimenti questo modello lo si trova nella clausola compromissoria, dove si rinuncia al giudice nazionale nel momento in cui si accetta un arbitro. Mentre nel campo penale si verifica solo quando il tribunale internazionale decide di occuparsi del caso. Più frequente è il modello caratterizzato dal principio di sussidiarietà, principio che implica che la cognizione del giudice internazionale non esclude un analogo potere del giudice nazionale. In molti casi, anzi, è proprio il potere giurisdizionale del giudice internazionale ad essere subordinato al potere del giudice nazionale. Questo perché in molti statuti si ritrova la clausola del previo esaurimento dei rinforzi interni. Questa clausola è la manifestazione più rappresentativa del principio di sussidiarietà. E appunto questo tipo di clausola consiste nel fatto che la controversia può essere portata all’ esame del giudice internazionale dopo che son stati provati tutti i rimedi previsti davanti ai giudici nazionali. È, per esempio, il modello della convenzione europea dei diritti dell’uomo, modello secondo cui il giudice internazionale interviene in un momento successivo, non si esclude la sua rilevanza ma così accresce perché ha la possibilita di rivedere e riesaminare l’operato dei giudici nazionali. In altri casi il giudice internazionale interviene solo ad esaminare il caso se il giudice nazionale non l’ha fatto o non è stato in grado di farlo, così opera la corte penale internazionale. Questo per evitare il doppio giudizio(principio mis midem). Dove i giudici nazionali fanno il loro lavoro i giudici internazionali non intervengono, quindi diventa sussidiario. Questi sono i due modelli principali. Non è escluso, però, che il giudice nazionale e il giudice internazionale possano occuparsi parallelamente di uno stesso caso, in modo autonomo ma comunque in collaborazione. Una concezione dualista, secondo la quale il diritto interno e il diritto internazionale sono reciprocamente indipendenti con due ordinamenti a se stanti pur non escludendo l’altro. Il fatto è che però i giudici internazionali sono quasi sempre costituiti sulla base di un trattato, trattati dove ci si pone il problema del rapporto con i giudici nazionali. Ci sono norme nei trattati istitutivi dei giudici internazionali che evitano questo problema di strade parallele. Diverso è il discorso tra il rapporto tra i diversi giudici internazionali, questo perché qui si registra una scarsa propensione dei redattori dei trattati istituivi degli organi giudiziari internazionali a occuparsi del problema. Mentre il problema tra il giudice nazionale e il giudice internazionale è presente a chi elabora il trattato, quello tra diversi giudici internazionali nei trattati non viene esaminato a sufficienza, ciò non vuol dire infatti che in caso concreto non siamo un problema che si possa verificare. (ad esempio la corte internazionale di giustizia potrebbe trovarsi in competizione con quella di ogni giudice internazionale, come per il diritto del mare o il commercio internazionale) La soluzione o i metodi che si possono utilizzare sono: Una soluzione esiste concretamente se esiste una previsione nel trattato che istituisce il giudice internazionale, sull’esclusività della competenza. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di inserire nei trattati che istituiscono i giudici internazionali, che prevedono una competenza esclusiva dei giudici internazionali (convenzione europea dei diritti dell’uomo, che li affida alla corte europea dei diritti dell’uomo). Supponiamo che lo stato italiano abbia violato il diritto alla vita di un suo cittadino, i familiari potrebbero ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per un risarcimento. Ma l’esclusività non risolve il problema perché quel diritto è tutelato anche da altre convenzioni internazionali come il patto O.N.U. Per gli stessi fatti quindi si potrebbero istituire due o più procedimenti paralleli davanti a diversi organi internazionali chiedendo l’applicazione di più norme diverse: davanti alla corte europea dei diritti dell’uomo si chiederà l’applicazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo, davanti al comitato del patto O.N.U. si chiederà l'applicazione del patto O.N.U. stesso e così via. Evidentemente è possibile una cognizione parallela. Nei rapporti fra giudici internazionali il coordinamento è estremamente difficile, perché non sono previste regole espresse per il coordinamento di questi giudici. Nel regolamento interno è possibile mentre nel diritto internazionale no. Questo perché mancano previsioni fattizie nei trattati e non si può parlare neanche di regole consuetudinarie perché la prassi non è univoca: non si puo dire che un giudice internazionale viene investito di una controversia che pende già dinanzi ad un altro giudice internazionale debba astenersi dal giudicare. Una parte della dottrina parla a questo proposito del principio “comity” (cortesia), una forma di reciproco garbo fra i giudici tra i quali uno dei due si debba astenere dal giudicare la controversia. Se c’è chi ragiona in termini di cortesia significa che non esistono regole vincolanti. È più credibile l’idea che nel momento in cui un giudice internazionale ha già deciso una certa controversia, un altro giudice internazionale viene chiamato a giudicarla lo faccia tenendo in considerazione la sentenza del primo e dei suoi effetti. Non essendoci regole di coordinamento, hanno ragione entrambi i giudici. Se un giudice decide per un risarcimento, l’altro non può non tenerne conto, per evitare antinomie gravi. C’è una notevole difficoltà di applicare regole di coordinamento. (Ne bit in idem) Andando avanti con le caratteristiche generali di questi organi costituzionali: la seconda caratteristica è quella secondo cui un il giudice internazionale deve normalmente applicare norme internazionali. Davanti ad un giudice internazionale è esclusa l’applicazione del diritto nazionale, è un esclusione che non è completa perché in alcuni casi è proprio il diritto internazionale che può rinviare al diritto nazionale. In materia di protezione diplomatica che può dar luogo a controversie, il diritto internazionale rinvia al diritto nazionale per stabilire di quale stato un cittadino ha la cittadinanza. Un caso è quello quando un giudice internazionale richiama quello nazionale per stabilire di che cittadinanza è un cittadino. Talvolta nel trattato ci sono indicazioni su quali norme sono da applicare, evidentemente i giudici internazionali istituiti da un trattato, la prima fonte di conseguenza sarà il trattato istitutivo stesso. In questo campo rispetto all'arbitrato non c’è spazio per una scelta delle parti. Nell'arbitrato le parti possono anche scegliere il diritto applicabile, mentre davanti ad un giudice internazionale non c’è la possibilità. Ulteriore caratteristica dei giudici internazionali è quella di emettere una sentenza vincolante, si parla propriamente di sentenza mentre per gli arbitri era il lodo. È una decisione che vincola le parti, si creano veri e propri diritti e obblighi per le parti, con la conseguenza che la violazione degli obblighi avrà carattere di illecito quindi darà luogo a responsabilità internazionale. Questo effetto vincolante della sentenza deve essere esattamente individuato nei suoi limiti. Innanzitutto per quano riguarda i limiti oggettivi, è chiaro la sentenza del giudice internazionale produce effetti solo limitatamente a quello che è l’oggetto della controversia decisa. Questa conclusione non è tanto ovvia. Infatti nel campo della tutela dei diritti dell’uomo, possono verificarsi situazioni con fatti analoghi per soggetti diversi, o i comportamenti di altri dittature, evidentemente sono fatti che hanno un alto grado di omogeneità ma la decisione avrà effetti solo su ogni singolo caso…non potrà un altro individuo giovarsi della sentenza di condanna emessa per la violazione a carico di un altro individuo. Allo stesso modo i limiti che la sentenza incontra sono anche di carattere soggettivo, come nell'esempio in cui la sentenza riguarda solo le parti e non soggetti diversi. Questa caratteristica dell’efficacia soggettiva della sentenza può porre un problema particolare: può mettere il giudice internazionale nell'impossibilità di decidere. Questo è avvenuto in una serie di casi davanti alla corte internazionale di giustizia(caso dell’oro monetario sottratto da Roma). Problema che si è verificato in molti casi tra i confini delle zone marittime, questo perché gli effetti devono riversarsi solo tra le parti e non può pregiudicarne altri. Il problema insito che la sentenza ha carattere vincolante: come si fa a far eseguire gli obblighi che discendono dalla sentenza? È estremamente raro che il giudice internazionale abbia anche il potere di controllare l’attuazione della sentenza. Non si occupa più del caso dopo che la emette. In tempi più recenti si è cercato di istituire meccanismi che garantiscano l’esecuzione di queste sentenze. Il primo esempio si ha nell’articolo 94 della carta Onu, a proposito delle sentenze della corte internazionale di giustizia, dove si prevede che il consiglio di sicurezza dell’Onu., cioè un organo di carattere diverso, politico e non giudiziario, debba controllare che si preveda della sentenza della corte siano eseguite dagli stati contro cui sono diretti. Un sistema che ha manifestato subito le sue lacune: quando negli anni ottanta si è cercato di utilizzarlo per far eseguire dagli stati uniti una sentenza emessa nei loro confronti e a favore del Nicaragua perché gli stati uniti hanno posto il loro potere di veto e quindi il consiglio di sicurezza non ha potuto decidere. Però è chiarito che il consiglio di sicurezza potrebbe, in situazioni diverse dove non si coinvolge uno stato membro permanente, potrebbe avere effettivi poteri di pressione sullo stato per indurlo a conformarsi alla sentenza. Non esiste questo potere di esecuzione forzata, ma si tratta di usare mezzi persuasivi nei confronti dello stato per indurlo ad eseguire la sentenza. Perché si possono usare questi mezzi persuasivi? Non solo altro che delle contromisure contro la mancata esecuzione della sentenza che costituisce un illecito internazionale. Un meccanismo simile lo vedremo occupandoci della convenzione europea dei diritti dell’uomo, li infatti non è la corte europea che controlla l’esecuzione delle sentenze, ma è un organo politico il comitato dei ministri del Consiglio d'Europea, l’organo che riunisce i governi degli stati uniti. Dal fatto che queste sentenze hanno carattere vincolante, deriva anche un'altra conseguenza, cioè il fatto che tutti gli stati contraenti del trattato che istituisce il giudice internazionale debbono riconoscerle, anche gli stati terzi devono comunque prenderne atto, non avranno diritti e obblighi, ma devono tener conto dell’esistenza di queste sentenze. Dall'obbligo di riconoscere queste sentenze, deriva normalmente la conseguenza che una volta emessa la sentenza internazionale i giudici nazionali non possono più occuparsi della questione. In ogni caso è evidente che l’inesistenza di meccanismi efficaci di attuazione è il punto debole della giurisdizione internazionale. Anche se in tempi più recente si è cercato meccanismi di questo tipo, perché se una sentenza non viene eseguita, il giudice internazionale perde autorevolezza. Occorre anche tener conto del fatto che le sentenze internazionali sono normalmente inappellabili, unico grado di sentenza. L’unica possibilità è che sia il trattato istitutivo a prevedere dei meccanismi di appello o impugnazione; in alcuni sistemi è previsto, come nella corte europea dei diritti dell’uomo, dove le sentenze delle camere possono essere riesaminate dalla grande camera, lo si ritrova anche nella corte penale internazionale, o anche nel sistema giudiziario comunitario, dove il tribunale di primo grado emette sentenze che possono essere impugnate davanti alla corte di giustizia. Se non c’è questa previsione non si puo fare ricorso. In genere sono possibili sia richieste di interpretazione della sentenza, sia anche le richieste della revisione della sentenza. Si parla di revisione in particolare dove si chieda di riesaminare il caso alla luce di fatti che non erano noti alle parti e al giudice al momento in cui la sentenza è stata emessa. Questa interpretazione o revisione della sentenza viene domandata allo stesso organo che ha emesso la sentenza. L’ultima caratteristica della giurisdizione internazionale è quella del suo fondamento consensuale. Abbiamo già visto nell' arbitrato che sia la giurisdizione degli organi arbitrali sia quella degli organi giurisdizionali propriamente detti, si fonda sul consenso delle parti, è necessario che le parti accettino la giurisdizione come dell’arbitro così del giudice, ma rispetto all'arbitrato ci sono delle differenze. Ma cosa vuol dire fondamento consensuale? Significa che questi giudici internazionali hanno origine fattizia, sono creati per volontà degli stati. Normalmente si stipula un trattato che crea l’organo attribuendogli una certa competenza, che tipo di controversie quell'organo potrà decidere, come la materia i tipi di soggetti coinvolti, ma non solo stabilisce la competenza dell’organo ma detta molte altre regole, sulla composizione dell’organo, elezione e nomina dei giudici dei membri, regole di procedura, come il procedimento istituzionale deve svolgersi e effetti e eventualmente dei meccanismi per l’attuazione di queste sentenze. È chiaro che rispetto all'arbitrato incontriamo una differenza, differenza che discende dal carattere permanente dell’organo istituzionale, perché analizza infiniti casi non un caso unico e le regole di procedura sono sempre le stesse, le parti non possono decidere le regole di procedura. Quindi il principio generale è che questi giudici internazionali vengono istituiti attraverso trattati, esistono eccezioni che riguardano alcuni tribunali penali internazionali, quello per la ex Jugoslavia, Ruanda e Sierra Leone, questi tribunali penali internazionali non sono stati creati dagli stati attraverso trattati ma attraverso risoluzioni del consiglio di sicurezza. Lui spera che il fenomeno non si allarghi perché il consiglio di sicurezza non ha quei poteri di istituire i tribunali internazionali e quindi eccedono nelle sue competenze. I giudici internazionali una volta istituiti per trattato o per un altro mezzo, sono comunque stabili e permanenti, permanenza in senso relativo, ci sono regole per l’elezione e eventuale rinnovamento perché la carica del giudice non è a vita. I giudici hanno dovere di indipendenza e imparzialità, non sono legati a vincoli particolari dal loro stato e sono normalmente incompatibili con altre attività o cariche. Il motivo è ovvio: tutela dell’imparzialità, rendendo meno probabile che interessi privati possano influenzare la sua decisione. Abbiamo già visto il meccanismo che deroga il principio dell’imparzialità dei cosiddetti giudici ad hoc: è un meccanismo esistente in diversi organi giudiziari internazionali, tra questi la corte internazionale di giustizia, dove nel suo statuto, l’art 31 prevede che uno stato che non abbia un proprio giudice all'interno della corte possa nominare un giudice ad hoc che entra a far parte della corte solo per quel caso. L’art.31 pone delle limitazioni a questo diritto, stabilendo la dove ci siano più stati che sono cointeressati, il giudice ad hoc che si può nominare è comunque uno solo; mentre se le parti sono contrapposte se ne possono nominare uno ciascuno. Come già accennato gli organi giudiziari internazionali fondano la loro esistenza sulla volontà degli stati, ma non è detto che abbia concorso a creare quel giudice internazionale ne accetti anche la giurisdizione. Ex: nella corte internazionale di giustizia che è stata creata con uno statuto che è un trattato internazionale, ratificato da un certo numero di stati ma questi stati non sempre hanno accettato la giurisdizione della corte. Il caso più eclatante è quello degli stati uniti, promotori dell’elaborazione della carta O.N.U. e dello statuto della corte internazionale di giustizia ma ad un certo punto hanno revocato la loro attestazione della giurisdizione della corte. Non è detto quindi che se si approva la creazione di un organo si accetti la sua giurisdizione. Come può avvenire l’accettazione della giurisdizione? I meccanismi tipici sono: la clausola compromissoria o del trattato generale di arbitrato, meccanismi con cui gli stati si impegnano di accettare la giurisdizione di un certo giudice internazionale per eventuali e future controversie. Così come l’arbitrato sono oggi completi, cioè ammettono la possibilità che uno stato con una richiesta unilaterale, previa accettazione, avvii un giudizio dinanzi a quel giudice internazionale. È chiaro che le clausole compromissorie e del trattato generale di arbitrato in fondo non sono altro che espressioni del cosiddetto tricky making power e quindi sono sottoposte a un meccanismo tipico del diritto dei trattati, che è quello delle riserve, cioè capita che uno stato accetti la giurisdizione di un giudice internazionale ma con qualche riserva. Un esempio è quello degli stati uniti che accettarono la giurisdizione della corte internazionale di giustizia, però con riserva sulle controversie relative a trattati multilaterali, non accettò la giurisdizione della corte internazionale di giustizia quando questa avrebbe dovuto decidere controversie inerenti l’applicazione di trattati multilaterali. Un meccanismo diverso dalle riserve sono il meccanismi cosiddetti del protocollo opzionale o facoltativo. Un meccanismo esisteva anche nella convenzione europea dei diritti dell’uomo: nel trattato che crea l’organo c’è solo la manifestazione di volontà di creare l’organo, però per accettare la giurisdizione dovevano ratificare anche un autonomo protocollo opzionale, cioè un trattato distinto e separato. In quanto opzionale poteva essere ratificato oppure no. Ora questo è superato nella corte perché la manifestazione equivale ad accettazione. Però sopravvive in altri sistemi come nel patto Onu per diritti civili e politici dove la stipulazione del patto non implica l’accettazione delle competenze del comitato che può esaminare reclami. Ovviamente non è esclusa la possibilità che la giurisdizione venga accettata attraverso un compromesso, cioè attraverso un accordo ad hoc che riguarda quella specifica controversia. In certi casi poi è anche possibile che si utilizzi il meccanismo del cosiddetto “forum prorogatum”, si verifica questo meccanismo della proroga quando davanti al giudice internazionale il soggetto che si difende formula le sue difese solo nel merito, senza negare la giurisdizione del giudice internazionale. Questo meccanismo presuppone che uno stato non abbia accettato preventivamente la giurisdizione del giudice internazionale, non c’è accettazione iniziale: lo stato A instaura un giudizio contro lo stato b ma lo stato b non ha accettato la giurisdizione del giudice internazionale. Ma quando è che è possibile comunque esercitare la giurisdizione? Quando questo stato B, cioè chi viene chiamato in giudizio, non fa questione sulla giurisdizione del giudice internazionale ma mostra implicitamente di accettarla, si difende, ma si difende nel merito della questione ma non nega la giurisdizione del giudice internazionale. Quella manifestazione di volontà che non c’era prima, interviene durante il giudizio in un momento successivo. Ma anche il compromesso è sempre una manifestazione di volontà antecedente all’instaurazione del giudizio, mentre è solo il meccanismo del foro prorogato che invece si realizza nel corso del primo. L’ultima annotazione sulla accettazione della giurisdizione riguarda le controversie fra individui e stati. Rispetto alle controversie fra stati dove è necessario che entrambi accettino la giurisdizione di quel preciso giudice, nelle controversie fra stati e individui non è prevista una previa accettazione da parte dell’individuo, ma è solo lo stato che deve accettare la giurisdizione di quel giudice internazionale, anche perché quell'individuo normalmente mostrerà di accettarla proponendo il ricorso dinanzi a quel giudice internazionale, e in ogni caso si ritiene che la volontà che sostituisce quella dell'individuo sia quella del suo stato nazionale. L’esempio riguarda il tribunale per i reclami Stati Uniti-Iran, tribunali istituiti con l’accordo di Algeri, accordo internazionale fra i due stati; però poi le richieste dovevano essere formulate dai singoli cittadini statunitensi, e si riteneva che gli usa avendo creato l’organo ed accettato la sua giurisdizione, questa accettazione producesse effetti anche per i singoli individui.
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