Di Giampaolo Carboni.
Ferrari in pole position. Non è un Gran Premio di un mondiale di Formula Uno comunque in chiaroscuro ma l'ipotetico circuito (sicuramente circuito lo è a livello economico e di denaro) di Wall Street quello in cui il marchio del cavallino, vista l’elevata domanda degli investitori durante il “roadshow”, aveva già fissato un prezzo di partenza di cinquantadue dollari, il massimo della forchetta. Ebbene, poco dopo il suono della tradizionale campanella da parte dei vertici di Fiat Chrysler Sergio Marchionne e John Elkann, il titolo (scambiato sotto il simbolo Race, in inglese “corsa”) è schizzato a sessanta dollari. Ottimo inizio, visti i risultati di recenti sbarchi in Borsa: il dieci per cento della casa di Maranello messo in vendita vale ora più di ottocentosessantacinque milioni di euro, il che valuta Ferrari complessivamente quasi nove miliardi di euro. La formula vincente è stata senza dubbio quella di essersi proposto non come marchio automobilistico ma come marchio del lusso anche grazie alle oltre settemila auto personalizzate vendute in questo preciso settore ogni anno.
A cui le quote di mercato nemmeno interessano, dice il prospetto, a fronte di utili cresciuti del dieci per cento nel primo semestre. Nuovi azionisti a parte, a festeggiare saranno ora i proprietari storici: Piero Ferrari, figlio del fondatore Enzo, che ha una quota del dieci per cento. E naturalmente i soci di Fiat Chrylser Automobili, a cui, dopo lo scorporo di Ferrari, sarà assegnato il restante ottanta per cento.
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