Da "L'Unione Sarda".
Un pastore prima di tutto. Battista Cualbu sveste per una volta i panni di presidente regionale di Coldiretti e di vice del Consorzio per la tutela dell'Agnello di Sardegna Igp per indossare soltanto quelli di allevatore. Una carriera ereditata dal padre nel 1985, trent'anni durante i quali ha visto cambiare il mondo della pastorizia. Dalle transumanze ormai quasi scomparse fino al boom del pecorino negli Stati Uniti. La Sardegna nel frattempo ha visto dimezzare i propri ovili. E così duro fare oggi il pastore? «Purtroppo le pecore non conoscono ferie. Devono mangiare ed essere munte tutti i giorni. Ora abbiamo a disposizione la tecnologia che ci aiuta nella mungitura e nella conservazione del latte, la vita è più facile, ma senza passione e amore per gli animali e i loro prodotti nessuno potrebbe fare questo lavoro». I maligni vi descrivono come una categoria privilegiata, sempre pronta ad approfittare di sovvenzioni pubbliche. «In tutto il mondo pastorizia e agricoltura sono assistite dalle istituzioni. E proprio per merito dei soldi ricevuti dall'Europa e dalla Regione negli ultimi anni che siamo riusciti a raggiungere altissimi standard qualitativi nelle produzioni e nel benessere dei nostri animali». Seicento milioni di euro in dieci anni sembrano comunque troppi. «Non nego che in questi anni qualcuno ne abbia approfittato, ma non spetta a me fare il controllore. È innegabile però che oggi, grazie al prezzo del latte in crescita, al successo internazionale di formaggi e carni sarde riusciremo a camminare soltanto con le nostre gambe». I più giovani lo hanno capito? «Quando iniziai a meta degli Anni '80 ero tra i pochi diplomati a fare il pastore. Oggi tanti ragazzi laureati sono tornati in campagna e hanno preso le redini delle aziende di famiglia. Hanno compreso che esistono tante opportunità».
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