giovedì 27 luglio 2017

L'OMICIDIO DI JEAN MICHEL KRAVEICHVILI E NADINE MAURIOT NELLA FRAZIONE DI SCOPETI (08/09/1985)

Di Giampaolo Carboni.


L'ultimo duplice delitto del Mostro di Firenze (quello su cui si hanno più particolari e riscontri) avviene nella campagna di San Casciano Val di Pesa, in frazione Scopeti, all'interno di una piazzola attorniata da cipressi, attigua ad un cimitero, in cui erano solite appartarsi le giovani coppie. Le vittime sono due giovani francesi, Jean-Michel Kraveichvili, musicista venticinquenne di origini georgiane, e la trentaseienne Nadine Mauriot (la vittima più anziana del mostro), titolare di un negozio di calzature, madre di due bambine piccole recentemente separata dal marito, entrambi provenienti da Audincourt, una cittadina dell'est della Francia. Le vittime sono accampate in una piccola tenda ad igloo a poca distanza dalla strada. L'omicidio è stato fatto risalire da taluni alla notte di domenica 8 settembre 1985, da altri a quella tra sabato 7 settembre e domenica 8 settembre 1985, considerazione motivata con la presenza sui cadaveri delle vittime di larve di mosca che necessitano di almeno venticinque ore di tempo per svilupparsi e dalle condizioni tanatologiche dei corpi riesaminate da esperti molti anni dopo, come è scientificamente riportato da una perizia del Professor Introna e, più recentemente, da un reportage televisivo di Paolo Cochi. Altro elemento fu il fatto che Nadine Mauriot aveva avvertito i parenti in Francia che sarebbe rientrata dalla vacanza al più tardi domenica sera per riuscire ad accompagnare al primo giorno di scuola le figlie il lunedì successivo e riaprire nel contempo il negozio di sua proprietà. Una coppia che si era appartata nella piazzola del delitto nelle prime ore del pomeriggio di domenica 8 settembre 1985 riferì di aver notato la tenda delle vittime all'interno della quale sembrava esservi una persona distesa; riferirono anche di un nugolo di mosche e di cattivo odore nella zona, tanto che proprio per tali motivi i due ragazzi decisero di andarsene da quel luogo. Le modalità dell'aggressione sono simili a quelle precedentemente messe in pratica dall'omicida, eccettuato il fatto che in questo caso, le vittime non si trovavano in auto ma in una tenda piantata vicino alla propria Volkswagen Golf: il "mostro", dopo aver reciso con un coltello il telo esterno della tenda sulla parte posteriore, si sposta verso l'ingresso della tenda e spara. Nadine muore all'istante, il giovane Jean-Michel, ferito non mortalmente, riesce ad uscire dalla tenda e a fuggire di corsa in direzione del bosco, ma viene raggiunto dall'omicida che lo finisce a coltellate e poi ne occulta il corpo, cercando di nasconderlo tra alcuni rifiuti poco distante dalla tenda. Dopo averlo estratto dalla tenda per effettuare le mutilazioni sul pube e sul seno sinistro, anche il cadavere della donna viene in qualche modo occultato e risistemato all'interno della tenda in modo che non sia subito visibile. Il modus operandi particolare attuato dall'omicida in quest'ultimo delitto lascia presupporre che l'assassino avesse l'intento di ritardare il più possibile la scoperta dei corpi. Un brandello del seno della ragazza viene spedito alla Procura della Repubblica di Firenze in una busta anonima con l'indirizzo composto da lettere di giornali ritagliate, indirizzato alla dottoressa Silvia Della Monica, Pubblico Ministero incaricato delle indagini sul killer. La scoperta dei corpi avverrà lunedì nel tardo pomeriggio ad opera di un cercatore di funghi, appena due ore prima che la lettera giunga in Procura, vanificando così il possibile perfido piano dell'omicida, che probabilmente voleva annunciare agli inquirenti l'avvenuto ultimo duplice delitto attraverso la sua stessa macabra missiva. Poche settimane dopo il delitto, il 2 ottobre, giunsero in Procura tre buste anonime indirizzate ai tre sostituti procuratori Pier Luigi Vigna, Paolo Canessa e Francesco Fleury. Le tre buste contenevano la fotocopia di un articolo ritagliato da La Nazione, una cartuccia marca Winchester calibro 22 serie "H", ed un foglietto di carta bianco piegato in due con scritto: Uno a testa vi basta. Gli esami biologici evidenziarono che sui lembi delle tre buste c'erano tracce di saliva che diedero esito positivo di appartenenza a soggetto con gruppo sanguigno A. Non esiste però alcuna certezza che questo messaggio del 2 ottobre sia stato inviato dal "mostro", poiché esso non conteneva alcuna "firma", cioè un qualcosa (come, per esempio, poteva essere un bossolo col segno di percussione della calibro 22 oppure una parte del corpo di una vittima), che sanciva la mano dell'assassino invece di quella di un "burlone" o mitomane. Il brandello di seno spedito a Silvia Della Monica rimane, infatti, l'unico "messaggio" inequivocabilmente inviato dal killer agli inquirenti.

AGGIORNAMENTO DEL 26/07/2017

Un'inchiesta nuova, o meglio, un'indagine quella sul mostro di Firenze mai chiusa in un vecchio armadio e che, ogni tanto, rispunta dal nulla con particolari capaci di risvegliare la stessa attenzione che per anni i duplici omicidi hanno suscitato. Questa volta, a trentadue anni dall'ultimo duplice omicidio (7 o 8 settembre 1985) sarebbe legata a trame eversive e stragiste, tesi subito smentita dal procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo: «I polveroni non fanno parte dello stile di questo ufficio, qualcuno evidentemente ha interesse a sollevarli ma questo non è la procura». Creazzo non ha invece negato che l'indagine ci sia e che, per effettuare una perquisizione nella sua abitazione, sia stato indagato Giampiero Vigilanti, 86 anni, ex legionario, oggi residente a Prato ma originario di Vicchio del Mugello (Firenze). Da lui i carabinieri del ros,che da tre anni sono subentrati alla polizia nelle indagini (prima al fianco dell'allora storico pm fiorentino Paolo Canessa, ora procuratore capo a Pistoia, poi con il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco) sono tornati qualche mese fa. Vigilanti, infatti, era già finito nell'inchiesta: fu perquisito nel settembre 1985, tre giorni prima dello stesso Pietro Pacciani. Sembra fosse stato segnalato da alcuni vicini come possibile «mostro». Nella sua abitazione furono trovati ritagli di giornali sui delitti delle coppiette. Nove anni più tardi, nel 1994, dopo una lite con un vicino di casa l'ex legionario venne perquisito una seconda volta e in casa i carabinieri gli trovarono centosettantasei proiettili calibro ventidue di marca Winchester serie H, gli stessi usati dal mostro per la pistola Beretta mai ritrovata. Per Vigilanti non vi furono seguiti. Oggi l'ottantaseienne ha reclamato la sua estraneità alle vicende del mostro. «Non ho paura di niente, non ho fatto nulla», ma ha confermato di aver conosciuto Pacciani, che come lui negli anni cinquanta abitava a Vicchio. Proprio quel Pacciani processato come l'autore dei sedici omicidi, condannato in primo grado ma assolto in appello, morì nel 1998 prima del nuovo processo d'appello, chiesto dalla Cassazione, che lo avrebbe visto di nuovo sul banco degli imputati. I suoi amici, i cosiddetti compagni di merende (Mario Vanni e Giancarlo Lotti), vennero condannati per alcuni degli otto duplici omicidi. Di certo una spinta alla nuova indagine, che avrebbe già coinvolto anche un'altra persona, un medico che vive in Mugello, è arrivata dall'avvocato Vieri Adriani, legale dei familiari di Nadine Mauriot e di una parente di Stefania Pettini, due delle vittime. I dubbi hanno sempre accompagnato chi ai duplici omicidi, avvenuti tra il 1968 e il 1985 in provincia di Firenze, si è avvicinato. E questo pure per qualche lacuna di troppo nelle indagini. Solo nel 1981 la morte della coppia nel 1968 a Signa, venne collegata agli omicidi del 1974 e dell'81. Negli anni le tecniche si sono evolute e quelle che trenta o quaranta anni potevano essere certezze guardate da altri occhi e, soprattutto, con nuove tecnologie, possono far nascere nuovi dubbi. Unico problema, è che molti dei protagonisti di allora, a partire da Pacciani, Lotti e Vanni, non ci sono più e ciò rende tutto più difficile.

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