martedì 5 giugno 2018

LA RAPINA ALLA BRINK'S SECURMARK A ROMA (24/03/1984)

Di Giampaolo Carboni.

La sede romana della Brink's Securmark, società di trasporto valori, si trova al chiilometro nove e seicento della statale Aurelia (NELLA FOTO IN ALTO IL RITROVAMENTO IN DATA 31 MARZO 1984 DI UN FURGONE UTILIZZATO PER LA RAPINA). Negli anni settanta, uno degli azionisti della società era il bancarottiere Michele Sindona. A posteriori, in tribunale, la moglie Chiara Zossolo indicherà che fu Antonio Chichiarelli a progettare una delle più grandi rapine avvenute in Italia, quella dei trentacinque miliardi di lire sottratti nel caveau della Brink's Securmark. Un colpo magistrale, addirittura fin troppo facile, a detta degli inquirenti. Non è certo che Chichiarelli avesse cooperato con gli altri colleghi della Banda della Magliana. Pare che gli altri appartenenti alla banda non parlassero con un accento romano (tipico dei membri della Banda della Magliana), bensì piemontese. Appare certo che esistessero almeno un paio di basisti appartenenti all'istituto vittima del furto, un dipendente ed un ex-dipendente. Inoltre, le indagini hanno appurato che Chichiarelli avesse compiuto un sopralluogo qualche settimana prima del fatto addirittura entro il perimetro della banca, dopo l'orario di chiusura. Circa la banca, Chichiarelli conosceva la planimetria in modo dettagliato, così come i turni di sorveglianza ed i nominativi delle guardie. Per la riuscita del colpo, inoltre, aveva utilizzato un furgone in tutto simile a quello di proprietà della banca, di cui conosceva accuratamente e specificamente ogni movimento. La Brink's Securmark non era propriamente una banca, bensì si trattava di un deposito che faceva capo a una catena bancaria di Michele Sindona. La sera del 23 quattro uomini con il volto coperto da maschere, prelevano, verso l'ora di chiusura, una delle guardie giurate, Franco Parsi, al momento di rincasare. Lo condussero a casa, dicendo a lui ed ai famigliari di essere un commando delle Brigate Rosse. Lo tennero in ostaggio fino all'alba della mattina successiva insieme alla moglie, alla suocera ed ai figli. Poi uno dei rapinatori rimase nell'abitazione per tenere a bada i familiari, virtualmente degli ostaggi veri e propri, mentre gli altri tre condussero la guardia giurata, che aveva le chiavi, al caveau della banca, dove disarmarono altri due agenti e senza sparare un colpo portarono via denaro liquido, traveller's cheque, oro e preziosi per una cifra astronomica, che fu stimata intorno a trentacinque-trentasette miliardi (stima fatta dalla banca stessa, che stanziò due miliardi di ricompensa a chi avesse fornito informazioni utili al recupero della refurtiva). Chichiarelli, invece, parlò alla compagna di almeno cinquanta-cinquantacinque miliardi, di cui due dati ai basisti ed altri venti ceduti ai complici con cui aveva condotto in porto l'impresa. In pratica, almeno trenta miliardi erano tutti per il solo Chichiarelli. Non fu una rapina qualsiasi: sul bancone gli ignoti lasciarono una serie di oggetti che stavano simbolicamente a rappresentare il vero significato dell'impresa. Una granata Energa, sette proiettili calibro sette e sessantadue, sette piccole catene e sette chiavi. La bomba Energa era dello stesso tipo usata durante l'agguato al colonnello Varisco (il tenente colonnello Antonio Varisco, comandante del nucleo dei carabinieri del Tribunale di Roma, venne ucciso dalle Brigate Rosse il 13 luglio 1979) e proveniva dall'armeria di via List. Le sette chiavi e le sette catene furono lette come un chiaro riferimento al falso comunicato delle Brigate Rosse sul lago della Duchessa, mentre i sette proiettili calibro sette e sessantadue riportano all'omicidio di Mino Pecorelli, e c'erano anche le cinque schede , identiche a quelle ritrovate nel borsello sul taxi da Tony Chichiarelli il giorno prima dell'omicidio di Pecorelli, che stavano ad indicare lo stretto collegamento tra l'omicidio del giornalista e il rapimento e la morte di Aldo Moro. Furono lasciati anche falsi volantini di rivendicazione brigatista della rapina e le immancabili foto Polaroid scattate ai guardiani legati con, sullo sfondo, il drappo raffigurante la stella, emblema del gruppo terroristico. A differenza di quanto avvenne per il falso comunicato del Lago della Duchessa, in questa occasione gli specialisti riconobbero immediatamente come falsi sia i volantini di rivendicazione, che le fotografie. Dopo la rapina miliardaria alla Brink's Securmark, nella quale pare fosse il capo del commando, Chichiarelli iniziò ad investire il frutto della rapina nel mercato immobiliare ed in quello degli stupefacenti. Egli venne ucciso sei mesi più tardi, a fine settembre di quell'anno, in circostanze mai chiarite. Tra le ipotesi formulate: 

- Una vendetta della malavita per il florido commercio di stupefacenti nel frattempo avviato dal falsario. 

- Un regolamento di conti all'interno della malavita (la banca rapinata era collegata all'impero di Michele Sindona). 

- Una "eliminazione preventiva" ad opera dei servizi segreti, essendo il Chichiarelli un personaggio poco discreto, come accertato in aula giudiziaria dalle testimonianza della moglie, della compagna e dei conoscenti. 

- Uno sgarro ai suoi compagni della Banda della Magliana nel caso la rapina fosse stata compiuta da esponenti non appartenenti alla banda stessa, oppure, qualora i proventi della rapina non fossero stati divisi con gli appartenenti alla banda medesima, in base al patto di sangue che legava i componenti dell'associazione criminale. 

- Una eliminazione volta allo scopo di recuperare i documenti compromettenti stipati nel caveau della Brink's Securmark, tra i quali le famose polaroid che ritraevano Aldo Moro vivo nel carcere brigatista (al processo fu avanzata l'ipotesi che il falsario rapinatore non avesse rispettato i patti coi servizi segreti, intenti a recuperare quello scottante materiale, alla base, fu detto, del vero movente della rapina stessa.

Sarebbero quattro, secondo gli inquirenti, gli autori della “rapina del secolo” al deposito valori della Brink’ Securmark di via Aurelia: il malavitoso torinese legato alla vicenda Ballerini-Pan, Germano La Chioma, Giampaolo Morosini, l’esperto in casseforti Alfredo Tedlotto, ed il già più volte citato Antonio Giuseppe Chichiarelli, detto Tony. Proprio quest’ultimo sarebbe il cervello del colpo, rimasto a lungo latitante e probabilmente era l’unico in grado di spiegare la via presa da venticinque dei trentacinque miliardi di lire frutto del colpo, mai ritrovati dagli inquirenti. Dieci miliardi verranno rinvenuti, in seguito, in alcuni conti presso alcuni istituti di credito di Ivrea. Per questo verranno condannati in primo grado altri diciannove imputati, accusati di reati quali riciclaggio e ricettazione, a pene variabili da un anno e mezzo a sette anni di reclusione.

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