Di Redazione.
Dai particolari si giudica un giocatore. E Milan Djuric (NELLA FOTO IN ALTO), trentaquattro anni mercoledì, si presenta all’appuntamento per l’intervista addirittura in anticipo. Il regalo, il granatiere voluto a gennaio da Adriano Galliani per riempire il vuoto che c’era al centro dell’attacco del Monza, vorrebbe farselo sabato a Torino contro la Juventus, considerato che segnando un gol, arriverebbe per la prima volta in doppia cifra in Serie A.
Milan, dica la verità: se con la Juve c’è un rigore, ha già chiesto a Pessina di lasciarglielo?
No, no - ride - i rigori li tira “Matte” perché è lui quello designato dall’allenatore. E poi perché ognuno deve fare il proprio compito. E lui i rigori li tira molto bene.
Dei suoi diciassette gol in Serie A, undici li ha fatti di testa. Il più bello?
Ne scelgo due: quello al Milan con la Salernitana in tuffo e quello dell’uno a zero in Monza-Napoli perché ho preso benissimo il tempo al difensore.
Quando andava di moda il “falso nove”, si è sentito un po’... sorpassato?
Io sono un centravanti vecchio stampo, conosco le mie caratteristiche, quello che posso dare e, dovunque sono andato, ho sempre giocato. E poi, alla fi ne, anche Guardiola ha preso Haaland... Certo, lui non ha solo fisico ma pure potenza, allungo ed è un “cyborg” però il fatto che proprio il City abbia sentito il bisogno di prendere un centravanti, ha fatto tornare tutto un po’ alla normalità.
A chi si è ispirato agli inizi?
Drogba e Ibrahimovic sono sempre stati i miei punti di riferimento.
Oggi gli allenatori al centravanti non chiedono più “solo” di metterla dentro...
Il ruolo negli ultimi anni è cambiato molto, adesso bisogna correre molto di più e dare supporto alla squadra nelle due fasi. La svolta è arrivata con Cavani: il suo arrivo in Italia ha cambiato l’algoritmo legato all’interpretazione del ruolo perché lui ha dimostrato che un centravanti può andare sulla fascia, nello spazio, aiutare in difesa. Poi il problema è arrivare lucidi, come faceva lui, pure davanti alla porta.
Escluso Palladino, chi è stato tra i tanti allenatori che ha avuto particolarmente importante per la sua formazione?
Bisoli mi ha inculcato l’etica del lavoro e dell’impegno quando ero ancora un ragazzino. Poi direi Ventura a Salerno perché ci ha aperto gli occhi su un mondo per noi tatticamente nuovo.
Qual è l’avversario che più le ha dato fastidio?
Ce ne sono stati tanti. Con Chiellini, Bonucci e Barzagli era dura, soprattutto nell’uno contro uno con Giorgio. Poi in Nazionale ho affrontato van Dijk, un altro bello tosto.
E oggi?
Bremer e Acerbi che è intelligente e ha esperienza.
A Torino è sempre dura per gli attaccanti...
Beh, Chiellini ha fatto la storia della Juventus e Bremer è un giocatore potenzialmente devastante.
Tra lei e Gatti, in Juve-Verona, sono state scintille...
Partita molto accesa, loro l’hanno vinta all’ultimo minuto e nel nostro duello ognuno faceva la propria parte. Sono cose di campo, io dovevo rompere quel muro, lui doveva difenderlo e c’è stato quell’episodio (un pugno di Gatti a Djuric, ndr). Però per me le cose di campo sono sempre rimaste lì e non c’è nessun tipo di problema.
A proposito del Verona: giusto definirla un miracolo la loro salvezza?
Sì, è stato un miracolo fatto da Baroni e dal suo staff perché non era facile amalgamare tutti quei giocatori nuovi arrivati a gennaio, per giunta con tanti ragazzi stranieri arrivati da altri campionati.
Un po’ quanto successo a lei a Salerno...
Forse quello è stato ancora più di un miracolo perché eravamo una neopromossa e avevamo ancora meno punti. È stata una scalata ancora più ripida da affrontare.
Dal Verona al Monza: perché?
Sentivo che era arrivato il momento di fare un passo avanti, ho sentito Palladino e Galliani e mi sono sembrati molto convinti della scelta, in più l’Hellas aveva delle necessità e per fortuna si è trovata una situazione che andava bene a tutti.
A proposito di sogni: cosa manca al Monza per l’Europa?
Innanzitutto non deve passare come una cosa scontata il fatto di raggiungere una salvezza tranquilla, perché in Serie A non è mai facile. Poi, quando ci sei arrivato, è giusto provare a fare uno step successivo ma non è semplice. Credo sia solo questione di tempo per il Monza ma noi abbiamo il coraggio di sognare. Anche quest’anno ci credevamo, però qualche risultato non è andato bene e quando perdi il treno è difficile risalirci. Intanto le basi ci sono, perché senza quelle è anche difficile sognare.
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