Di Flavio Soriga.
Ovunque, dall’est all’ovest dell’isola, presentano ai Comuni progetti di recupero di vecchi ruderi agricoli, o richieste di costruzione di nuovi caseggiati per il ricovero di attrezzi da campagna, sapendo benissimo che diventeranno villette estive. Le loro villette estive, da abitare venti giorni l’anno e affittare quando possibile. Perché loro sono furbi. Mica come noi, che ci metteremo tutta la vita, a comprarci una casa al mare, chi ci riuscirà. E la stragrande maggioranza di noi non ci riuscirà, perché se tutti i sardi ci dovessimo riuscire, allora vorrà dire che la Sardegna avrà perduto tutta la sua bellezza selvaggia, le sue coste completamente coperte dalle nostre stesse villette. Ma questi non sono problemi loro: perché loro sono furbi. Hanno comprato un piccolo terreno in campagna, o ce l’avevano da sempre, e adesso hanno i pezzi di carta del Comune, e tirano su la villetta. O magari non ce li hanno, i pezzi di carta, ma è lo stesso: io sono furbo, questa terra è mia, intanto costruisco, poi vediamo chi me la butta giù. Lo Stato? La Regione? No, perché «questa terra è mia». E questo significa che è loro il pezzo di terreno dove tireranno su la villetta, ma anche il destino della nostra terra, dell’isola su cui vive questo popolo, e questa è forse il punto vero. La campagna intorno a Chia appartiene soltanto agli abitanti di Domus de Maria, e la spiaggia di Cala Luna soltanto a quelli di Dorgali? Se lo chiedeva Sandro Roggio, l’altroieri su questo giornale, e dobbiamo tornare a chiedercelo tutti, e sopratutto chi ha a cuore il tema della sovranità della Sardegna, e dell’importanza del suo immaginarsi un futuro: davvero gli abitanti di Uta, e di Sedilo e di Macomer, hanno meno titoli per decidere del futuro delle nostre coste rispetto agli abitanti di Comuni con terreni sul mare? Chi è al governo di questa isola, che opinione ha in merito? Io credo che la Sardegna sia il mare, e le campagne, e il centro storico dei nostri paesi e delle nostre città. La nostra terra non è di chi possiede i singoli metriquadri di terreno (vistamare, accanto al bosco, sulle mura di Alghero), la nostra terra è dei sardi tutti, e non è pensabile che si faccia decidere a dei piccoli comuni quanto può essere sfregiato il nostro litorale, quanto cemento può ancora uccidere le nostre spiagge. La giunta regionale dovrebbe dire una cosa, al nostro popolo, una soltanto: davvero abbiamo ancora bisogno di seconde case? E’ questo bisogno che anima i nuovi progetti regionali di «valorizzazione urbanistica» dei territori dell’isola? Lasciamo perdere le frasi che non significano niente, e dunque vanno sempre bene, perché hanno un bel suono, come «coniugare sviluppo e ambiente», lasciamo stare, per favore: la domanda è se dobbiamo costruire ancora, o se dobbiamo salvare le nostre coste. Non possiamo sperare che siano i magistrati a salvare l’ambiente con le demolizioni, sebbene giuste, e spesso anzi eroiche. È la politica che deve rispondere, e lo deve fare al popolo sardo, se questa espressione ha un senso, non agli abitanti di Olbia o Pula. A tutti i sardi. Perché ciò che si distrugge oggi in una spiaggia, è un patrimonio che si ruba ai figli di tutti i paesani e i cittadini di quest’isola, dovunque essi siano nati e cresciuti. Non è mai terra loro, è la nostra terra.
(Da "La nuova sardegna")
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