domenica 12 maggio 2013

L'UCCISIONE DI ALFREDO ALBANESE DA PARTE DELLE BRIGATE ROSSE (12/05/1980)

Di Giampaolo Carboni.


Alfredo Albanese muore a trentatré anni,venendo trucidato ferocemente da una pioggia di proiettili per mano delle Brigate Rosse. L'orologio segnava le 8.30 a Mestre, il sole brillava, l'aria era fresca. A quell'ora la strada era affollata: bambini, massaie, impiegati e pensionati. Era uscito di casa da pochi minuti per recarsi, come ogni mattina, nel suo ufficio. Il commissario di origini tranesi era il responsabile della sezione antiterrorismo veneziana della polizia di Stato. Era impegnato nelle indagini sull'omicidio di Sergio Gori, vicepresidente della Montedison, un'inchiesta che stava crescendo, andando ad implicare il coinvolgimento di gruppi della sinistra militante, principalmente legati alle Br e ad Autonomia operaia. Stava per scoprire i capi della colonna veneta delle Br, l'unica che era riuscita a conservare la propria impenetrabilità. C'era quasi riuscito e per questo il giovane funzionario costituiva un pericolo: doveva essere messo a tacere, in ogni modo e con ogni mezzo. E così fu. Alfredo Albanese muore in seguito ad un agguato rivendicato dalle Brigate Rosse dapprima con una telefonata e in seguito con un volantino abbandonato nel cestino dei rifiuti. «Non era un abitudinario», raccontano i suoi colleghi di lavoro. «Non usciva mai di casa ad un'ora fissa. I killer devono averlo aspettato. Forse erano già lì da alcune ore». L'attentato è avvenuto la mattina del 12 maggio 1980, all'incrocio tra via Rielta e via Comelico dove la sua Fiat 131 Mirafiori venne bloccata da una Fiat 850. Il commissario tranese fu crivellato atrocemente da una quindicina di colpi sparati in rapida successione. L'autoambulanza a sirene spiegate partì per l'ospedale Umberto I, ma oramai non c'era più nulla da fare: Alfredo Albanese spirò poco dopo il suo arrivo in pronto soccorso, lasciando per sempre la giovane moglie Teresa Friggione che portava in grembo il loro figlio. Alfredo Albanese non aveva mai informato Teresa delle minacce che gli erano giunte in commissariato. L'ha tenuta all'oscuro di tutto per non farla preoccupare. «Aveva avvertito le mogli dei suoi colleghi - ci racconta la donna a distanza di 31 anni - perché non mi dicessero nulla». «Spero mi diano il tempo di conoscere mio figlio» disse Albanese al maresciallo che era con lui in stanza dopo un'intimidatoria telefonata. Per la rabbia spezzò in due la matita, ma del suo più grosso desiderio non rimase che una vuota speranza. La vedova Albanese racconta: «Non dimenticherò mai il giorno in cui ho avuto la conferma di essere incinta. La gioia era immensa. Non ci stava più nella pelle. Alfredo era felicissimo. In questa casa non si fuma più! Ricordo mentre lo diceva come se fosse accaduto ieri».



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