Di Redazione.
In questo giorno, una domenica, su una fettuccia di strada sterrata che scende dalla montagna verso il Santuario di San Cosimo a Mamoiada muoiono, colpiti a morte da scariche di mitra sotto una leggera foschia, tre uomini molto probabilmente uccisi per errore, scambiati per altre persone, in quanto appena usciti dal luogo di culto. Si trattava dell'avvocato Nino Tola anche ex segretario comunale, del direttore provinciale della Sita (Società Italiana Trasporti Automobilistici) Ernesto Spinelli e del veterinario Pietro Porcheri. I rapporti di allora parlano di tre ignari viaggiatori che si trovarono a transitare in quei posti. Avevano una Fiat Giardinetta, vecchio modello. Mentre tornavano dalla festa vennero investiti da una tempesta di piombo. Pare che prima di svenire avesse sentito gli assassini dire: "Accidenti, ci siamo sbagliati" e ciò si sa grazie al racconto di quella che sarebbe dovuta essere la quarta vittima l'allora vicedirettore dell'Ept Nicolino Caria che si finse morto. Ad ogni modo una strage mai accaduta prima, che appare anche sproporzionata rispetto a quelle che erano al tempo le regole barbaricine della vendetta.
In realtà, al posto degli uccisi, nel luogo sarebbe dovuto transitare un certo personaggio di Mamoiada che aveva una vettura perfettamente uguale a quella delle vittime. Tola, Spinelli e Porcheri sono morti per il semplice fatto di essere stati a bordo di una vettura simile a quella della potenziale vittima. Ci fu anche un processo che vide come imputati alcune delle persone di maggior rilievo, all’epoca, a Mamoiada, cinque persone che vennero arrestate pochi giorni dopo, tra cui anche il padre, lo zio e due cugini del poi latitante e figura di spicco del banditismo sardo Annino Mele che all'epoca era solamente un bambino avendo appena quattro anni con la madre Mariangela Meloni che si ritrovò a dover crescere da sola i suoi undici figli (sei maschi e cinque femmine) oltre a gestire i terreni ed il gregge di proprietà custode di un'educazione barbaricina che vede nella vendetta la regola di ogni torto.
La Corte d’assise prese atto dell’esistenza di alcuni clan, cercando di catalogare l’evolversi degli avvenimenti. Nel dibattimento nei confronti dei sospettati si arrivò ad una condanna in primo grado all'ergastolo, seguita da un’assoluzione in appello. Indipendentemente dal processo, però, questo fatto avrebbe innescato una delle più sanguinose faide mai viste in Sardegna. Un'assurda scia si sangue nella quale i vecchi venivano lasciati vivi, per farli assistere alla morte dei loro congiunti giovani. Solo in seguito sono stati regolati i conti anche con loro. Pochi dei protagonisti di questa vicenda sono morti a letto, di malattia. Anzi: si dice che un anziano sia stato ucciso quando si era saputo che aveva una malattia che non gli avrebbe lasciato scampo. Ucciso, anche lui. L’uomo che doveva essere ucciso al posto di Tola, Spinelli e Porcheri, pare che non sia rimasto a guardare. Formò una sorta di clan parallelo: ancora prima che la Corte d’assise d’appello di Cagliari riformasse la sentenza, cadde infatti la prima testa.
Nel 1958 avvenne il secondo delitto di risposta, seguito da ulteriori repliche ed altrettante vittime. Si viaggiò con una certa media di omicidi, sino al 1965. A partire da quella data, si instaurò un apparente clima di distensione, tale da far ritenere alle autorità che fosse stato raggiunto un accordo tra le parti: ma così non era. Le ostilità ripresero in tutta la loro irruenza, dopo lo sgarrettamento e l’uccisione di alcuni capi di bestiame appartenenti alla persona che doveva essere la vittima predestinata di San Cosimo. Costui, dopo alterne vicende, venne assassinato nel 1973, a colpi di scure. Nel frattempo, però, i clan erano andati via via consolidandosi, portando a diramazioni della rete che in ogni caso ritornavano a quella che ormai poteva essere definita la faida storica. Ci furono rami estemporanei, altri essenziali, ma sempre all’interno di una logica che non lasciava scampo. Bisogna naturalmente precisare che mentre tutto ciò accadeva, la popolazione di Mamoiada assisteva impotente all’evolversi dei fatti. Grandi lavoratori, gente che teneva curva la schiena dalla mattina alla sera nelle vigne e nei campi, o dietro il bestiame: vedeva i propri compaesani cadere uno dietro l’altro, in una logica difficilmente decifrabile. Eppure, tra tante faide, quella di Mamoiada è la più “leggibile”: i clan, formatisi al principio, hanno delle caratteristiche proprie. Al loro interno si sono costituiti dei sottoinsiemi, formati da aggregazioni non appartenenti al gruppo iniziale come sangue, ma in ogni caso affini. L’inferno scoppiò quando gli appartenenti al sottogruppo, per motivi momentaneamente indecifrabili, si rivoltarono innescarono una guerra senza quartiere nei confronti dei loro ex alleati. È in quel momento che la faida perse i suoi connotati storici e si trasformò in guerra tra gruppi. Senza quartiere, con un susseguirsi di morti continuo.
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